Evtushenko ha scritto una poesia sull'uccisione di Robert Kennedy di Ennio Caretto

Evtushenko ha scritto una poesia sull'uccisione di Robert Kennedy Evtushenko ha scritto una poesia sull'uccisione di Robert Kennedy E' intitolata «L'assassinio della libertà» ed è composta di 86 versi - Dice tra l'altro: «Trema Lincoln nel suo sedile di pietra f come un ferito f di nuovo lo colpiscono /' animali, animali I le stelle sono come pallottole I sulla vostra bandiera americana» (Dal nostro corrispondente) Mosca, 7 giugno. Un telegramma di Kossighin alla vedova, una poesia di Evtushenko: dopo le manifestazioni di commozione popolare dei giorni scorsi, l'Urss ufficiale, governo e cultura, ha espresso all'America il proprio cordoglio per l'assassinio di Robert Kennedy. Il delitto ha suscitato una impressione profonda in questo Paese: radiotelevisione e giornali vi hanno dato rilievo, e se i secondi non hanno evitato né polemiche né propaganda, la prima si è invece attenuta ad un particolareggiato e sereno resoconto degli eventi. L'Unione Sovietica, tramite la sua rappresentanza all'Onu, aveva già fatto pervenire le proprie espressioni di dolore all'ambasciatore americano Goldberg. Kossighin ha poi scritto ad Ethel: « Il vile assassinio di vostro marito Robert Kennedy suscita un profondo sentimento di indignazione nel popolo sovietico ». La poesia di Evtushenko, come i commenti dei giornali, ha momenti polemici. Il poeta ha scritto ottantasei versi intitolati « L'assassinio della libertà » (o La libertà di uccidere). Egli ha detto tra l'altro: « Il colore della statua della libertà - è sempre più funereo - stai sparando a te stessa, America - se continuerai così ti ucciderai da sola ». ' «Chi può credere in una favola ipocrita - quando sotto il - pretesto di idee benedette - il prezzo delle armi sale - e quello della vita umana scende? ». « Soltanto la vergogna può salvarti - non si può pulire la storia in una lavanderia il sangue non si può mai cancellare ». « Trema Lincoln nel suo sedile di pietra - come un ferito - dì nuovo lo colpiscono - animali, animali - le stelle sono come pallottole - sulla vostra bandiera americana ». «Tu hai promesso che saresti stata la coscienza del mondo intero - ora il marchio dell'ignominia ti fronteggia - non è a un re che sparì, ma alla tua coscienza e quando bombardi il Vietnam bombardi anche il tuo onore - alzati allora statua - libertà colpita e ferita - e impedisci attentati alla nostra vita ». Come nei giorni precedenti, i quotidiani, oltre a commentare duramente l'assassinio di Robert Kennedy, hanno confutato le ipotesi su possibili legami tra l'autore del delitto ed organizzazioni comuniste. Questa sera le Izvestia, il quotidiano governativo, hanno scritto ohe «tali rivelazioni hanno un carattere chiaramente provocatorio». La tesi della stampa sovietica è che il crimine, come quelli che lo avevano preceduto, è da imputare ai movimenti di estrema destra dell'America. La Pravda, organo ufficiale del partito comunista, ha scritto: « Le tragedie di Birmingham, Dallas, Memphis e Los Angeles non sono tragedie singole, di individui. Sono la tragedia dell'America capitalista ». Ha aggiunto la Komsomolskaya Pravda: « L'assassinio del senatore Kennedy presenta ancora una volta all'umanità la tanto decantata America come un paese di violenza, un paese di delitti diventati legge ». Ancora una volta, i giornali sono infine tornati sui motivi dominanti dei loro ultimi articoli: che cioè il terrore è diventato uno strumento politico americano e che la guerra del Vietnam, una vera malattia, ha influito ormai in modo orribile sull'atmosfera interna del paese. Ecco i giudizi del Trud e del Sovietskaya Rossia. «Le forze ultrareazionarie usano il terrore contro tutti coloro che compiono anche il minimo tentativo di mettere in dubbio il regime di gangste¬ rismo politico degli Stati Uniti ». « Il gendarme del mondo, che accetta soltanto la diplomazia della forza, è un gangster anche in casa. Non è un caso fortuito che al crepitìo dei mitragliatori nella giungla vietnamita si accompagnino gli spari delle rivoltelle nelle città americane ». Ennio Caretto