Il Veneto «bianco» e pacifico non darà dispiaceri alla dc di Gigi Ghirotti

Il Veneto «bianco» e pacifico non darà dispiaceri alla dc Come gli Italiani voteranno a meta maggio Il Veneto «bianco» e pacifico non darà dispiaceri alla dc Capi del partito (compreso il segretario Rumor), ministri, notabili possono contare su collegi sicuri - C'è qualche zona tra il rosso ed il roseo: nuovi centri industriali, paesi depressi nel Polesine e nel Bellunese - Ma la regione non è incline alle scosse drastiche, ai mutamenti rapidi - Gli studenti di Padova, prima di sgombrare l'Università, hanno spazzato le aule - Il Comitato della programmazione ha cercato di accontentare proprio tutti, rinunciando alle «priorità» per il buon accordo (Dal nostro inviato speciale) Venezia, marzo. Strade, autostrade, superstrade: alzi la mani chi ne vuole. L'area depressa meridionale della regione ne voleva due. Niente paura: d'una strada di venti metri, se ne fan due da dieci e l'area depressa meridionp le, « poareta», è contentala. Il Bellunese protesta che lo si dimentica. Oh « poareto » anche lui: lo si serve subito d'autostrada che, nella valle del Comelico, ad un certo punto s'infila dentro la montagna e sbuca fuori dall'altra parte, in Austria. Gli austriaci questo traforo non se l'aspettavano; anzi, pare che abbian detto che non lo gradiscono affatto. Ma come si fa a lasciare i bellunesi, « poareti », senza il traforo? I tecnocrati insistono perché si concentrino i servizi: un macello per ogni paese è troppo, meglio uno grosso che serva quattro o cinque paesi insieme. Ma i tecnocrati, « poareti », sono un po' poeti: bisogna lasciarli dire. Poi la politica, la debbono fare loro, i sindaci, gli amministratori comunali e provinciali. Se si fosse lasciata carta bianca al Comitato regionale veneto per la programmazione, le Alpi, così ingombranti, sarebbero trapanate come una forma di gruviera in pochi anni. Una soave avventura ha corso la programmazione economica planando in terra veneta. Nelle sue ispirazioni originarie, il Piano era affare di scelte, impegno di coordinamento, severa selezione delle spese in ordine alle necessità prioritarie. Aprendo le ottocento e passa pagine del Piano alla veneta, che nei giorni scorsi è stato presentato e firmato dal Comitato regionale per la programmazione, s: scopre che per non far torto a nessuno tutte le scelte sono dichiarate prioritarie. Ma i più prioritari di tutti sono i lavori destinati a sollevare dalla loro depressione il Polesine e il Bellunese. II Comitato per la programmazione aveva l'aria di un fraterno consesso, tendenzialmente portato a interpretare il Piano come un pacco-dono natalizio da posare tra il Po, il Garda, le Dolomiti e la Laguna, a gioia dei veneti. Onestuomini, buoni cristiani, robuste intelaiature di tipo alpino, questi quaranta o quarantacinque padri di famiglia che avevano il compito, di tracciare le linee per il Veneto del prossimo futuro, erano animati dal lodevole, proposito di sopire ogni contrasto; se appena una discussione cominciava a degenerare, c'era sempre qualcuno che aveva l'aria d'attaccare un coro alpino, smussando gli angoli al ritmo della Montanara ohe. E adesso i veneti hanno il loro bel Piano, che prospetta per il futuro una regione aperta e competitiva, policentrica e slittante. Policentrica perché, pur nel rispetto a Venezia, ogni città si sente un po' in corpo l'orgoglio d'una capitale mancata; e slittante, perché il Veneto dovrebbe accogliere le industrie che nella Lombardia congestionata non ci stanno ormai più. Preoccupazione somma dei buoni papà del Piano alla veneta è stata quella di conservare, pur nelle trasformazioni rese necessarie dallo sviluppo industriale, quell'« esemplare ambiente di vita civile ereditato dal passato e costruito a misura dell'uomo ». Sul tavolo dei programmatori era rimasta la Preganziol-Brusaporco, umile e dimenticata ferrovietta nel Trevigiano sulla quale i tecnocrati puntavano l'indice con insistenza: « E' un ramo secco, bisogna tagliarlo! ». Infatti, da anni ormai i brusaporcini non fanno più uso del treno, ma di auto e di moto, per recarsi all'operosa Preganziol. Economicamente, è un disastro; pendolarmente, non serve a nulla. Dunque, i programmatori afferrano la mannaia, tagliando il ramo secco? Nemmeno per idea: la Preganziol-Brusaporco, « poareta », potrebbe servire ai brusaporcini degli anni duemila, chissà, e in ogni modo non c'è nessuno che si senta il cuore di compiere una simile efferatezza ai danni dell'onesta ferrovia. Naturalmente abbiamo fatto il nome di una immaginaria ferrovia che però simboleggia alcune ferrovie secondarie ben reali. Questi programmatori allergici a qualsiasi violenza, tolleranti e benpensanti, cuor d'oro e voti sicuri, mi sembrano l'immagine del Veneto pre-elettorale. Il Veneto del 1948 portò concorde il suo voto alla democrazia cristiana. Allora, era un paese essenzialmente agricolo. Oggi è agricolò-industriale con pronunciate vocazioni al turismo, al commercio, alle attività umanistiche che si esprimono soprattutto in centri di cultura e di ricerca. Tuttavia voterà come vent'anni or sono. Ci sarà qualche ombreggiatura tra il rosso e il roseo in coincidenza con i grandi centri industriali e con le zone maggiormente depresse, il Polesine e il Bellunese; ma la regione non ha mutato il suo atteggiamento di fondo. Dai collegi sicuri, dalle circoscrizioni fedelissime si affacciano ministri, sottosegretari, notabili del partito con alla testa il suo leader, Mariano Rumor. Per chi voterà Toni, per chi voterà Maria? Quand'erano contadini, votavano per lo scudo crociato. Adesso, con un piede nel campicello e l'altro in officina, fanno i soldi a fabbricare scarpe, maglie, mobili, elettrodomestici. La congiuntura pass'ò e quasi non s'accorse della miriade di fabbrichette ch'era esplosa nella pianura veneta: troppo piecoline, e poi vendevano prevalentemente all'estero, e infine avevano tutte quest'uscita di sicurezza verso la campagna che garantiva il pane quotidiano e il vino della tinozza familiare. I pensieri dominanti sono quelli d'una società pre-opulenta che non ha fretta e vuol camminare sul sicuro. Cambiare, e perché mai? Nelle settimane scorse gli studenti di Padova occuparono alcune facoltà. Ma, sloggiati, si preoccuparono di spazzare in terra prima di lasciare le aule. Non ruppero né un calamaio né un vetro: maoisti che vanno a Messa, rivoluzionari che conservano il rispetto per le regole della buona creanza. Anche quest'episodio mi pare che illumini sullo stato d'animo che muove il veneto verso le urne della metà di maggio: un'avanzata benpensante. Ieri, lo spaventò il comunismo, adesso lo sostiene ,la speranza che si faccia la Regione. Una Regione che promette bene. Gigi Ghirotti

Persone citate: Mariano Rumor, Rumor