Virgilio e Leopardi sul colle di Posillipo di Gigi Ghirotti

Virgilio e Leopardi sul colle di Posillipo IL SONNO INQUIETO DI DUE GRANDI POETI Virgilio e Leopardi sul colle di Posillipo (Dal nostro inviato speciale) Napoli, maggio. Gli ultimi anni che gli rimanevano da vivere, Virgilio andò a passarseli a Napoli; comperò villa e vigna sul colle di Posillipo e di lassù rimirava Capo Miseno, dove Enea aveva fatto scalo per dar sepoltura al trombettiere della sua raminga compagnia. Più lontano, in una luce azzurrastra, Cuma, e ancora più lontano la chiostra vulcanica entro cui è custodito il lago d'Averno. Due tappe importanti nel viaggio di Enea verso Roma: a Cuma, l'eroe aveva ascoltato i vaticini della Sibilla, vicino all'Averno gli era stata aperta la misteriosa via che adduce agli inferi. Ora sulle rive dell'Averno ci sono ristorantini e chioschetti; odor di pizza e strepito di ]u\e-box. Dovette essere una dolce vecchiaia, ma le storie narrano d'uno strano scrupolo che colse Virgilio nell'ultima citate della sua vita. D'un tratto, non gli bastò più contemplare quello scenario. Volle vedere oltre e salpò per la Grecia e per la Troade con il fine preciso di vedere con i propri occhi i luoghi da cui il suo Enea era partito e che nel suo poema egli aveva celebrato. Giunto ad Atene, il poeta s'incontrò con l'imperatore Augusto che lo trovò stanco e gli consigliò di tornarsene alla svelta a Napoli. Ma Virgilio aveva questo pungolo strano, che lo muoveva a vedere, a vedere ancora, quasi risalendo di persona alle sorgenti del mito. In visita, a Megara, lo colse l'insolazione; sulla nave, che subito fece vela per l'Italia, il poeta s'aggravò. Morì al suo sbarco in Italia, a Brindisi. Si conosce la data precisa, 22 settembre, 19 dopo Cristo. Lo portarono, morto, alla sua vigna e alla sua villa. Per dargli sepoltura, scelsero per lui uno scoglio di tufo alto una trentina di metri che sorge ai piedi della grande parete strapiombante del colle di Posillipo. Non uno scoglio di mare, s'intenda. E' uno strano cocuzzolo poco distante dall'attuale stazione di Mergellina, in mezzo ad un boschetto; oggi questo luogo silvestre è chiuso per due lati dalla strada ferrata. Alle spalle è dominato dall'alfa parete del colle. Il quarto lato è chiuso dalla cancellata che corre lungo la strada nazionale. A quest'altezza due gallerie traforano la collina di Posillipo: una per il passaggio dei treni, una per il passaggio del traffico stradale. Ogni tanto, un treno esce ruggendo dal tunnel. Sulla strada le automobili strepitano senza posa. Il sepolcro di Virgilio, dunque, è come uno scoglio di solitudine e di verde, alto sopra i flutti incessanti della vita che scorre intorno. Al sepolcro si accede attraverso scalette e ballatoi. Gli antichi costruirono in cima allo scoglio virgiliano un tempietto di tufo, sotto la cui volta collocarono un tripode. T viandanti, nel corso dei secoli, amarono molto questo luogo. Piccole lapidi sono murate alle pareti della roccia: recano nomi illustri e sconosciuti di devoti. L'elemento più suggestivo del sepolcro è la sua totale immersione nella natura. L'edera lo riveste completamente; fiori di campo, arbusti selvatici, piante odorose crescono sulla cupola del tempietto. Il tutto ha l'aspetto d'un singolare monumento vegetale, animato dal vento. Il riposo del poeta in questo sereno grembo della natura durava esattamente da 1920 anni quando nel febbraio del 1939 si udirono squilli di fanfare. Il mite Virgilio vide schierata lungo l'erboso sentiero gente che sfoderava spade e pugnali. Pennacchi, elmi, toghe d'ermellino, generali stivalati, balilla sul presentat'arm, milizia, carabinieri, universitari vestiti di nero. Fu il giorno in cui venne scoperta la stele funebre in onore di Giacomo Leopardi, inumato — così si disse, ma non era vero — nello stesso recinto virgiliano, cento o duecento metri più in basso, ai piedi della collina di Posillipo. La collocazione del poeta recanatese in quel luogo fu ispirata all'idea che Giacomo Leopardi detestasse, d'essere ricondotto, dopo la morte, al « natio borgo selvaggio », cioè alla sua Recanati. Recanati, in verità, mostrava lettere in cui il Leopardi scriveva d'essere stato a Napoli, oppresso « dalle amaritudini, dai terrori, dalla malinconia ». Il mondo gli appariva — anche dal Vesuvio — « nullo e vuoto, contingente, inspiegabile e soprattutto doloroso ». Insomma, era una visione disperata della vita, da cui Recanati non era esclusa, ma nemmeno Napoli. E allora? Allora, nel 1939, le dispute sulla scelta del luogo di sepoltura di Giacomo Leopardi furono troncate' d'autorità. I recanatesi dovettero consegnare a Napoli un'urna con la terra del colle dell'Infinito (l'urna è ora murata accanto alla stele) e da Napoli ricevettero un'altra urna, con terra del Vesuvio. Ma ora il problema si è riaperto. Il sindaco di Recanati, Franco Foschi (psichiatra e studioso della personalità del poeta recanatese), fa sapere che se la tomba di Napoli a Napoli è di troppo, non ve motivo di lasciarla là; Recanati è pronta a ricevere quei resti con tutti gli onori e a custodirli accanto alla casa natale. Ora la coabitazione dei due poeti è diventata imbarazzante per tutte due. Il monumento leopardiano è insidiato dagli smottamenti. Se fosse rimosso, sparirebbe ogni impedimento alla visita al sepolcro di Virgilio, che sorge nello stesso recinto. Nessuna questione di spesa: lo scoglio virgiliano vive come in uno stato di grazia, che rende sconsigliabilissima qualsiasi manomissione. Forse basterebbe qualche panchina per il riposo dei viandanti, un'aiuola per il gioco dei bambini. L'importante è riaprire il cancello, riaccendere quel tripode sotto le arcatelle del sepolcro di Virgilio, drappeggiato d'edera. Gigi Ghirotti

Persone citate: Franco Foschi, Giacomo Leopardi, Megara, Pennacchi