Ritorna al Teatro Nuovo il «Mefistafele» di Arrigo Baita di Massimo Mila

Ritorna al Teatro Nuovo il «Mefistafele» di Arrigo Baita L'opera .che chiude la stagione lirica torinese Ritorna al Teatro Nuovo il «Mefistafele» di Arrigo Baita Successo dello spettacolo diretto da Oliviero De Fabritiis; protagonista il basso americano Jerome Hines Le rappresentazioni del Mefistofele diradano sensibilmente. Non si può dire che sia venuto a mancare il favore popolare, eppure si ha l'impressione che l'opera di Boito non riesca a tenere il passo, non diciamo con quelle .di- Verdi, che sarebbe un paragone insensato, ma semplicemente con quelle dei maestri del verismo. É' un caso singolare e abbastanza aggrovigliato quello della fortuna del Meflstofelé. Cadde a Milano cent'anni fa, e risorse trionfalmente a Bologna nel 1875, come opera — oggi si direbbe — d'avanguardia, scesa in lizza per avviare il melodramma italiano sulle faticate vie del romanticismo musicale e della cultura tedesca. Viceversa incontrò un successo generale: non fu cibo privilegiato di esteti schizzinosi, ma piacque ai loggioni tumultuanti e, a modo suo, portò il capolavoro goethiano a conoscenza d'un pubblico popolare. Si potrebbe pensare, perciò, che oggi debba . godere di quel favore, o per lo meno di quell'indulgenza che molti intenditori e critici nostrani mostrano verso le manifestazioni musicali del verismo, rivendicandone i meriti artistici, occultati dietro le facili ricette di successo. Invece non è così: per il Meflstofelé pochi conservano stima e simpatia. I musicisti dotti, gli ascoltatori educati all'ideale sinfonico e cameristico, gli rimproverano la platealità dozzinale; d'altra parte i nuovi paladini del verismo e dell'opera popolare non gli perdonpr.o le innocenti pretese di originalità e di rinnovamento con cui' s'era presentato. Sicché il povero Boito resta a Dio spiacente ed ài nemici suoi, e v'è perfino chi trova da ridire sulla sua attività di librettista considerandolo quasi il cattivo genio di Verdi: sono quelli, naturalmente, i quali rimpiangono che Verdi non abbia continuato per tutta la vita a scrivere Rìgoletti e TYotxjiqri; e;deplorano l'evoluzione di Qtel. lo- e- Falstaff come un fenomeno di decadenza senile e una specie di traviamento intellettualistico. Questa nyova . situazione critica nei riguardi di. Boito rende l'ascoltò dell'opera interessante. Onestamente non si può dire che sembrino giustificate le accuse di impotenza creativa e di velleitario dilettantismo musicale che oggi è di moda muovere a Boito: Era sicuramente capace d'inventare belle ed espressive melodie, sia vocali, come i tenorili « Dai campi dai prati » e « Giunto sul passo estremo », il duetto degli innamorati nel giardino, il lamento di. Margherita « L'altra notte in fondo al mare », sia strumentali e corali, come il magniloquente « Prologo in cielo», o il grazioso «Obertass» danzato nel primo atto, o i vari effetti satanici e soprattutto la bella frase trascolorante che traduce a più riprese l'impeto trascendente di redenzione connesso con la salvazione di Margherita e di Faust. Né è esatto che Boito non sapesse strumentare, anche se si macchia spesso dir chiassose volgarità, alle quali si direbbe abbia prestato curiosamente orecchio Mahler nei momenti più questionabili del suo sinfonismo. E se nell'armonia di Boito non è il caso d'andare a caccia di sottigliezze, non è nemmeno da dire che vi si incontrino sciatterie e goffaggini. Dl più era un buon letterato, in grado di scriversi da sé il libretto con notevole coordinazione di parole e musica ai fini dell'effetto teatrale; ha saputo tagliarsi alla brava l'enorme materia del Faust, senza rinunciare alla misteriosofica seconda parte, in una successione di quadri essenziali, abilmente accostati, senza legamenti stretti, con una tecnica operistica a pannelli che si potrebbe quasi considerare una timida anticipazione ottocentesca — Malipiero mi perdoni! — delle Sette canzoni o del Torneo notturno. Allora cos'è che non funziona? perché le rappresentazioni diminuiscono e nessun intellettuale se la sente di fare del Mefistofcle un capolavoro misconosciuto? Quello che non funziona è la drammaticità musicale. Boito, abbiamo detto, sa inventare belle melodie vocali. Ma sono melodie « sedute »: ferme, statiche, insediate dal principio alla fine in una determinata situazione e in uno stato d'animo costante. Sono melodie liederistiche e da concerto, che non accompagnano la Il basso americano Jerome Hines, Mefistofele, con la moglie, al Teatro Nuovo mobile vicenda delle passioni e non costruiscono personaggi nel loro divenire. Paradossalmente, si potrebbe, quasi dire che Boito, .nell'atto di volere avanzare l'opera italiana sulle vie del dramma musicale, di fatto la riportava indietro, a una, situazione settecentesca e- ..pretgiuqldana, con\ la.. ..staticità, espressiva -della melodia. ' ti -'tentativo, poi, di rimediare-a questo difetto con chiuse ad effetto, •coróne su acuti stentorei, e rumorose perorazioni orchestrali, non faceva che aggravare la situazione, introducendo minacciosi squilibri di gusto. Un'opera simile non invoglia a riletture critiche. Chiede un'esecuzione non solo tradizionale, ma, si potrebbe dire, di routine. E tale è stata, su un buon livello artigianale, quella offerta dal Teatro Regio sotto la direzione del maestro Oliviero De Fabritiis, che ha governato l'insieme musicale con sicura esperienza, senza sottilizzare in fatto di ricercatezza. Il basso- americano Jerome Hines, che alla prova generale aveva sfoggiato un volume di voce proporzionato alla suo possente figura scenica, accusò poi un abbassamento che fece rinviare la prima recita. L'impossibilità di sostituirlo è essa stessa un indice della minor voga dell'opera: trent'anni fa sarebbe bastato alzare un dito, per raccogliere una dozzina di bassi pronti a cantare il Mefistofele. La sua interpretazione del personaggio manca un poco di satanicità e di eleganza: è piuttosto un buon diavolaccio tonante, che non un sottile corruttore di coscienze. Grida, strepita, fa baccano, ma si ha l'impressione che con un Maligno di questa fatta non sarebbe poi troppo difficile mettersi d'accordo. Il tenore Franco Tagliavini canta la parte di Faust con voce di timbro classico, un po' metallico, superando agevolmente gli acuti; non ci starebbe male un po' più di abbandono e morbidezza nelle effusioni melodiche. Margherita Roberti interpreta pregevolmente la parte di Margherita, e fortunatamente anche l'altro soprano, Linda Vajna, è di levatura sufficiente perché la parte di Elena emerga nella sua importanza di seconda protagonista femminile. Mafalda Masini, Gianfranco Nepatis, Caterina Perino Faverio e Sergio Rupiano completano lodevolmente la compagnia di canto, mentre il coro, istruito da Antonio Biainovich, ha modo di sfogarsi nella potenza delle sonorità e nella varietà delle sue prestazioni. Opera a grande spettacolo, il Mefistofele richiede una messa in scena laboriosa, per non dire macchinosa, e questa può anche essere una ragione estrinseca della minor frequenza di rappresentazioni. La regìa di Aldo Mirabella Vassallo e le scene di Enzo Deho hanno raggiunto risultati abbastanza pregevoli, specialmente nel quadro culminante del Sabba romantico, dove la coreografia di Loredana Fumo, anche prima ballerina insieme a Roberto Fascilla, è riuscita ad inserirsi bene nello spettacolo (uno dei meriti che non si possono negare a Boito è di avere saputo trattare il balletto come un elemento integrante e non ornamentale), stimolando il movimento generale della scena e conferendo il massimo di credibilità al convegno delle Streghe. Lo spettacolo ha registrato un ottimo successo, ed il pubblico numeroso ha risposto puntualmente, con acclamazioni ed applausi per tutti gli esecutori, alla sollecitazione di quei finali impudichi e fragorosi che l'intellettualissimo Boito non lesinava alla chiusa di ogni atto. Massimo Mila

Luoghi citati: Bologna, Milano