Gli impiegati della «Sutto e Gaino» negano che i conti della banca fossero falsificati di G. M. Alberto Gaino

Gli impiegati della «Sutto e Gaino» negano che i conti della banca fossero falsificati Le testimonianze sul clamoroso dissesto di Acqui Gli impiegati della «Sutto e Gaino» negano che i conti della banca fossero falsificati Soltanto i bilanci erano stati co nini fìat ti per non prestare le prescritte garanzie alla Banca d'Italia - Uno degli ex dipendenti afferma che Giovanni Sutto, benché socio dell'istituto di credito, non apriva neppure la corrispondenza: «Non se ne intendeva, chiedeva a noi come fare» - I testi minori (artigiani, esercenti, commercianti) dichiarano: «Siamo stati risarciti fino all'ultimo soldo. Abbiamo avuto anche gli interessi » - Oggi il Tribunale interroga i periti contabili (Dal nostro inviato speciale) Acqui Terme, 28 febbraio. Sfilano a decine davanti ai giudici piccoli artigiani, commercianti, esercenti. Ripetono: « Sì, sono stato risarcito fino all'ultimo soldo. Ho avuto anche gl'interessi ». Quello della banca « Sutto e Gaino » è stato un dissesto senza drammi Questi commercianti sono gli stessi che hanno firmato prima di Natale una petizione perché ad Alberto e Tommaso Gaino fosse concessa la libertà provvisoria. L'unico dramma — se è vero che sono usciti dalla tempesta senza un soldo — è quello degli imputati. Alberto Gaino ripete: «La banca era la mia vita: ci sono entrato nel 1914, a diciassette anni. Nel 1919, dopo il servizio militare, ero già capo-contabile. Il più giovane d'Italia. Nel 1924 mi sono messo per conto mio ». Come il figlio, è comparso al processo vestito dimessamente, con la camicia un po' lisa e la cravatta fuori moda. Tra Giovanni Sutto e i due Gaino si è manifestata oggi qualche incrinatura. « Non so nulla, non ne capivo nulla », ripete il primo. Il presidente gli chiede: « Nemmeno che uno dei suoi soci faceva degli affari a nome proprio e non della banca? ». E quando Sutto allarga le braccia sconsolatamente, l'ing. Gaino si agita sulla panca: « Ora si sta esagerando ». Il presidente incalza: « Non sapeva che erano Intestate a lui le azioni della società Rizzolio? ». E l'ingegnere esplode: « Come poteva non saperlo se faceva parte del Consiglio di amministrazione della società? ». Che Giovanni Sutto fosse una figura secondaria l'hanno comunque confermato oggi gli impiegati Guido Marenco, 40 anni, via Nizza 1S, e Rosanna Olcuire in Giacobbe, piazza Matteotti 3: « Era iiiiiiiiiniinininiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiHiii un impiegato qualunque: come socio di diritto avrebbe dovuto essere dirigente, ma non apriva nemmeno la posta. Faceva lo sporte'lista, poi è passato al portafoglio sconti. Di sua iniziativa si limitava a scontare qualche piccola cambiale. Non se ne intendeva, chiedeva a noi come fare ». Uno dei capisaldi dell'accusa è che la contabilità della banca è stata falsificata. La signora Olcuire nella sua deposizione lo ha smentito: « No, tutte le operazioni di cassa le annotavo io ogni sera nel cosiddetto "registro di prima nota ". Era sempre perfettamente a posto. Poi lo consegnavo ad altri impiegati che ripartivano le annotazioni nei diversi registri ». La difesa ammette che se nella contabilità c'erano degli artifici, tendevano all'unico scopo di nascondere alla « Banca d'Italia » il reale ammontare dei depositi per non prestare la prescritta garanzia: « Falsi erano i bilanci inviati a Roma, questo lo riconosciamo. Ma non la contabilità: gli artifici erano così semplici e scoperti che non ne inficiavano l'esattezza ». Per i profani è uno dei misteri di questo processo. Un altro riguarda un conto corrente di 130 milioni che la « Sutto «fr Gaino » aveva presso la Banca Commerciale di Alessandria. Secondo l'accusa questo conto è il pozzo tenebroso dove in un vortice molti milioni hanno finito per scomparire. I periti contabili hanno dichiarato che sarebbe opportuno chiederne l'estratto alla Banca Commerciale per un controllo, ma non è stato fatto. Sull'argomento s'è accesa oggi la battaglia dopo la deposizione di Innocente Balestri, impresario edile milanese, che panò 75 milioni in contanti e 21 in cambiali all'ina. Tommaso Gaino per un terreno. Il presidente chiede all'imputato: « Dove sono finiti questi 36 milioni? ». Imputato — Nel conto della Banca Commerciale ». Presidente — Il famoso conto dove avrebbero dovuto esserci 100 milioni più questi 36. Invece quando si andò a vedere ce n'erano soltanto due. Imputato — Sono stati spesi tutti nell'interesse della banca. Del resto, questo importo è coperto dalle dichiarazioni di due ditte, la Socomit e la Berretta Rosa, che dichiarano di aver ricevuto l'equivalente. Avv. Punzo — Chiediamo una buona volta l'estratto di questo conto alla banca. Vediamo dove sono finiti i milioni. Presidente — Vi conviene che il Tribunale acquisisca questo documento? Avvocato — Se risulterà che quei soldi ce li siamo messi in tasca andremo in prigione per bancarotta senza fiatare. Poiché il sequestro appare una operazione complessa il presidente dott. Parigi rinvia la decisione a domani, quando saranno presenti i periti e potranno offrire i loro lumi. Poi, nell'udienza pomeridiana, tenta di chiarire altri punti misteriosi della vicenda con l'interrogatorio del dott. Flaviano Vignale. E' l'ispettore che venne ad Acqui mentre la folla si accalcava agli sportelli per tentare dì ristabilire la situazione come commissario straordinario. Cominciò compilando un bilancio della situazione della banca. Presidente — Questo bilancio lo fece lei o i banchieri? Teste — Lo feci io basandomi sulle dichiarazioni dei banchieri. Il mio incarico poteva durare solo quindici giorni, non avevo materialmente il tempo di compiere indagini su una situazione così complessa. Tanto più che la contabilità era molto disordinata, tenuta con criteri impropri. Domani il Tribunale ascolterà i periti contabili. g. m. Alberto Gaino ed il figlio ing. Tommaso mentre lasciano, in auto, il Tribunale

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