Nelle miniere d'oro più grandi del mondo di Mario Ciriello

Nelle miniere d'oro più grandi del mondo Tutto l'Occidente si rifornisce dal Sudafrica Nelle miniere d'oro più grandi del mondo (Dal nostro inviato speciale) Johannesburg, marzo. Per vedere una miniera d'oro — qui a Johannesburg — non occorre andar lontano. Basta un tassi. Percorre la via principale, Commissioner Street, e, all'inizio della periferia, vi lascia davanti le Crown Mines, profonde due chilometri. Oppure l'autista vi conduce a un moderno drive-in cinema, una di quelle sale all'aperto dove si assiste allo spettacolo dalla propria automobile. Il cinema poggia su detriti di minerale aurifero: di giorno, si scava a breve distanza. Come Venezia è figlia della Laguna, cosi Joannesburg è figlia e regina dell'oro. Le miniere — dalle quali esce quasi il 75 per cento della produzione occidentale — la lambiscono, la circondano, le diedero prima vita, indi potenza. Johannesburg — oltre un milione d'abitanti, piuttosto brutta — non esisteva prima del 1886, la località non aveva attratto nessuno; non v'erano né fiumi né laghi, l'accesso era difficile. Ma, nel febbraio di quell'anno, un certo George' Harrison cambiò il corso degli eventi. Scavava nel terreno di una fattoria, alla ricerca di pietre, quando un masso accese il suo interesse. Harrison aveva lavorato nei giacimenti d'oro australiani e se ne intendeva; esaminò il materiale, era quarzo aurifero. Aveva scoperto il più ricco filone della storia. Subito esplose la « corsa all'oro ». Una differenza fondamentale distingue l'avventura in Sudafrica dalle altre tre. In California, in Australia, in Canada, l'oro era alluvionale, giaceva sul letto dei fiumi, bastavano per raccoglierlo fatica e fortuna, ogni individuo era un'impresa indipendente. Non in Sudafrica. Qui, il metallo doveva essere estratto dalla terra, e col passar degli anni, a profondità sempre maggiori; occorrevano dunque investimenti, attrezzature, insomma un'industria. A crearla furono i « diamondmen ». Erano questi gli uomini — Eckstein, Rhodes, Rudd, Barnato — che, nei ventanni precedenti, avevano eretto imperi finanziari a Kimberley, più a sud, la città dei diamanti: senza i diamanti non si sarebbe avuto l'oro. A soli due anni dalla scoperta del minerale aurifero, l'industria aveva già ■una sua struttura, che il tempo non ha mutato. Al vertice, vi sono sette « Case finanziarie », di cui la più potente è VAnglo-american corporation, nata nel 1917, una delle ultime arrivate. Creata dal leggendario Sir Ernest Oppenheimer (colui che ordinò al suo architetto « Voglio una sede imponente, un po' banca e un po' cattedrale»), è diretta adesso dal figlio Harry. Ciascuna delle 52 miniere d'oro è una società a sé, con proprio capitale, propri titoli, proprio consiglio d'amministrazione: ma, attraverso una rete d'interessi azionari, sono tutte controllate da una o più delle sette «Case», dalle quali ricevono altresì investimenti ed assistenza tecnica e commerciale. Il filone trovato da George Harrison dove oggi torreggiano i grattacieli di Johannesburg, fu presto esaurito; ma i geologi ne seguirono le ramificazioni per un arco, di 500 chilometri. Le si scorge da lontano, queste miniere. Le colline dei detriti — curiose figure geometriche, diverse nella forma secondò la sostanza — si stagliano contro il cielo già rannuvolato dai venti d'autunno. L'aria è fredda (è nevicato sulle montagne verso le frontiere col Mozambico); gli uomini lavorano a mille, duemila, tremila e più metri. La vena d'oro, esilissima, appena visibile, corre lungo i cunicoli schiacciati tra due primordiali strati di ghiaia. Non si può staccare il solo filone, bisogna sbranare la parete. Si portano alla superficie, in un anno, ottanta milioni di tonnellate di roccia per estrarne meno di mille tonnellate di oro. Gli unici progressi possono ormai venire solo da ardui sviluppi tecnologici ( scavi a maggior profondità, taglio della vena nel sottosuolo), non dalla scoperta di nuovi giacimenti. Alla Camera delle miniere, gli esperti dicono: « Abbiamo esplorato il Sudafrica millimetro per millimetro. I depositi vergini sono pochissimi: ed è discutibile se valga la pena di sfruttarli ». Molto dipenderà dagli eventi internazionali: un forte rialzo nel prezzo del metallo indurrebbe i produttori a un maggior sforzo tecnico. Merita farlo? Neppure la demonetizza¬ zione dell'oro dovrebbe — in teoria — arrestarne la ricerca almeno per qualche anno. La maggioranza dell'oro affluisce non alle banche centrali, bensì ai privati, e molto tempo dovrà passare prima che Asia e Medio Oriente abbandonino la cieca fede in questo metallo (la sola India raccoglie un sesto della produzione mondiale). Né si dimentichi la crescente richiesta di oro per uso industriale. Raddoppiata tra il '59 ed il '67, essa assorbe ora un terzo del metallo: un microscopico circuito aureo sostituisce nei computers chilometri di fili; sui missili un diaframma d'oro protegge dal calore i più delicati strumenti; in America, in Australia, in Sudafrica aumentano gli edifici — fra cui alcune chiese — che si difendono dal sole non con i condizionatori d'aria ma con un aureo velo sul tetto ed i muri (bastano poche once). La lunga storia dell'oro non è finita: vi saranno altri affascinanti capitoli. Basta solo ricordare l'avvertimento di Disraeli: « L'oro fa facilmente schiavi. Più dell'amore ». Mario Ciriello

Persone citate: Barnato, Crown, Disraeli, Ernest Oppenheimer, George Harrison, Rhodes, Rudd