Il Presidente con le lacrime agli occhi annuncia il ritiro della sua candidatura di Nicola Caracciolo

Il Presidente con le lacrime agli occhi annuncia il ritiro della sua candidatura Il Presidente con le lacrime agli occhi annuncia il ritiro della sua candidatura (Dal nostro corrispondente) Washington, 1 aprile. Il presidente Johnson ha pronunciato il suo discorso della rinuncia nella sala ovale della Casa Bianca, un grande ufficio con i vetri che danno sui prati. Lontano sullo sfondo si poteva vedere illuminato dai riflettori l'enor¬ me obelisco del monumento a Washington. La signora Johnson e le due figlie sedevano da un lato. C'erano il segretario alla Difesa, Clark Clifford, ed Horace Busby, due vecchissimi amici di Johnson. In più, oltre agli operatori della televisione, qualche funzionario della Casa Bianca e qualche giornalista. Un addetto stampa della Presidenza — dopo che il discorso già durava da quaranta minuti — avvertì sottovoce un giornalista di fare molta attenzione. Il Presidente — Che aveva annunciato una tregua dei bombardamenti su quasi tutto il Nord Vietnam — non seguiva più il testo distribuito in anticipo. Aveva iniziato con un appello all'unità del Paese, con quel linguaggio biblico che è tipico dell'oratoria popolare in America influenzata dalle predicazioni dei pastori protestanti: « Una casa divisa contro se stessa dallo spirito di fazione, di partito, di regione, di religione e di razza è una casa che non può restare in piedi ». La signora Johnson ha cominciato a sorridere. Johnson invece parlava molto lentamente, con convinzione ed appariva estremamente commosso, quasi in lacrime. Poi la bomba che ha squassato l'intero assetto della politica americana: non volendo inserire la presidenza in una lotta partigiana, « non cercherò di ottenere e non accetterò se mi venisse offerta la designazione a candidato t- ha detto Johnson — per un altro mandato come vostro presidente ». E la conclusione quasi sottovoce e inaspettatamente umana: « Buona notte e che Dio vi benedica tutti ». Le dimissioni per Johnson sono un modo per riaffermare la sincerità delle sue intenzioni. Bisognava evitare che le proposte di pace fatte ad Hanoi all'inizio del discorso potessero essere fraintese come un'abile mossa di propaganda in quest'anno elettorale. La sua buona fede doveva essere avallata dal sacrificio delle sue ambizioni politiche. Ed è stato per lui un grossissimo sacrificio: Johnson è giunto alla presidenza con la speranza di riuscire a portare in porto un grande programma di riforme sociali ed economiche. Di questo programma la guerra in Vietnam ha lasciato in piedi ben poco. Rinunciare a presentarsi significa in sostanza rinunciare al posto nella storia che avrebbe voluto avere, un posto accanto ai grandi presidenti della tradizione riformatrice e populista americana, Lincoln, i due Roosevelt, Wilson e Kennedy. Finito il discorso la signora Johnson si è alzata ed ha abbracciato il Presidente. Poi le figlie lo hanno abbracciato anche loro e i suoi collaboratori che non tutti sapevano ciò che stava per dire, a uno a uno gli si sono avvicinati per stringergli la mano. Un'atmosfera di grande tristezza. Fuori dalla Casa Bianca si radunava intanto una piccola folla che rimase in piedi per gran parte della notte. Subito dopo l'annuncio decine di giornalisti affluirono alla Casa Bianca e una conferenza-stampa venne convocata in un salotto accanto all'appartamento personale del Presidente al primo piano. C'erano con Johnson le stesse persone di prima. Non ha aggiunto molto a quello che aveva già detto, si è accontentato di sottolineare di nuovo il fatto che la decisione di ritirarsi è assolutamen- te irrevocabile. Vestiva un abito scuro, con la camicia blu che i tecnici della televisione ritengono in questi casi indispensabile e appariva di nuovo sicuro di sé e quasi allegro. Il Presidente ha passato la notte tra sabato e domenica senza dormire, leggendo e rileggendo le bozze del discorso per la sera dopo. Alle 9 del mattino era in piedi insieme a lady Bird di fronte alla Casa Bianca per aspettare la figlia Lynda di ritorno dalla California dove era andata a salutare il marito Charles Robb, capitano dei marines. in partenza per la guerra in Vietnam. Voleva che Lynda sentisse in un momento ovviamente difficile della sua vita l'appoggio dei genitori. Lynda, che si è sposata nel novembre scorso, è stata avvertita tornando a casa delle intenzioni del padre. L'altra figlia Lucy, che si trova a Washington perché il marito Patrick Nugent, aviatore della riserva, sta per andare pure lui in Vietnam, è stata informata poco dopo andando insieme con Johnson a Messa. Il fatto che ambedue i generi di Johnson siano sul punto di partire per la guerra, politicamente non significa nulla, ma ha certo contribuito a creare quell'atmosfera un po' angosciosa che c'è in questo periodo alla Casa Bianca. Altri elementi di essa sono anche più difficili. Johnson dovunque andasse negli Stati Uniti veniva accolto da manifestazioni di protesta contro la guerra. Mentre quelli che erano i suoi rivali nella gara per la ' presidenza (Nixon, Kennedy e McCarthy) si muovono attraverso l'America senza difficoltà pronunciando i loro discorsi dovunque lo ritengano opportuno, Johnson è stato costretto da qualche mese a questa parte a limitare le proprie apparizioni in pubblico all'interno delle basi militari. Passeranno probabilmente anni prima che si possa sapere quanto questo genere di considerazioni ha influito sulla scelta di Johnson. Il Presidente ritirandosi sembra aver ritrovato almeno in parte la sua popolarità. Il suo discorso di ieri ha convinto il pubblico che la guerra è stata, a prescindere da ogni giudizio politico, per Johnson e per la sua famiglia come per tanti altri americani un'autentica tragedia personale. Nicola Caracciolo