Non ancora rilasciati i due rapiti malgrado l'appello del bandito Mesina di Giuseppe Fiori

Non ancora rilasciati i due rapiti malgrado l'appello del bandito Mesina I gregari del fuorilegge sardo catturato non ascoltano più il loro capo? Non ancora rilasciati i due rapiti malgrado l'appello del bandito Mesina I familiari del possidente Campus e del meccanico Petretto hanno atteso invano di riabbracciare i loro cari - Forse i briganti attendono, per liberare gli ostaggi, un momento più propizio - Come gli abitanti di Orgosolo giudicano il bandito - I parenti di Mesina non credono che sia stato lui a sequestrare il Petretto (Dal nostro inviato speciale) Orgosolo, 28 marzo. Nessuna risposta per il momento all'appello che ieri Graziano Mesina ha rivolto via radio ai suoi gregari custodi dei due giovani di Ozieri, Giovanni Campus e Nino Petretto (« Vi scongiuro di rilasciarli sani e salvi. Non uccideteli. Rilasciateli. I vostri nomi non saranno mai svelati»). L'appello è stato ripetuto nelle successive edizioni del «Gazzettino sardo », molto seguito dai fuorilegge. Ma la prigionia dei due ostaggi si è prolungata d'un giorno: il ventiduesimo per il possidente Campus, il dodicesimo per il meccanico Petretto. Tutti sì chiedono cosa vorranno fare i banditi dopo l'appello del loro capo, confessatosi responsabile dei due sequestri. Aderiranno alla direttiva ricevuta o uccideranno gli ostaggi? Per una previsione non arbitraria sono tenuti in giusta considerazione alcuni elementi centrali. Il grado di autorità conservato da Mesina, ora che non è più libero, sembra aspetto secondario. Potrebbe non avere l'ascendente di prima e tuttavia le parole dette alla radio sono giudicate decisive per quest'altra ragione: i banditi sanno adesso che Mesina ha confessato. Non rivelerà i loro nomi, però la confessione. restringe l'area delle indagini ed ognuno dei gregari si sente investito dal sospetto. Cioè i sorveglianti di Giovanni Campus e di Nino Petretto non possono più illudersi di stare dentro una nebulosa: l'ammissione di Mesina svela in qualche misura anche la loro identità. Ed ecco per essi l'alternativa: rilasciare i due ostaggi oppure esporsi ad una lunga carcerazione per omicidio. Non sfugge, infatti, ai banditi il rischio, oggi più di prima, di essere individuati. Forse non hanno liberato ancora Campus e Petretto per la troppa polizia mobilitata nelle campagne. E' possibile che aspettino di allontanare gli ostaggi dai nascondigli in un momento più propizio. Secondo la polizia gli ausiliari di Mesina sono diciotto. Da ieri l'attenzione è rivolta ad essi con il fondato sospetto che in loro mani sia la vita dei due giovani di Ozieri. Non si tratta di latitanti. La nuova leva criminale ha una composizione diversa da quella solita: accanto ai pastori pregiudicati ecco uno strato di giovani insospettabili, estranei al mondo degli ovili anche se di estrazione pastorale, forse reduci dalla grande città straniera o dal Nord, muniti di patente per la guida, eleganti, incensurati. Di giorno in un bar di Orgosolo davanti al jukebox, e al calar della sera impegnati come postini di lettere estorsive, come portatori di vettovaglie, come custodi dell'ostaggio. I 18 gregari di Mesina appartengono a larga parte di questa fascia delìnauente. Siamo venuti ad Orgosolo stamane al risveglio del paese. E' il giorno secondo dell'era dopo Mesina. I giornali vanno a ruba; si formano crocchi davanti ai bar: discusse le circostanze della cattura, l'autenticità dell'appello. Tentiamo di cògliere le reazioni. Non può ridursi a schema il sentimento dominante: non allegria, non dolore. Sono posizioni sfumate, ed ecco qualche battuta: « ci saranno meno perquisizioni, meno proposte per l'invio a domicilio coatto. L'arresto di Mesina è dunque per noi tutti un sollievo, non perché ci facesse male direttamente, ma per lo stato di mobilitazione armata che la sua presenza provocava in paese, con le conseguenze immaginabili a danno di noi tutti ». « Poteva finire ucciso: meglio che sia stato preso ». Il clima è ancora di simpatia. Dicono: « Non ha mai ucciso un ostaggio, a differenza di altri banditi. Era un moderato. Molti debbono la vita a lui, che riusciva ad imporsi sui sanguinari)). Alcuni osservano: « Temevamo la riapertura di una spirale di sangue tra Mesina ed il gruppo delle famiglie nemiche. In 18 mesi di latitanza, pur avendone avuta l'occasione, non ha mai sparato un solo colpo sugli avversari ». Entriamo in una scuola. Si misura meglio il danno prodotto da Mesina ascoltando i ragazzi di questa terza media. Forse più dei possidenti rapiti, essi paiono sue vittime; vittime d'un mito corruttore. Di Mesina piace il fegataccio, l'astuzia, l'abilità acrobatica nelle molte evasioni. Ripetono: «E' un giovane coraggioso, valente ». Ed all'obiezione: « Ma Queste sue qualità erano messe al servizio del personale egoismo, e non d'una causa giusta », trovano giustificazioni: « Da latitante non poteva lavorare come gli altri. Ha fatto il male perché impossibilitato a fare il bene ». Stona, con questo ritratto agiografico di Graziano Mesina, assai diffuso ad Orgosolo, il rapimento di Nino Petretto, respinto dalla coscienza popolare. Il sequestro di un ricco non turba. Restituisce soldi fatti chissà come. Ma Petretto è un operaio, uno che si sporca le mani di grasso. E Mesina lo ha rapito. « Non doveva farlo », sentiamo dire. « Non lo avrei mai creduto ». Ultimo tentativo di giustificazione è di attribuirne la responsabilità a un uomo malvagio, dal quale Mesina avrebbe avuto soltanto il torto di lasciarsi influenzare. Andiamo da zia Caterina Pinna, madre di Graziano. Sessanta anni, il viso scavato per quel poco che s'intravvede sotto il fazzoletto nero, rigirato sul mento così da lasciare scoperti solo occhi e bocca. « La confessione è un trucco. Non ci credo. Non era la voce di Graziano », dice. Ma viene spontaneo a chi l'ascolta, per quanto impietoso sia il compito, precisarle le circostanze in cui l'appello al banditi è stato, registrato. Zia Caterina continua a scuotere la testa, anche lei turbata da un'ipotesi di partecipazione di Graziano al sequestro di Petretto. E la figlia Giuseppa le viene in soccorso: « Se veramente è stato lui a dire le parole sentite alla radio vuol dire che gli avevano dato cosa ». E' un'espressione ambigua. « Che cosa? », domandiamo. « Droga ». Dei fratelli di Graziano due, Antonio e Pietro, stanno a Budoni, un paesino a 20 chilometri da Olbia; sono proprietari d'un panificio. Nicola è ad Orgosolo: 38 anni, manovale. Meno risolutamente respinge l'ipotesi che sia stato il fratello a rapire Campus e Petretto. Il racconto di come il giornalista della radio ha raccolto sul magnetofono l'appello di Graziano ai banditi toglie il dubbio sull'autenticità di quella voce ascoltata anche in televisione. E'scosso: «Tante volte gli avevo detto: costituisciti. Mi avesse dato retta... » e non sa aggiungere altro. Grazia Salis, la moglie, culla in braccio il terzo nato, di venti giorni. Con avvilimento dice: « Non posso pensarci. Siamo disonorati». Poi reagisce e accalorandosi corregge: «Ma Graziano con Petretto non c'entra. Sicuramente non lo ha fatto lui. Non ci credo alla dichiarazione via radio». Tenta evidentemente di im¬ porsi una convinzione che in qualche momento vacilla. Forse Petretto, il meccanico dalle mani sporche di grasso, potrà vulnerare un mito che altre imprese giudicate leggendarie e comunque non biasimate avevano contribuito a rendere tenace. Giuseppe Fiori La gente di Ozieri dinanzi alla casa di Campus dopo che s'era diffusa la voce della liberazione del rapito (Telef.) .