«Disertore chi si astiene dalla lotta democratica» di A. Galante Garrone

«Disertore chi si astiene dalla lotta democratica» PARTITI E LIBERTÀ POLITICA «Disertore chi si astiene dalla lotta democratica» La questione della «scheda bianca» ha sollevato un coro di recriminazioni contro la vita politica italiana, e in particolare contro i partiti, nessuno escluso. Li si accusa di inefficienza e inettitudine, di totale distacco dal paese reale, di corruzione, di sete di potere e di prebende, di sterile demagogia. Le molte lettere che abbiamo personalmente ricevute, spesso intinte di sincerissima amarezza, ci confermano la diffusione di questo stato d'animo. Niente di nuovo sotto il sole. Chi legga 1 giornali e i libri di novanta, cento anni fa si imbatte in ram pogne non dissimili da quelle di oggi. « La tirannide dei partiti s'è distesa da per tutto », scriveva Ruggero Bonghi nel 1868. E Francesco De Sanctis: « Una maggioranza perde ogni prestigio quando nel paese si formi questa opinione, che ci sieno colà dentro affaristi, sollecitatori, cacciatori di impieghi e di onorificenze, soverchiatori e che so altro, e che ivi appunto il governo cerchi la sua base e la sua forza». E quanto ai partiti di opposizione, ancora Bonghi commentava: «E' uno spirito di censura senza discernimento, pieno di rabbia, privo di misura, che pur di mordere gli uomini, non avverte di mordere le membra vive dello Stato stesso ». Queste antiche e sempre uguali doglianze, con i loro lugubri toni apocalittici, non ci devono troppo sorprendere. Uno Stato unitario che faticosamente si costruisce dal nulla, dopo secoli di servaggio e di frantumazione politica, una società che rapidamente si trasforma, aprendosi ai problemi della più moderna civiltà industriale, comportano inevitabilmente certi mali. Le grandi speranze del Risorgimento e della Resistenza appaiono tradite. E sempre, in questo trapasso dalla « poesia » alla « prosa », è naturale che ci si lasci prendere dallo scoramento, dallo scetticismo, dall'indignazione perfino eccessiva. E' un segno, oltre a tutto, di esigenze mortificate o non soddisfatte, e dunque di vitalità. Non saremo certo noi a negare o rimpicciolire questi mali. (Chi scrive, non appartiene ad alcun partito; e in ognuno di essi scorge uomini e atteggiamenti che gli dispiacciono). Sarebbe stolto nascondersi i gravi difetti dei nostri partiti di oggi: il prepotere degli « apparati », il soffocamento delle energie migliori e la troppo scarsa democraticità all'interno di ciascuno di essi, le prevaricazioni delle segreterie, le torbide fonti di finanziamento, lo spoil system camuffato e perciò privo di quelle garanzie che almeno esso ha in altre democrazie, gli intrallazzi di sottogoverno, e cosi via. Ma bisogna anche sforzarsi di capire perché tutto questo è accaduto e accade. La difficoltà di tenere il passo e di adeguarsi al ritmo della sempre più complessa realtà contemporanea, l'inadeguatezza funzionale, gli indugi e le deviazioni non sono soltanto un appannaggio dei partiti. Si pensi, per tare un solo esempio, alle lentezze e alle storture della nostra burocrazia. Si tratta, insomma, di un male ben più vasto, che si riflette anche nei partiti, ma del quale questi non sono la causa prima. La crisi non è tanto nei partiti, quanto nel mondo stesso in cui viviamo. Diciamo di più: l'accusa solitamente mossa allo strapotere dei partiti, alla co¬ siddetta «partitocrazia», ci pare in arretrato coi tempi che corrono. A ben guardare, i partiti non sono onnipotenti. Sono, anzi, piuttosto deboli, e talvolta addirittura impotenti, di fronte ad altri « potentati »: come la burocrazia di cui sopra si diceva, i grandi monopoli e i loro strumenti di controllo dell'opinione, i sindacati. Può sembrare un paradosso; ma non è lontano dal vero chi sostiene doversi rendere i partiti più forti, anziché più deboli, di quanto oggi non siano. Si deplora, e non a torto, l'ingerenza dei partiti nella pubblica .amministrazione. E' una deplorazione antica; e basterà ricordare un celebre scritto di Marco Minghetti. Ma lo stesso Minghetti aveva intuito che ciò accadeva per l'ampliarsi delle attribuzioni del potere pubblico; e molti anni dopo Kelsen avrebbe confermato questo giudizio. Oggi i poteri dello Stato in ogni campo si sono dilatati a dismisura,-e con ciò i pericoli delle indebite ingerenze dei partiti. Ma ciò dimostra una cosa sola: che la radice vera del male non è nei partiti, ma nello Stato e nella società odierna. Bisogna infine rendersi conto della ineluttabilità storica dei partiti, nella loro attuale configurazione, Essi non sono più, come ai tempi di Benjamin Constant, dei puri «araldi di'idee». Sono diventati, per cosi dire, l'insostituibile cinghia di trasmissione fra i cittadini e lo Stato. La loro funzione è riconosciuta dalla stessa Costituzione. Pretendere di ridurli alle dimensioni artigianali di un tempo sarebbe antistorico. Maurice Duverger, a conclusione di un suo grosso libro sui partiti politici, argutamente diceva: « Tutti i discorsi sui meriti dell'artigianato e i difetti della grande industria non tolgono che l'èra artigianale sia chiusa e che si stia vivendo nell'era della produzione in serie ». Si possono e si debbono certo studiare le riforme, all'interno e fuori dei partiti, per adeguarli alle esigenze dei tempi (finanziamento, nuove procedure sul voto parlamentare, controlli sugli enti pubblici e privati, ecc.). Ma si deve sempre partire dal presupposto che di alternative al libero contrasto dei partiti non ce n'è che una: la dittatura. Tocca ai cittadini, con la loro milizia politica, col voto, con la forza dei convincimenti e delle passioni, correggere e migliorare i partiti, farli diversi da quel che' oggi sono. Ci sembra sempre attuale il monito di Francesco De Sanctis: «Gli italiani non sono ancora persuasi che libertà vuol dire lotta, e che la lotta è il dovere di tutti, e che quelli che stanno a casa sono disertori». A. Galante Garrone

Persone citate: Benjamin Constant, Francesco De Sanctis, Kelsen, Libertà, Marco Minghetti, Maurice Duverger, Minghetti, Ruggero Bonghi