Il parere di un cattolico che non ha mai votato dc

Il parere di un cattolico che non ha mai votato dc IL MONETO DELL'EPISCOPATO ITALIANO Il parere di un cattolico che non ha mai votato dc Il nostro collaboratore Arturo Carlo Jemolo, professore di diritto ecclesiastico, storico e giurista insigne, autorevole continuatore di quella che può definirsi la gloriosa corrente del liberalismo cattolico italiano, ci invia questo articolo: che riflette un'esperienza personale, ma è interessante per tutti. Non ho sottoscritto l'indirizzo di protesta, che un gruppo di cattolici italiani — tra cui qualcuno ai miei occhi di altissimo prestigio morale — ha rivolto al cardinale Urbani contro l'invito della commissione vescovile a mantenere nelle prossime elezioni politiche la unità dei cattolici. A chi mi invitava a quella sottoscrizione risposi che la protesta partiva da persone che tutte, o quasi tutte, od appartenevano a quella che suol chiamare sinistra cristiana od avevano già appartenuto all'ala sinistra della democrazia cristiana, e si appellavano soprattutto al Concilio ed alla separazione della religione dalla politica proclamata più volte dalla Chiesa negli ultimi dieci anni. Sarei stato un elemento eterogeneo io che non solo non ho mai votato per la democrazia cristiana; ma che il problema della libertà di orientamento politico del cattolico lo risolsi quando avevo venti anni, né ho avuto poi dubbi sulla soluzione allora adottata; pure non cercando mai proseliti e ricordando ad altri cattolici che mi chiedevano consiglio che i problemi di coscienza ciascuno deve risolverli da sé. Non ho sottoscritto, ma concordo con le idee espresse dalla protesta. Non vorrei ripetere qui ancora una volta il troppo noto spunto: ci sono gli indirizzigenerali della Chiesa, « ma poi l'Italia è un'altra cosa »: di qualsiasi problema si tratti, compreso il tema legislazione statale e divorzio'. Vorrei invece ricordare che un elettore può trovarsi di fronte al monito: obbedire a Dio prima che agli uomini, che non è dubbio valga anche di fronte ai superiori ecclesiastici. Ogni canonista può citare vari esempi in cui il fedele, anche l'ecclesiastico, deve accettare la punizione, ma non obbedire se pensa che l'obbedienza integrerebbe per lui un peccato. Ora io ho sempre creduto — e penso che nessuna coscienza religiosa, di qualsiasi Chiesa, abbia una diversa opinione — che la politica non sia un ambito sottratto alla morale, che non ci possa essere un bene politico costituito da un coacervo di peccati. Ritengo quindi che sia un dovere dell'elettore di considerare i candidati; e se ne riscontri di quelli per cui sappia che il proprio interesse personale, il conservare if proprio seggio sia il porro unum, ed ogni decisione da assumere, nei voti in Parlamento, nei rapporti con gli elettori, nel patrocinare i loro interessi presso lo Stato e gli enti pubblici, sia detcrminata da questo sommo bene da conservare, debba rifiutare loro il voto. Tralascio i casi più gravi, di parlamentari che non traccino un solco distinto tra attività politica e professionale, percependo come professionisti compensi per interventi che traggano il loro peso dalla qualità di deputato, o i casi gravissimi di tolleranze o, peggio, sospette connivenze con la mafia. Non intendo con ciò affermare che le liste del partito cui i cattolici dovrebbero indirizzare il loro suffragio, siano deteriori a quelle di altri partiti. Se pure osservi che qualche uomo veramente esemplare non è stato mai utilizzato su posizione di primissimo piano, vedo in ogni settore della de, anche in quello di destra da cui naturalmente mi sento più alieno, uomini illibati ed insospettabili. Ma quel dovere di coscienza ritengo sussista per tutti gli elettori di ogni partito, e poiché ncn cè una lista nazionale ma liste regionali, credo che in ogni collegio il dovere del cattolico sia di votare per la lista che contenga uomini integri, sol che non si tratti di decisi apostoli di ateismo o di odio; e oggi, tolti quei due margini estre¬ mi, non vedo partiti che si possano considerare nemici della religione o della Chiesa. Che se poi ci fòsse un collegio così disgraziato in cui l'elettore non ritrovasse in alcuna lista gli uomini dabbene, credo che il dovere di coscienza sarebbe l'astensione. La commissione vescovile, per poter dare quel monito dovrebbe assumersi una responsabilità che non vuol certo prendere: quella di garantire per tutti indistintamente i candidati. Ma penso che l'elettore abbia anche il dovere di esprimere con il voto la sua idea su quello che è il bene del paese, dei pericoli che corrono le istituzioni di questo. Ora credo che siamo in molti in Italia a pensare che si avverta una debolezza di tali istituzioni. . All'indomani della guerra, il partito che prese in mano la direzione del paese ritenne di dover curare un corpo molto debole adottando terapie molto blande: evitare urti, scandali, non sanare abusi già esistenti, non scontentare gruppi, anche se i loro interessi urtassero con quello generale. Uomini integri ed insospettabili tollerarono, chiusero gli occhi su troppe cose. Molto anche potè l'assillo di un pericolo di sovversione, che, a mio parere, dal '45 non è mai esistito per l'Italia. Però, nei venti anni non sono soltanto rimasti vecchi abusi, ma ne sono sorti molto più numerosi dei nuovi. Non si è più pensato che all'interesse dei gruppi, non a quello dello Stato. L'indulgenza e la tolleranza hanno dato luogo ad uno scadimento del senso di autorità; si è dimenticato che il principio delle democrazie è che la minoranza deve accettare le leggi che la maggioranza forma. La ribellione alle leggi, le pressioni sul Parlamento perché voti date leggi se non vuole che scioperi di dipendenti statali paralizzino la vita del paese, sono divenuti episodio quotidiano. Com'era naturale, questo ha prodotto uno stato di generale scontento, uno scadimento della fiducia nelle istituzioni. Si vedono nel partito di maggioranza disposizioni a unni i iiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiim^ mutare rotta, a non dilazionare problemi, ad accettare impopolarità? A liberarsi degli clementi deteriori (pure se nei loro collegi siano quelli che più facciano convergere voti sulla lista), od anche semplicemente di clementi inadatti per un nuovo corso? L'elettore che ritenga di sì, che la prossima legislatura stroncherà abusi, fermerà gli sperperi, falcerà enti inutili e sinecure, potrà, sotto questo rapporto, votare con coscienza tranquilla. Chi invece pensi che la prossima legislatura somiglierà a quella che ora si chiude, non credo che potrà comportarsi nello stesso modo. Organi della de hanno scritto che la protesta diretta al cardinale Urbani non avrà alcuna ripercussione nelle prossime .elezioni. Credo sia una previsione QIIIIIIIIIIIIIIIIIIMIinUIIMIIIIIIIIIIIIIIIIIIMIIIIIIII fondata. E se il suo realizzarsi dipendesse da una meditazione compiuta dai cattolici di tutti i collegi elettorali, che li avrà portati a ritenere persone integre tutti gli iscritti nelle liste, e consona al bene, anche e soprattutto morale, del paese, la politica del partito di maggioranza, sarà per questo il massimo successo desiderabile vedere confluire su di lui la percentuale di voti che non subì ingenti alterazioni nelle elezioni succedute a quella del 1948. Ma se invece il conservare la maggioranza significasse che gli elettori cattolici non hanno creduto di dover affrontare quella meditazione, di porsi problemi, occorrerebbe dare ancora un giudizio negativo sulla coscienza religiosa degli italiani. A. C. Jemolo

Persone citate: A. C. Jemolo, Arturo Carlo Jemolo, Urbani

Luoghi citati: Italia