Come gli stranieri giudicano la campagna elettorale italiana di Vittorio Gorresio

Come gli stranieri giudicano la campagna elettorale italiana UN'INCHIESTA FRA 1 PW QUALIFICATI CORRISPONDENTI ESTERI A ROMA Come gli stranieri giudicano la campagna elettorale italiana Secondo il tedesco Kusch (dell'Handelsblatt di Dusseldorf) la gente non reagisce al rumoroso martellamento propagandistico - Anche l'inglese Nichols (del Times) nota una certa indifferenza e aggiunge: «Il centro-sinistra, con le sue realizzazioni, non sa conquistare la fantasia del pubblico» - L'americano Doty (New York Times) dice: «Gli italiani sono come una famiglia che sta in una magnìfica villa, non si preoccupano se l'impianto idranlico non funziona a dovere» - Nobecourt (Le Monde) giudica positivo il graduale distacco della de dal Vaticano - VEconomist non prevede grandi mutamenti e conclude: «Ad uno sguardo un po' ampio, la visione è rosea... gli uomini politici ricordino che essi rappresentano oggi una delle maggiori potenze d'Europa» Roma, 7 maggio. « Veramente, nessun partito italiano conduce una campagna elettorale moderna: questo il giudizio negativo che dà un giornalista tedesco, Erich B. Kusch, corrispondente dall'Italia dello Handelsblatt di Duesseldorf. Appare infastidito dai metodi nostrani (« rumorosità tipicamente meridionale, discorsi appassionati e tonnellate di volantini, abituali manifesti, automobili dotate di altoparlanti, tradizionali comizi all'aperto ») e ' si dichiara scettico sulla loro efficacia: « Ad un osservatore straniero sembra che gli italiani reagiscano, ancora meno che durante le campagne elettorali precedenti, a questo continuo e massiccio martellamento ». Anche il corrispondente da Roma del Times di Londra, Peter Nichols, osserva che sono molte le chiacchiere. (« Ben pochi del cento e cento discorsi che vengono comunicati alla stampa sembrano affrontare temi che rivestano un'importanza autentica a) e se ne mostra deluso: « Questa sarà la terza volta che mi capita di assistere alle elezioni politiche da quando mi trovo in Italia, ed è forse la prima volta che la consultazione promette di rivelarsi veramente importante ». Nichols, perciò, sospetta che l'apatia degli italiani si debba spiegare con una radicata tradizione antidemocratica, o quanto meno a-democratica del Paese; una antica mancanza di fiducia nell'appara- to statale, una diffidenza della maggior parte dei cittadini nella possibilità di identificarsi con la vita politica, una « tendenza a considerare il governo semplicemente come uno del tanti aspetti della vita nazionale, e non come incarnazione della volontà del popolo ». Egli finisce col domandarsi se in Italia una democrazia vera possa esistere, decisamente efficace nella pratica, e non più come « una specie di rarità esotica nel giardino del Mediterraneo ». Per il corrispondente del New York Times, Robert Doty, l'impressione è di poco diversa: « L'immagine che ho dell'Italia dopo quattro anni di permanenza, è quella di una magnifica villa palladiana, in uno stupendo paesaggio, occupata da una famiglia di persone cordiali, le quali sembrano quasi non preoccuparsi del fatto che l'impianto elettrico non funziona a dovere e che quello idraulico ha qualche perdita ». Sulla deficienza degli impianti, ovvero degli ordinamenti politico-amministrativi (« nonostante tutti gli sforzi coscienziosi che uomini capaci fanno per farli funzionare »), si trovano d'accordo due collaboratori deZZ'Economist di Londra, David Kelly e Stephen HughJones: « Secondo il punto di vista inglese, quello che urge è ima giustizia sociale più ampia e diffusa, un miglioramento progressivo della vita pubblica e dell'onestà nell'amministrazione. Lo stesso dicasi per l'enorme inefficienza e ingiustizia del sistema fiscale ». ■Sonò giudizi severi, ma espressi senza malanimo, anzi dettati dall'attenzione di osservatori rigorosi, com'è nel caso di Jacques Nobecourt, corrispondente romano di Le Monte: « In realtà — egli scrive —, il miracolo economico italiano è fragile nella stessa misura in cui gli squilibri del bilancio nazionale si aggravano in senso cronico. La moderazione e il dinamismo sono destinati a scontrarsi sempre più violentemente, e alla fine verrà il giorno in cui il compromesso tecnico non basterà più, e si imporrà il rigore finanziario ». Secondo il tedesco Kusch, «il "boom" dell'esportazione italiana ha messo maggiorrriente in risalto la differenza tra il Nord, altamente industrializzato, e il Sud », e per i due collaboratori deZI'Economist è da vedere come « una cattiva soluzione all'arretratezza del Sud rispetto al Nord ed alla spaventosa inefficienza dell'agricoltura, quella continua emigrazione che determina l'abbandono dei paesi e dei campi, i quali vanno quindi in rovina ». Soltanto a questo, in ogni modo, si riducono le osservazioni e le testimonianze negative di sei fra i più qualificati corrispondenti stranieri dall'Italia. Li ha interrogati « L'informatore Cips » di Milano, organo di informazioni politico-sociali, pubblicandone le risposte in un prezioso fascicolo, secondo di una serie destinata a fungere da guida per il cittadino in occasione delle elezioni politiche 1968. Vi appaiono anche una quindicina di saggi dovuti a giorna- listi italiani, ma senza offesa per nessuno dei nostri, sono i testi dei colleghi stranieri che possono riuscire di maggiore interesse in questa vigilia di voto, che dovrebbe essere un momento di valutazione delle scelte. E' utile, difatti, sapere come ci vedono gli altri, quando siano osservatori spassionati, salva una sincera simpatia per il nostro Paese. Doty, da americano convinto della superiorità del. sistema elettorale uninominale vigente nel suo Paese, francamente diffida di quella che sarebbe «la giustizia matematicamente esatta della rappresentanza parlamentare proporzionale ». Non ha nessun timore, a quanto sembra, che l'introduzione del sistema uninominale abbia a polarizzare la vita politica italiana attorno a comunisti da una parte e democristiani dall'altra, con l'estinzione virtuale degli altri partiti. A suo giudizio (« oserei avanzare questa ipotesi ») un singolo deputato che rappresentasse uno specifico elettorato di persone vere, con un nome e un volto precisi, finirebbe « col sentirsi meno dogmaticamente democristiano o comunista ». E' un'opinione, ottimistica e lusinghiera nel fondo, così come sono positivi i suoi giudizi suìl'atteggiamento dei socialisti, e sulla proposta repubblicana per la cosiddetta « continuità legislativa» tra un Parlamento e l'altro. Negativo, al contrario, il suo giudizio sul « filibustering » messo in atto contro la legge elettorale per le Regioni: « Alla fine, dopo settimane di dibattiti, il | yoto sortì come previsto e come sarebbe stato probabilmente fin dal primo giorno di discussione ». Non che per questo la discussione sia vana, a giudizio di Doty: ma in nome di un giusto senso di pragmatismo, egli ha ragione nell'osservare che il risultato sarebbe potuto essere diverso soltanto se la questione «fosse stata presentata, come voto libero, alla ragione e alla coscienza dei singoli deputati ». La rigidità del nostro sistema politico-parlamentare spiace anche a Nichols, e così il nostro «linguaggio formalistico », da cui deriverebbe una certa incapacità del centro-sinistra, a dispetto di tutte le sue realizzazioni, « a conquistare la fantasia del pubblico ». I politici, scrive, « danno l'impressione di essere andati a ritroso nel tempo », in un'età di rapidissime trasformazioni sociali, ciò che fa dire d'altra parte a Nobecourt che « forse il centro-sinistra è reso indolente dalla mancanza di ogni alternativa, dall'assenza di un'eventuale concorrenza ». A questo riguardo, sembra significativo lo scarso peso che i nostri colleghi stranieri sono disposti a riconoscere alla minaccia, od al pericolo del comunismo. Come abbiamo già visto nel testo di Doty, anche in Nichols al « dato » comunista non si attribuisce alcuna trascendenza: «Sono più che convinto che quando si scriverà finalmente la storia di questa nostra epoca, la presenza comunista apparirà semplicemente come un incidente entro un ben più ampio processo storico e che, se fosse stata considerata sempre in questo senso invece di essere tanto drammatizzata, sarebbe molto meno importante di quanto non lo sia oggi ». E' più attuale, per Nichols, la prova che attende la de nei suoi rapporti con la Cliiesa: «Il cattolicesimo politico si trova ad affrontare la sua prima autentica prova per dimostrare se, dopo anni e anni di stretta interdipendenza, sarà capace di una trattativa dignitosa e risoluta con il Vaticano allorché verrà il momento di discutere, anche se non di realizzare praticamente, la revisione dei Patti Lateranensi ». E' lo stesso problema al quale si riferisce anche Kusch, come ad un'incognita, ricordando che lo stesso onorevole Rumor, fin dal convegno democristiano di Sorrento del 1966, si batté contro la tendenza a mischiare sacro e profano, tracciando una linea di divisione tra la politica del Vaticano e quella della de. Che cosa ne potrà derivare, è la domanda centrale che si- pone Nobecourt, buon conoscitore delle cose vaticane. Egli chiama il centrosinistra l'alleanza tra « rossi » e « neri », dettata dalla volontà di superare le cause interne di dissenso e porre fine alle fratture dell'unità nazionale. La considera affatto positiva non solo per l'Italia (« l'esperienza del centro-sinistra ha potuto aprire gli occhi del clero alla realtà feconda di una collaborazione con i socialisti ») ma per tutta la cattolicità. Il graduale distacco della de dal Vaticano e la sua progressiva laicizzazione gioveranno anche al resto del mondo, perché a giudizio di Nobecourt « tante delle decisioni inopportune o disgraziate della Santa Sede provengono dalla applicazione all'universo intero di norme e considerazioni che si potrebbero giustificare soltanto nel quadro e nei limiti ben precisi della Chiesa italiana ». Come si vede dalle citazioni, l'impegno dei sei giornalisti stranieri che hanno collaborato al fascicolo del Cips è di alto livello, e applicato ai settori essenziali della situazione italiana. Nessuno di loro si è lasciato andare al gusto delle previsioni, ma nessuno si immagina grandi mutamenti dai risultati del 19 maggio. Come conclusione generate si possono adottare le osservazioni di David Kelly e Stephen-Hugh Jones deWEconomist: «Se si dà uno sguardo ampio, la visione è ròsea... Gli uomini politici si occupano finalmente (in ritardo forse) di quel tipo di problemi che è inerente al rapido sviluppo dell'Italia... Sembra che t loro pensieri siano ri¬ volti nel senso che.interessa l'elettorato, cosa questa che spesso non succede in Inghilterra ». Un ultimo ap punto — ma lusinghiero nella sostanza — riguarda ancora questa nostra classe dirigente, tacciata di timidezza e provincialismo: « Gli uomini politici italiani devono essere finalmente coscienti che non rappresentano più (come il mondo usava considerare l'Italia) ima provincia un po' arretrata dell'Europa, bensì una delle sue maggiori potenze ». Vittorio Gorresio ,