Rivolta e passione dell'Africa nel film di Zurlini a Cannes

Rivolta e passione dell'Africa nel film di Zurlini a Cannes «Seduto alla sua destra», prima opera Italiana Rivolta e passione dell'Africa nel film di Zurlini a Cannes La nostra pellicola « ufficiale » esalta gli ideali delia decolonizzazione e della non-violenza - La figura del protagonista ricorda Lumumba, Luther King e Cristo - Malgrado le debolezze stilistiche, non meritava la cattiva accoglienza del pubblico - Proiettato anche « I figli di poi » del jugoslavo Bato Cencig (Dal nostro inviato speciale) i Cannes, 14 maggio. Ripresa la rassegna dopo la sospensione di ieri dovuta allo sciopero generale in Francia, l'Italia ha presentato il suo film « ufficiale », Seduto alla sua destra, ideato, scritto e diretto da Vittorio Zurlini, e prodotto da Lizzani. Dal '65, ossia dalle Soldatesse, Zurlini si era fatto desiderare; e diciamo cosi perché il sobrio curricolo di questo regista alieno dagli sperimentalismi, persuaso dell'importanza delle cose da dire, è dei più degni: Le ragazze dì San Frediano, Estate violenta. La ragazza con la valigia, Cronaca familiare (Leone d'oro ex aequo alla Mostra di Venezia '62). Purtroppo l'odierna rentrée zurliniana a tre anni dall'ultimo film ha deluso proprio in quanto a concentrazione e slancio. Curiosa, e . forse anche indicativa, la genesi di Seduto alla sua destra: concepito come uno degli episodi di un film da fare (Vangelo 70), si è poi così dilatato da occuparne tutto il posto. Ma il tema era ormai dettato (il Vangelo in versione moderna), e così affidato a uno strumento solo, tradisce qui l'imposizione schematica. In un indeterminato paese dell'Africa, il negro Maurice Lalubi, capo del movimento di indipendenza, predica la ribellione disgiunta dalla violenza. Un governo fantoccio e i mercenari bianchi al loro servizio, gli danno la caccia in un inferno di fuoco, lo scovano, lo portano per interrogarlo nella stessa prigione ove ha già subito stomachevoli sevizie l'italiano Oreste, un simpatico briccone, accusato di avere venduto un camion ai ribelli.' Costui non misura l'altezza morale del leader negro, che ricusa di firmare la sconfessione dei suoi prinpipii quale prezzo della liberta; ma tosto è conquistato dalla sua dolcezza e dalla sua paura (perché in quanto uomo ha paura), e cerca di distrarlo, di far; gli coraggio. . r^&Tqrtùrató atroc^neinte,; ttf* ".; .'"négro-non flette. Allora lo .de' sfinano all'esecuzione sonii maria da parte di un soldato negro, un véro assassinio polìtico, contro : oui Oreste grida il suo furore. Ma ci sarà un sicario anche per lui. E' quasi ingenuo avvertire che il film è inzuppato di cose d'oggi. Lalubi ritiene di Lumumba (è riecheggiata una frase che fu attribuita ai suoi carnefici: « Ora vedremo se sei davvero invulnerabile ») e anche un po' di Luther King. E quel governo fantoccio e quei « baschi » possono essere altrettanto facilmente identificati. Fin qui, nulla di male. Ma il leader negro, così uscito come pare da un libro di lettura, adombra più apertamente Cristo; Oreste assomma in sé il buon ladrone (onde il titolo) e i dodici apostoli; il comandante, spietato ma intimamente perplesso e inquieto (sogna la sua casa in Olanda) non è lontano da Ponzio Pilato, né il negro assassino, da Giuda. In quanto al bianco che uccide Oreste, è la parte di noi, qualunquistica e morta, che grida « cruciflge » contro tutti i promotori di uguaglianza. Del resto lo stesso Zurlini chiede nella brochure che il suo film sia inteso come «un pamphlet sulla tortura, sulla non violenza, sull'indipendenza; un pamphlet totale, pieno di rabbia e di tristezza ». E anche questo calza: Seduto alla sua destra testimonia non soltanto una precisa concezione politica (tutta a sinistra), ma una fede e quasi una mistica. Il male non è qui, è nella; rilassatezza di stile con cui Zurlini ha cucinato l'ultravioienta materia, è nel semplicismo vieux jeu con cui ha dedotto le sue analogie evangeliche, quali coglierebbe anche un bambino tanto sono comodamente oggettivate. Come episodio (con l'economia che impongono gli episodi). Seduto alla sua destra avrebbe potuto camminare; come film a sé, tradisce il proposito, si siede, riempie la vista d'inutili orrori. Al magro attivo si può mettere la riuscita di Franco Cittì (Oreste), che sostiene bene lo svezzamento da Pasolini (anche se ancora vìve di quel nutrimento) e può correre tranquillamente la strada del cinema. Lalubi è il troppo mielato Woody Strode; il comandante, Jean Servais. Fotografìa di Ajace Parolin (ma i colori non si confanno), musica, moderatamente sacra, di Ivan Vandor. Al primo spettacolo, accoglienze grame; e con un po' b d'ingiustizia. Perché la nobiltà dell'assunto non si discute, e non si può pensare che un pubblico criticamente qualificato, come quello della mattina, non sappia distinguere tra esposizione di crudeltà e condanna della stessa (neanche il Vangelo è acqua di rose). Sorte migliore ha avuto la Jugoslavia di cui s'è visto Mali Vomici (« I figli di poi») dell'esordiente Bato Cencig stimato documentarista. Con qualche tocco di maniera, un pregevole saggio sulle devastazioni prodotte dall'ultima guerra nella psicologia dei giovanissimi. In un convento adattato a orfanotrofio post bellico s'introduce un biondino, figlio di un SS caduto in combattimento. Il direttore gli cambia nome, gli raccomanda di celarsi. Conosce l'umore del giovani ricoverati, figli di partigiani massacrati dai nazisti; ragazzi che « giocano alla guerra » con tutta serietà, perseguendo d'odio tenace le memorie e i superstiti del nazismo sconfitto. Arrogantello e impalato, l'intruso non tarda a tradirsi; e allora quelli si costituiscono in corte marziale, facendogli vedere i sorci verdi. Invano il direttore tenta di frenare quello spirito di vendetta di cui intende peraltro le ragioni: è assai se la pecorella rognosa sarà soltanto espulsa. I figli di poi tocca con acume un tema difficile e ingra to quale la crudeltà esercita ta dai ragazzi su un ragazzo Lo fa, s'intende, con lo spiri to d'oggi, cogliendo cioè in quegli orfani datati ai primi anni del dopoguerra, il rigore e i rituali dello stalinismo, che faceva ricadere sui figli le colpe dei padri Ma anche in quest' atteggiamento critico del senno di poi, è intelligentemente sfumato: torti e ragioni s'intrec ciano e. una stessa pietà circoscrive allo spettatore quel covo di belvette che opera patisce il male per. fidecom meSS0" Wì»'

Luoghi citati: Africa, Cannes, Francia, Italia, Jugoslavia, Mali, Olanda, Venezia