Il gen. Svobodà eletto capo dello Stato a Praga

Il gen. Svobodà eletto capo dello Stato a Praga Un filo-russo succede allo stalinista Novotny Il gen. Svobodà eletto capo dello Stato a Praga Ha 72 anni, combatté coi russi contro i nazisti ; subì le purghe staliniane - Designato dal Parlamento con 282 voti su 288 (sei astenuti) - Ha votato anche Novotny - Centinaia di studenti per protesta contro la nomina bloccano il traffico sedendosi per terra - Svobodà dichiara : « La Cecoslovacchia resterà fedele all'alleanza con l'Urss » (Dal nostro inviato speciale) Praga, 30 marzo. Il generale Ludvik Svobodà (72 anni) è stato eletto Presidente della Repubblica. Le azioni di protesta dei giovani cèchi contro « l'uomo di Mosca » sono state vane. Al generale, la cui candidatura era stata decisa dal Comitato centrale del partito comunista, è andato il voto pressoché unanime del Parlamento di Praga: 282 voti su 288. La prima prova della « nuova democrazia socialista » seguita al regime autoritario di Novotny è parsa assai deludente. L'adesione dei parlamentari dei quattro partiti alla volontà del Comitato centrala è stata immediata e completa, come in tutti i Parlamenti del mondo comunista. Ad aprire la cerimonia, nella sala delle incoronazioni del Castello di Praga, è stato il presidente del parlamento Lastovicka. Egli ha proposto ai deputati la candidatura del generale Svobodà e quindi ha domandato se vi fossero pareri contrari: « Chi ha da proporre un'altra personalità, alzi la mano ». Nessuna mano si è levata in favore di altri candidati. Subito dopo ha preso a parlare Alexander Dubcek, il segretario del partito. Egli ha fatto l'elogio del generale che combattè con i russi contro i tedeschi « e che gode del profondo rispetto dell'Unione Sovietica e degli altri paesi socialisti ». Quindi, dopo aver ricordato che « negli anni Cinquanta Svobodà fu vittima di persecuzioni» (durante le grandi purghe staliniane lo confinarono, : come contabile, in un kolkoz della provincia), Dubcek ne ha raccomandato l'elezione a presidente. Svobodà, vestito di nero, sedeva fra i deputati alla quattordicesima fila delle poltrone allineate, per la circostanza, nella sala gotica del Castello. Dietro di lui, in mezzo alla folla degli invitati (c'era tutto il corpo diplomatico compreso l'amministratore apostolico, il vescovo di Praga, Tomasek) si è visto Antonin Novotny. Il vecchio capo stalinista, corresponsabile delle grandi purghe, seguiva la cerimonia con distacco. Aveva un'espressione tranquilla, quasi sorridente. Non ha battuto le mani quando Dubcek ebbe terminato il suo discorso. Per quanto predisposta dal partito la nomina del presidente si è svolta con tutti i crismi dei Parlamenti occidentali. Ad un certo punto i deputati hanno lasciato la sala per recarsi a votare nell'aula attigua dell'antico Parlamento cèco. Ogni deputato ha ricevuto una scheda bianca quindi, al riparo d'un tendaggio, ha scritto il nome del candidato preferito. In teoria, i deputati avrebbero potuto eleggere un altro presidente. Mentre si votava Svobodà è rimasto seduto al suo posto di deputato: un atto di correttezza formale essendo egli l'unico candidato. L'annuncio della sua elezione è stato poi accolto da applausi compatti. Dopo avere ascoltato in piedi l'inno nazionale cèco, il generale ha giurato fedeltà alla Repubblica, poi ha firmato il documento della sua nomina: « La Cecoslovacchia — queste sono state le parole più significative del suo breve discorso — resterà fedele alle alleanze con l'Unione Sovietica e con gli altri paesi socialisti. Queste alleanze sono la garanzia della nostra sicurezza ». Fuori del Castello, in una ampia corte, un reparto di soldati attendeva il generale per la rivista. La folla ha battuto le mani quando il generale è apparso in pubblico. Alcune centinaia di studenti, in una piazzetta attigua, erano impegnati Invece in una sitting demonstration contro l'elezione del generale. Ai riti della democrazia Il generale Ludvik Svobodà, da sinistra, ieri a Praga dopo l'elezione a Capo dello Stato, brinda con il presidente dell'Assemblea nazionale, Lastovicka, e con Dubcek, segretario del partito comunista cecoslovacco (Tel. Ansa) esercito durante la prima guerra mondiale, con i gradi di tenente. Faceva parte dell'80 reggimento di fanteria che combattè sul Piave. « Ero un legionario cecoslovacco dell'esercito italiano — mi ha confermato Marek, ancora fiero della sua uniforme stinta —, ho com¬ battuto contro gli austriaci. Mio padre, ufficiale dell'esercito austro-ungarico, era dall'altra parte ». Massimo Conti borghese i comunisti hanno voluto aggiungere, per la circostanza, anche una cornice capace di simbolizzare lo spirito di « rinnovamento » del paese. In fila davanti alla cattedrale gotica che chiude da un lato la corte del Castello, ho visto i massimi dignitari delle Chiese cecoslovacche, dal vescovo cattolico Tomasek (rinchiuso negli anni scorsi in un campo di lavoro forzato) al rabbino di Brno. Su un altro lato della corte erano disposti giovani boy-scouts, che in questi giorni sono stati « riabilitati » dopo la messa al bando della loro organizzazione da parte del regime stalinista. A salutare il nuovo Presidente c'erano infine alcuni pittoreschi personaggi, i reduci dalle campagne della prima e della seconda guerra mondiale. Tutti coloro che nelle due guerre combatterono per gli alleati occidentali erano caduti in disgrazia sotto il regime di Novotny. Adesso, anche per loro, c'è stata la riabilitaziflne. In mezzo ai reduci, con i petti carichi di medaglie, ho trovato Carlo Marek. Vestiva l'uniforme del nostro