Il felice ritorno di Raphaël Mafai

Il felice ritorno di Raphaël Mafai M R TI ED ARTISTI Il felice ritorno di Raphaël Mafai la pittrice, figlia di un rabbino lituano, sembra ricordare la lezione di Chagall - Non ha mai tradito l'ingenuità popolaresca del folclore slavo, anche dopo le esperienze della "scuola romana" - Inchiostri di Nello Pasquali Dopo otto anni ritorna a Torino l'artista che tutti — colleghi, amici, ammiratori, critici, mercanti d'arte — chiamano « Raphael », ma il cui lungo nome completo è Antonietta Raphael De Simon Mafai; e con lei torna il ricordo del sodalizio romano di via Cavour: Scipione-MafaiRaphael, una memoria che rìsale al 1928-'29 e della quale non si può fare a meno visitando questa mostra della vedova di Mario Mafai (morto nel '65) nella galleria « Narciso » di piazza Carlo Felice 18, molte, pitture, alcune sculture, qualche disegno. Come non si può fare a meno di rievocare un ormai famoso giudizio di Roberto Longhi, del 1929, quello che faceva cenno dei « paesini sconvolti e di virulenza bacillare del Mafai» e della pittura di « una straniera di passaggio » (così Mafai aveva presentato Raphael al Longhi senza dirgli che si trattava di sua moglie); pittura che al critico sembrava «rivelare i vagiti o la rapida crescenza di una sorellina di latte dello Chagall ». Va bene che adesso nella piccola antologia critica del catalogo che accompagna questa mostra (pagine di Nello Ponente, Antonello Trombadori, Marzio Pinottini, Longhi, Guttuso, Brandi, Martinelli), Nello Ponente si rifiuta di « parlare, per l'ennesirittt volta, dì scuola romana o dì scuola di via Cavour, di Scipione e Mafai, del tonalismo e del colore che a Roma furono la reazione alle stantìe classicità del Novecento » (qualcosa di simile accadeva a Torino coi «Sei pittori»), e preferisce le divagazioni su « quel mondo, dove proprio la leggenda, il mito, si riscattano nella realtà del fare e dove essi, mito e leggenda, si definiscono nell'attualità di un comportamento, ecc.». Ma noi ci- atteniamo al- fatto che le piante — se son piante con rigogliose fronde (e il paragone calza per Raphael) — non vivono senza radici; ed il fittone antico di questa pittura e di questa scultura nasce proprio là, dal colore, dalla forma, dallo spirito del laborioso trio di vìa Cavour: j nel quale non è mai stato precisato quanto, in quell'inizio, ogni sodale agli altri due dovesse. Chagall, disse Longhi. E la figlia del rabbino lituano Simon potè, sì, crescere a Londra dal 1907 e colà studiar musica alla Royal Academy, e dirigere nell'East-End una scuola di solfeggio, e bazzicare col romanziere yiddish Salomon Asch e con lo scultore Zadkine, ed entusiasmarsi per la scultura di Epstein, e poi, a Parigi, conoscere la «Scuola di Parigi», e infine a Roma incantarsi dei colorì che prendono il tramonto « le chiesette antiche disseminate tre il Celio e le pendici romite del Palatino », di « una Rama chimerica » (quella che fu di Scipione più che di Mafai), come scrisse un giorno Alfredo Mezio; ma, al pari del surrealista Chagall, il sangue della sua razza e l'ingenuità popolaresca di un certo folclore slavo non furono in lei mai traditi. . Chi non ne fosse persuaso guardi il grande e bellissimo quadro Mafai nello studio dipinto l'anno dopo la morte de! marito, guardi l'ampia tela della Lamentazione di Giobbe. Nel primo il pittore, evocato in un'aura di festa intellettuale e di nostalgia delle cose care perdute, in una luce che riflette proprio quella, ormai spenta, della pittura di Mafai, sembra un mimo che s'appresti al balzo in un balletto di Diaghilef; la seconda pare pensata ed eseguita nel ricordo d'una favola ascoltata in un'isbà chagalliana, piuttosto che desunta dalla lettura del libro della Bibbia. Ed anche la Spagna (viaggio del 1957), come la Cina (viaggio precedente), di Raphael, col suo colore divampante e le sue scene surrealisticamente fantasticate, deriva dalla medesima matrice ideale. Così si spiega la sua coerenza stilistica sia nella pittura cromaticamente sempre a un diapason altissimo, sia nella scultura forte e maschia, di massa, di volume, di sintesi e di tattile senso (stupendo il suo bronzo del Toro ferito, che la scultrice considera una simbolica immagine della sua vita); e la continuità — pure neg'.i adattamenti alle successive esigente creative — di un lin¬ guaggio sciolto, spregiudicato, scabro matericamente nel suo continuo intento di abbinare culturalismo meditato e spontaneo populismo. * * Umberto Mastroianni, presentando gli « inchiostri » del suo amico Nello Pasquali per la mostra al « Settebello » di via Goito 6, domanda: « Cosa vogliono rappresentare questi segni, queste linee di forza dirottate ad impalcature frementi che aspettano in grembo il frutto saporoso di una conclusione sempre imprevista, e inappagata? ». Lo domandiamo anche noi. Figurativamente questi segni neri, violenti, a volte rigidamente funerei, a volta dilatati su piani luminosi ' di grande delicatezza, non significano nulla, come tutta l'arte astratta. Rivelano invece il rovello di un temperamento drammatico che si esprime per allusioni, con una magistrale padronanza delle risorse tecniche del bianco e nero. mar. ber.

Luoghi citati: Cina, Londra, Parigi, Roma, Torino