Cavallero racconta come uccise il medico di Ciriè e rievoca le altre tragiche imprese della sua banda di Giorgio Martinat

Cavallero racconta come uccise il medico di Ciriè e rievoca le altre tragiche imprese della sua banda Drammatica udienza alle Assise di Milano Cavallero racconta come uccise il medico di Ciriè e rievoca le altre tragiche imprese della sua banda Lo spietato bandito ha cambiato versione nella speranza di ottenere qualche attenuante - Il colpo che freddò il povero dott. Gajottino sarebbe partito accidentalmente dal suo mitra - Parlando ha avuto un attimo di perplessità che ha cercato di far passare per commozione - Si è detto addolorato di aver provocato dei lutti Una fredda e chiara rievocazione dei vari «colpi»: dalla rapina al Credito Italiano in piazza Rivoli a Torino, all'ultima strage durante la fuga a Milano inseguito dalla polizia - Si è confessato responsabile e ha cercato di attenuare le colpe dei suoi tre complici - Oggi nel pomeriggio il processo continua (Dal nostro inviato speciale) Milano, 4 giugno. E' proseguito, all'Assise di Milano, il processo contro la « banda della morte ». Piero Cavallero racconta le rapine e si addossa tutte le responsabilità: fa apparire i complici come degli sprovveduti che lo seguivano solo dopo essere stati indottrinati e convinti ogni volta con lunghi ragionamenti, « semplici esecutori », incapaci di qualsiasi iniziativa. Lo dice quasi con disprezzo. Della propria sorte, sembra non curarsi: «Io non sono qui per difendermi, l'ho già detto. Ed esigo di essere creduto: sono qui come testimone, non come imputato, perché, con il massimo rispetto per la Corte, l'esito di questo processo e la mìa condanna non mi interessano ». Così ha esordito oggi, prima di raccontare una per una le 17 rapine compiute, con minuzia di particolari e frequenti tentativi di divagazioni politiche e ideologiche, che il presidente dott. Lantieri stronca regolarmente: «Cavallero, di queste cose ha già parlato per tre ore. Le abbiamo capite, non le ripeta ». Prima rapina: Credito Italiano di piazza Rivoli, 23 giugno 196*4. La versione che Cavallero dà in udienza è sostanzialmente diversa da quella resa in ^istruttoria. Prima novità: Rovoletto non c'era. «Non era ancora convìnto — dice — opponeva molte difficoltà. Quel giorno, accompagnò dai clienti un ingegnere milanese, che gli aveva affidato la rappresentanza della sua ditta. Alla Banca, andammo Crepaldi, Notarnìcola ed io». Pres. — Perché accusò Rovoletto? Cavallero -y- Perché: dopo l'arrèdo èoeìò Sei 9-ahcòve nei suoi confronti. Aveva spifferato tutto alla polizia, In certi momenti, posso anch'io soggiacere ai sentimenti dell'uomo comune, antipatie e simpatie. Poi riflettei, mi dissi che mentire non era degno di me ». Se Rovoletto non c'era, chi fu a sparare e a colpire il ragioniere Elio Gaviglio e l'im piegata Giovanna Frecchio? Seconda novità: non si sa. Cavallero si stringe nelle spalle e racconta: «Entrammo, appena dentro suonò la sirena. Si immagini la scena: la piazza piena di gente, la sirena che ulula, noi determinati a fare il colpo. Io sono accanto alla porta, allineo i clienti contro il muro, sento due cólpi di pistola in rapidissima successione. Automaticamente, come per un riflesso condizionato, jni volto e sparo anch'io. Poi vedo Notarnicola che -gira: à vuoto, non connette piti, è terrorizzato, ma vivo. Anche Crepaldi è in piedi. Mi tranquillizzo: i due colpi che ho sentito non sono stati sparati a noi. Solo allora capii che erano stati i miei compagni ». Presidente — Ma chi fu a colpire gli impiegati? Cavallero — Non si può sapere. Abbiamo sparato un col po per uno. Io sulte prime non mi accorsi nemmeno che c'erano stati dei feriti. Me lo disse Crepaldi, mentre ci allontanavamo in auto. Presidente — Perché avevano sparato? Cavallero — Secondo me per il nervosismo provocato dal segnale d'allarme. E' un sistema pericoloso, imposto agli impiegati dai dirigenti che se ne stanno tranquilli lontano dalle canne delle armi. Poi, Crepaldi mi disse che un impiegato aveva scagliato un portacenere e lui aveva esploso per reazione istintiva un colpo, ferendolo ad una spalla. Chi sparò a Giovanna Frecchio? E' una domanda che resta senza risposta. « Questo spargimento di sangue — dice Cavallero — c'impressionò molto. Per sei mesi discutemmo come continuare la nostra attività ed evitare altri sconM cruenti. Pensavamo agli altri e anche, logica mente, a noi stessi ». Pres. — L'istinto di corner vazìone fa novanta. Cavallero — Dica pure la paura. Non nego di averla avuta. Da questo momento, l'im putato, nel rievocare le rapi ne, tende a' presentare se stesso e gli altri sotto la luce più favorevole: « Avevamo deciso dì non usare più le armi 1 che in caso estremo, dì non perdere la calma, non rispondere alle provocazioni». Ripete spesso un . concetto che ha già esposto ieri: « Dei diritti legali della gente non mi curo, ma i diritti naturali sono sacri per me ». Per diritti legali intende la proprietà, per diritti naturali la vita e l'incolumità personale. Ma questa facciata di rispettabilità che tenta faticosamente di erigere per tutta la mattinata, descrivendo una rapina dopo l'altra, gli crolla addosso al momento di rievocare la morte del dott. Gajottino, a Ciriè, il 16 gennaio 1967. Cavallero si rende conto che si tratta di un punto cruciale del processo: sceglie con cura le parole, ma si esprime in maniera più confusa. Il lungo volto cavallino si contrae nello sforzo, le dita sottili si agitano nervose. Inizia con una perorazione patetica: « Sì, ho leso anche dei diritti naturali. Ma, che mi si creda o no, mai deliberatamente. Certo, capivo benissimo che le mie azioni po¬ tevano avere conseguenze gravissime. Ma, se potevo raffigurarmi queste conseguenze, non le ho mai direttamente volute». ...Tace un istante, ripete: « Mi si creda o no, sono rimasto addolorato da tutto quello che è successo ad altri uomini. Mi credano le famiglie delle vittime: non ho mai voluto fare il male deliberatamente. Vorrei che mi credessero anche le famiglie dei miei compagni, e mia moglie e mia madre ». Poi fa per riprendere il racconto, si sbaglia, resta a lungo in silenzio, il capo chino, tra le mani. Forse, è sopraffatto da un attimo di commozione, forse' semplicemente confuso. Ma si riprende: « Nella banca dì Ciriè — racconta — ero armato di mitra, non di pistola. Me ne servivo come di uno sfollagente, per respingere e ammucchiare i clienti. Mi trovai a mezzo metro dal dott. Gajottino, che era davanti alla cassa, e feci un quarto di giro verso di luì, mentre egli faceva altrettanto. Ci trovammo così di fronte e io protesi il mitra. Volevo colpirlo con la canna nel ventre, come avevo fatto con gli altri, per costringerlo ad arretrare. Ma in quel momento fece un passo indietro, il mitra non incontrò l'ostacolo: nel gesto istintivo che feci per frenare la corsa, devo aver premuto inavvertitamente il grilletto ». Pres. — Questa è una versione completamente nuova. Ora sostiene di non aver voluto sparare. Non lo aveva mai detto: per essere creduto, queste cose avrebbe dovuto raccontarle prima. Cavallero — Le ho dette. Ma non mi hanno mai dato il modo dì spiegarmi bene. E poi, allora, non interessava quel che veniva messo a verbale. Il Pubblico Ministero, dott. Scopelliti, insorge: « E' stato ascoltato per ore e ore, ha detto tutto quel che voleva. Gli si contestino le dichiarazioni che rese allora». Il difensore avv. Dnminuco, ribatte, nasce una discussione, gli animi si accendono. Il presidente dà lettura dei tre interrogatori precedenti di Cavallero. In tutti si dice: « Sparai perché lo avevo visto portare una mano in tasca e temevo che volesse estrarre la pistola ». Aw. Duminuco — Ecco. Ora ha spiegato meglio il senso di quelle parole. P. M. — Ci sono dichiarazioni dei testi che contraddicono il colpo di mitra scappato per caso. Una delle donne prese in ostaggio dopo la rapina si sentì dire: « Lei non si muova, altrimenti farà la stessa fine di quel signore nella banca». E' vero che questa frase fu pronunciata? Pres. — Lo chiederemo à questa testimone. Aw. Duminuco — Bene. La domanda non va rivolta al Cavallero. Mi oppongo alla richiesta del Pubblico Ministero. L'avvocato Pietro D'Urso, patrono di parte civile per j la moglie e la figlia del dott. Gajottino, si alza e grida concitato: « E io invece mi associo al Pubblico Ministero. Dietro di noi ci sono dei morti, non siamo qui per assistere alle conferenze stampa di Cavallero: che risponda». p. M. — La contestazione dev'essere immediata, insisto perché la domanda sia posta al Cavallero. L'aw. Duminuco vuole j interloquire, alza la voce e il presidente lo rimbecca: « La difesa gli urli li potrà fare durante l'arringa ». Malgrado tutto, sarà lo stesso Cavallero a rispondere aila domanda, proseguendo il racconto : I « Andando con, gif ostàggliperSQ Alpignano, posso attfidètto-irWimimcèiose. Così come è vero che, entrando ad Alpignano, dissi agli impiegati: "Fermi tutti, guardate che a Ciriè ne abbiamo già ucciso uno ". Ma lo dissi a puro scopo terroristico, non perché ero contento di aver ucciso il dottor Gajottino, o perché lo avessi fatto volontariamente». Anche contro il rag. Navazzotti, durante la successiva rapina alla Banca Popolare di Novara in via Ventimiglia a Torino, il Cavallero dice di avere sparato per sbaglio: « Noi avevamo già mandato la lettera minatoria alla di rezione delle Banche, ordì nàìàSi aMl'tÀn^s^è^^1^'] per noi una certa somma ih ogni agenzia. Ma non è véro che Navazzoiti fu colpito perché mancavano dei soldi alla cifra fissata. Stavo già uscendo quando sentii un tonfo, che scambiai per una detonazione: seppi poi che un impiegato aveva fatto cadere uno schedario. A scopo intimidatorio, rimisi dentro la testa e sparai due colpi a casaccio: per disgrazia uno trafisse il petto del ragioniere ». Il Pubblico Ministero tenta di fare delle contestazioni e Cavallero si inalbera: « Io sono qui per dire la verità. Capisco che il Pubblico Ministero possa credere che sto mentendo per costruirmi una lìnea di difesa. Voglio ripetere che non cerco attenuanti, non mi interessano. Non mi faccio illusioni ». Conclude con una dichiarazione che suscita una tempesta di proteste tra il pubblico: « Se anche, per ipotesi, riuscissi a convincervi che merito delle attenuanti, fareste meglio a non darmele. Perché proclamo qui, pubblicamente, che se mai riuscirò a tornare libero riprenderò la' mia lotta, anche se forse non con gli stessi metodi ». Dopo l'omicidio del dott. Gajottino, la banda cominciò a sfasciarsi: «Notarnicola e Rovoletto dissero che volevano farla finita, non si sentivano più di continuare. Io stesso volevo lasciarli perdere: non valevano molto. Si avvicinava il momento di passare ad altri metodi di lotta rivoluzionaria, occorrevano nuovi etementi. Dissi loro: "Appena potrò sostituirvi, potrete andarvene". Avevo già messo gli occhi su un ragazzo, Donato Lopez. Veramente il Lopez lo feci entrare nella banda perché, tre anni prima, aveva visto per caso le nostre armi. Temevo che ne parlasse: da allora me lo tenni vicino, feci in modo che mi si affezionasse, anch'io mi affezionai a lui. A poco a poco, lo educavo, mo strandogli le ingiustizie sociali. Ma gli proposi di partecipare a una rapina solo alla vigilia dell'ultima ». E* quella che si concluse con la strage per le vie di Milano. Dice Cavallero: « Fu una rapina facile. Stordii la guardia, come avevo già fatto altre volte, prelevammo il denaro e ci allontanammo. Lopez aveva atteso fuori: gli avevamo affidato una sacca, non sapeva che conteneva un mitra. Sull'auto, stavo per proporre una seconda rapina, immediatamente, dopo avere saputo da Notarnicola che il bottino era stato magro, quando vidi venirmi incontro una " pantera " della polizia. Quando incrociammo, ] 4# •guardarono e capii cì&fZQ avevano individuato. Infatti, mentre svoltavamo per viale Benedetto D'Alviani, la vidi invertire la marcia e mettersi dietro di noi azionando la sirena ». Comincia cosi il tragico pomeriggio di fuoco del 25 settembre 1967. Racconta Cavallero, in tono piano, con la consueta ricercatezza di linguaggio, senza mai alterare il tono di voce: « Rovoletto guidava, Lopez era al suo fianco. Io ero dietro Lopez, Notarnicola dietro Rovoletto. Avevo due mitra e due pistole, altre due le aveva in consegna Lopez che non sapeva sparare, due Notarnicola e due Rovoletto. Avevo già detto agli altri, in precedenza: Se c'è da sparare, sparo solo io. I compiti eccezionali toccano a me " ». P. M. — Non aveva letto bene il Codice ». Allude all'articolo 110, per cui non importa chi abbia premuto materialmente il grilletto; tutti sono egualmente colpevoli. Cavallero ribatte — Io non l'ho letto mai, né bene né male. Non mi interessano le re-, sponsabilìtà penali. Parlo di responsabilità morali: le assumo tutte io —. Prosegue: — Sporsi il braccio armato di [ Q pistola e-' la feci; viedet^-agli agenti, poi esplosi un cólpo maria, a scopo intimidatorio. Avevo previsto, in questo caso; due eventualità. La prima era che gli agenti desistessero dall'inseguimento. La seconda era che tentassero di speronarci con la loro auto. Anche la terza ipotesi, che si verificò, era stata presa in esame: ma non avremmo mai pensato che osassero sparare in mezzo alla folla. Perciò restammo esterrefatti quando dal finestrino della "pantera" si sporsela canna di un mitra che cominciò a vomitare raffiche. Afferma di essere stato il solo a sparare. « Per lo meno, sono sicuro che Lopez non sparò. I primi colpi della polizia lo avevano raggiunto: sanguinava alla fronte, era completamente intontito, fuo ri di sé »- « Non potevo arrendermi — dice —. Sì era creata una situazione insostenibile. Lopez era terrorizzato, continuava a ripetere: "Fatemi scendere ". Gli spiegai che sarebbe stato ucciso immediatamente. La " pantera " ci seguiva sempre alla stessa distanza, rallentava se noi rallentavamo. Era chiaro che aveva paura ad avvicinarsi. [Se ci fossimo fermati, appe¬ na scesi ci avrebbero abbattuti. Non si trattava più di giocare la libertà, ma la vita. A questo punto avevamo il diritto di difenderla». Pres. — E la vita degli altri, dei passanti? Cavallero — Io ho sparato sólo contro la macchina della polizia, per tenerla lontana. Un colpo alla volta: mai a raffica. Insorge un avvocato di parte civile: « E perché il furgoncino del mio cliente Brambilla fu crivellato da una raffica di sette od otto colpi? Spieghi un po' questo Cavallero». Cavallero si stringe nelle spalle, sorride: «Lo spieghi lei. Io sparavo un colpo per volta. La mia prineipale preoccupazione era quella di risparmiare le munizioni ». Il presidente lo interroga, per cercare di chiarire come la tragica corsa si concluse con quattro morti e decine di feriti. Ma Cavallero non sa nulla, non si rese conto che la sua auto lasciava una scia di sangue: « Chieda ai carabinieri che mi arrestarono. La prima domanda che feci loro, fu di dirmi che cosa era successo, se c'erano state vittime». Ammette soltanto: « Sì sparai anche contro qualche auto civile: quelle che mi venivano addosso e mi davano l'impressione di essere della polizia». Fu infatti un'auto della polizia con targa civile a fermare la pazza corsa dei banditi: « Una " 850 " — racconta Cavallero — che ci speronò da sinistra. Sentii Rovoletto gridare: "La polizia, ci viene addosso ". Mi voltai e la scorsi. Fu un attimo: vidi bene il viso del maresciallo Siffredi, quando alzai la pistola capii dalla sua espressione che si era reso conto del pericolo. Sparai e lo colpii. Sono contento che si sia salvato H. Continua, calmo: «Riuscimmo a fare ancora 200 metri, ma poi fummo costretti a fermarci: la collisione con la "850" aveva bucato uno dei nostri pneumatici. Fu allora che ci rendemmo conto, con stupefazione, che la polizia ci aveva perduti. Scendemmo. Lopez sanguinava e piangeva, gli diedi un basco per coprirsi la ferita. Dopo qualche minuto, scappò facendomi un cenno di addio con la mano. Noi ci mescolammo alla folla, riuscimmo a far perdere le nostre tracce. Notarnicola e io eravamo davanti, Rovoletto ci seguiva sempre più lento. Ad un tratto vidi che era circondato da tre guardie e un civile, teneva le mani in alto. Vicino c'era una "pantera" con il guidatore al volante». E' la fine: « Tornai per aiutarlo. Sparai all'agente nell'auto, lo vidi cadere. In quello stesso istante, la guardia che teneva Rovoletto sotto la minaccia della pistola sparò a sua volta. Vidi Rovoletto stramazzare e mi allontanai ». Il processo riprenderà domani alle 16. Giorgio Martinat Notarnicola, a sinistra, e Rovoletto seguono la deposizione del capobanda Piero Cavallero, spavaldo e sprezzante, ha continuato Ieri la deposizióne (Moisio)