Come il teatro italiano si trasformò negli anni '20

Come il teatro italiano si trasformò negli anni '20L'appassionata testimonianza di Lucio Ridenti Come il teatro italiano si trasformò negli anni '20 Quando 11 teatro italiano di prosa ha cambiato volto? E' facile, e anche giusto, rispondere: in questo dopoguerra. Ma il mutamento non è stato cosi radicale e repentino come a prima vista potrebbe sembrare. Qualcosa delle vecchie struttine è-rimasto in piedi, e delle nuove non è impossibile trovare i presupposti e l'abbozzo assai prima del 1945: basta avere la pazienza di frugare nella polvere dei palcoscenici scampati alle bombe e di rovistare le biblioteche, ma, soprattutto, il coraggio di sbarazzare 1 propri ricordi da ogni incrostazione sentimentale. E' quel che ha tentato di fare Lucio Ridenti nel suo recente libro dedicato al nostro teatro fra le due guerre mondiali. E' una cronaca di venticinque anni di vita teatrale italiana (1915-1940), della quale il Ridenti è stato un singolare e insostituibile testimonio: per oltre un decennio dalla ribalta, come attore; poi dalle pagine della nostra più antica rivista di teatro. Il dramma, che egli dirige da più di quarantanni. Entrato in arte quando le compagnie, ancora si stringevano intorno al capocomico-mattatore, quasi sempre « figlio d'arte » (ma già si faceva avanti il capocomico « filodrammatico » proveniente dalla borghesia, e dell'uno e dell'altro non mancano qui gustosi e penetranti ritratti). Ridenti ha assistito alla lenta decadenza, e talvolta rapida rovina, della « tradizione ». Dal 1917, abbandonata la formula del triennio, le compagnie si riuniscono per una sola stagione, la distinzione del ruo. li si fa meno rigida (alla fine, scomparirà anche la figura della primadonna), e nell'immediato primo dopoguerra, nuove presenze scuotono la nostra scena di prosa. Ma la politica è estranea; nonostante le apparenze, il fascismo si disinteressa abbastanza del teatro, se non per comprimerlo con la censura e spremerlo con le tasse. Nel 1922, Pirandello ha già scritto diciotto opere di teatro, tra cui i Sei personaggi. Incomincia la trasformazione della messinscena («quando un personaggio sbatteva la porta — non più di carta dipinta — la verità di quel gesto inchiodava anche lo spettatore»): nel 1923, la Pavlova muove un critico ad usare per la prima volta la parola « regia », alla figura del capocomicodirettore come era stato Virgilio Talli (che già segnava un notevole progresso sul capocomico-mattatore) e come è un'Alda Borelli, s'affianca quella del direttoreautore: coltre a Pirandello, Marco Praga, Niccodemi, D'Ambra, Chiarelli e altri ancora. E' il «momento di rottura», come lo definisce Ridenti. Allora, probabilmente, non fu nemmeno avvertito, nulla sembrò che cambiasse. In realtà, si gettava il seme per il futuro: tramontava il mi¬ to del grande attore, nasceva la figura del regista che avrebbe «manovrato come una marionetta» un Ruggeri; s'infittivano gli esperimenti di compagnie e di teatri stabili (e Ridenti ricorda che il primo, di Domenico Lanza a Torino, risale addirittura alla fine dell'altro secolo) preparando il terreno alla fioritura attuale degli Stabili e delle compagnie sovvenzionate dallo Stato e dalle amministrazioni locali. Non va tuttavia esagerata l'importanza dei precursori che, spesso, è in proporzione diretta con l'influsso che essi poterono realmente esercitare. Altrimenti si corre il rischio, e Ridenti talvolta lo corre, di parlare di « teatro totale » a proposito degli spettacoli Za-Bum... a. bl. LUCIO RIDENTI: Teatro italiano tra due guerre - Dellacasa editore, Genova - pagine 236, lire 2900. L'attrice e. regista Tatiana Pavlova, a destra, in una scena dei «Giardino dei ciliegi» di Cecov (1933)

Luoghi citati: Torino