Il dramma del Vietnam al «Festival dei popoli»

Il dramma del Vietnam al «Festival dei popoli» La rassegna del «film sociale» a Firenae Il dramma del Vietnam al «Festival dei popoli» Le opere più interessanti sono apparse quelle dei documentaristi americani, che cercano di chiarire il segreto della Resistenza nordvietnamita - Una scottante pellicola canadese girata in un centro psichiatrico (Dal nostro inviato speciale) Firenze, 7 marzo. Il « Festival dei popoli » è alla quarta giornata di proiezioni: quanto basta per toccargli il polso. Già si può dire che questa nona edizione si vada avvantaggiando del cambiamento di formula. La vecchia sottodenominazione di « Rassegna del film etnografico e sociologico », quantunque così a tenaglia, finiva coll'afferrare un qualcosa che non collimava mai perfettamente con nessuno dei due termini. Peccava, davanti alle cose che non sono mai precise, di troppa precisione. La nuova invece, « Rassegna del film di documentazione sociale », lavora meglio: perché, a ben pensarci, che cosa c'è, nel cinema di testimonianza e informazione, che non sia « documentazione sociale »? Oggi il Festival fiorentino, così slargato nel concetto informatore, si può paragonare a Diogene che andava in cerca dell'uomo; salvo che il suo viaggio non conosce confini e che invece d'un modesto lanternino esso adopra il mezzo d'investigazione più potente che ci sia. Anche il pubblico, che 10 frequenta foltissimo, si siede con le idee più chiare; il che ha la sua importanza. Certo il cambiar nome alle cose è appena un primo passo per rettificare le cose stesse. Il cinema documentario può esser fatto in tante maniere, da tante angolazioni, sotto spinte tanto diverse, che incongruenze, contraddizioni, urti tra contenuti e forme eterogenee, si possono ancora notare, e si sono notati, nel nuovo corso della rassegna di Firenze, che soltanto mutando nel profondo la propria struttura, si salverà dal pericolo d'un certo ibridismo. Ma per questo sarebbero necessarie garanzie di sicurezza e solidità organizzative che purtroppo il Festival ancora non conosce. Il lettore ha già saputo che a tutt'oggi la rassegna ha avuto al suo attivo alcuni film della sezione monografica (esclusa dal concorso) sul tema « Tecniche arcaiche del lavoro »: sopravvivenze toccanti e, al nostro gusto, ormai favolose, d'un mondo dove l'uomo opera ancora da sé, su ritmi biblici, senza l'aiuto delle macchine. E buone tracce ha lasciato la selezione americana, la più cospicua di tutte e tutt'altro che conformistica, chi abbia veduto Profilo d'una marcia per la pace di Weiss e Vietnam del Nord, rapporto personale del giornalista Felix Greene. Specie quest'ultimo, mirante a chiarire il segreto della Resistenza nordvietnamita, si è fatto apprezzare come un vigoroso prospetto dello spirito pacifistico che anima larghi settori della pubblica opinione statunitense, avversi della politica dell'escaZation. Proprio perché americano, il film è eloquente nella stessa misura in cui sono spesso fastidiosi, perché faziosi, alcuni documentari in favore della pace nel Sud-Est asiatico. Non si sbaglia a dire che 11 protagonista della rassegna sembra essere quest'anno il Vietnam (insieme con la sua torva consorella, la psicopatologia). Dopo una lenta dissertazione sui costumi di un villaggio indiano ( Undala, presentato dagli Usa) e un più interessante lungometraggio canadese di Alan King iWarrendale) consistente in un servizio televisivo, non trasmesso, girato nell'interno d'un centro psichiatrico della periferia di Toronto, siamo oggi tornati al tema che più scotta con l'americano Figli e figlie di Jerry Stoll, che ripigliando il motivo del succitato documentario di Weiss tratta delle dimostrazioni di protesta contro l'intervento americano nel Vietnam organizzate dagli studenti dell'Università di Berkeley, in California, trapassando poi dalla cronaca all'analisi di quello spirito protestatario, stratificato d'una quantità di problemi (morali, economici, razziali) particolarmente sentiti, anzi sofferti dai giovani. Al paragone è risultato un po' ozioso l'altro documentario della giornata Super artist, Andy Warhol (Usa) diretto da Bruce Torbet, ritratto « parlante » d'uno dei più cospicui rappresentanti, insieme con Leo Castelli e Henry Galdzahler, della « Pop Art » nuovaiorchese. Il che non si potrebbe dire del film presentato nella sezione monografica Giudizio affrettato di Emile De Antonio, americano anch'esso, che trattando dell'istruttoria del¬ l'assassinio di J. F. Kennedy, ripropone (senza ovviamente risolverlo, ma facendone sentire la complessità) quel funesto enigma della storia recente, funesto in sé e nelle conseguenze che ha avuto per gli Stati Uniti e per il mondo. Leo Pestelli

Luoghi citati: California, Firenze, Stati Uniti, Usa, Vietnam, Vietnam Del Nord