«Meglio morti che vivi a questo modo» ha scritto l'autore della strage di Sanremo

«Meglio morti che vivi a questo modo» ha scritto l'autore della strage di Sanremo Una sordida storia di suicidi e delitti ii dramma «Meglio morti che vivi a questo modo» ha scritto l'autore della strage di Sanremo Il biglietto trovato accanto al cadavere dell'assassino-suicìda - La donna in questi ultimi tempi aveva rapporti con tutti e tre gli uomini coinvolti nella tragedia - Ma il folle sparatore la voleva soltanto per sé - E' piombato in casa e, dopo aver fatto allontanare i due figli dell'amica, ha sparato su di lei e sui dua rivali - Sempre gravissimo il ferito (Dal nostro inviato speciale) S «iremo, 24 febbraio. C'è tutta una storia di delitti, di suicidi, di morti ambigue e di violenze dietro la strage a rivoltellate avvenuta ieri sera a Sanremo, nel popolare quartiere della Foce: un uomo, abbandonato dalla amante e deciso a vendicarsi, è entrato nella casa della donna, ha ucciso lei ed uno dei suoi nuovi amici, ne ha ferito un altro e infine si è tolta la vita nel suo alloggio sparandosi un colpo in bocca. « Meglio morti che vivi a questo modo » ha lasciato scritto l'assassino-suicida. Il teatro del dramma è la periferia della città, una vecchia casa che sorge in un vicolo fangoso che corre lungo il torrente San Lazzaro, all'imbocco della valle del Solaro. Nella casa abita il muratore Domenico Falcone, di 57 anni, originario della Calabria, separato dalla moglie fin da quando la loro unica figlia s'è impiccata col filo della luce. Nell'alloggio accanto (una stanza e una cucina) c'è la sua ex amica, la vedova quarantottenne Angela Maria Miccoli, nativa di San Marco in Lamis (Foggia) e che ha un numero imprecisato di figli illegittimi. I due amanti sono vissuti a lungo insieme; poi — appena il muratore ha finito i soldi ricavati dalla vendita di una casetta in Calabria — lei lo ha lasciato e se n'è andata a stare da sola. Ma la solitudine della vedova dura poco. Nel suo alloggio compare il quarantunenne Giuseppe Condurso, detto « don Peppino », calabrese anche lui e uomo sempre in mezzo a traffici oscuri: la polizia infatti dice che anni fa, mentre rincasava di notte, qualcuno gli sparò quattro rivoltellate ferendolo gravemente ma lui non andò né all'ospedale né in questura: soltanto più tardi si seppe che l'attentatore era Giuseppe Mancuso, un giovane di Diano Marina finito in carcere per aver ucciso un uomo. Di questi traffici oscuri «don Peppino» Condurso met¬ te a parte anche la vedova ed ecco che nel 1962 sono entrambi arrestati per spaccio di banconote false: pare infatti che, dalla Calabria, ricevessero fasci di biglietti contraffatti da diecimila lire e li spacciassero per Sanremo e sulla Riviera. Quando la Miccoli torna in libertà non tarda a trovarsi un altro amico, il piastrellista sessantunenne Remo Rumori, nativo di Ancona e il loro « ménage » si estende al Condurso appena questi può lasciare il carcere. Il Falcone, spettatore di questa catena di tradimenti, affronta più di una volta la vedova sul pianerottolo di casa e l'insulta e la minac- eia finché lei, saltuariamente, non accetta anche qualche convegno con l'antico amante. Il Rumori lascia fare, il Falcone medita la vendetta perché vorrebbe di nuovo la donna tutta per sé. Ieri pomeriggio la vedova Miccoli, il Condurso e il Rumori vanno a giocare al casinò di Mentane. Poiché « don Peppino » non ha ancora la patente, la sua «1100 » la guida un amico, il ventisettenne Carlo Colila, originario di Zungri (Catanzaro). La comitiva torna nella casa del rione Foce verso le 20, si mette a tavola e, finita la cenai Condurso tira fuori le carte dei tarocchi. La Miccoli mette a letto i suoi due figli (Rodolfo e Raimondo scolari di 9 e 8 anni); poi anche lei prende parte al gioco. Improvvisamente qualcuno bussa alla porta: « Avanti » dice la donna. L'uscio si spalanca e appare Domenico Falcone. E' rosso in volto e barcolla: deve aver bevuto. Dà uno sguardo in giro e vede l'intruso Collia: « Tu — gli dice secco — mettiti da parte. Questi sono affari nostri ». Il giovane comprende al volo: si alza, sveglia i due bimbi della Miccoli, lì veste in fretta ed esce dall'alloggio. Ma la curiosità lo trattiene un istante sul pianerottolo. Oda la voce alterata del Falcone che si rivolge all'ex amica e a « don Peppino »: « Ho sentito voci in giro. Voi due parlate male di me ». « Sono sciocchezze, Domenico » ribatte calmo e minaccioso il Condurso. Il Rumori, che finora è stato zitto, batte un pugno sulla tavola e grida: « Basta, basta, fatela subito finita ». Qualcuno dei contendenti rovescia una sedia, ancora un tonfo e la voce del Falcone che urla: « Fermati, Condurso » poi sette colpi di rivoltella. Sono le ventidue e trenta. Collia, terrorizzato, fugge in strada trascinandosi dietro i due bimbi sbalorditi, ferma un vigile notturno, lo mette al corrente e infine telefona alla polizia. Quando nell'alloggio entrano i commissari di polizia Setajolo e Molina- ri ogni rumore di lotta è cessato. La vedova Miccoli è bocconi a terra, un colpo di pistola calibro 6.S5 le ita spaccato il cuore. Il Condurso, morto, è ancora seduto con la testa ripiegata sul tavolo: tre proiettili lo hanno raggiunto al petto e al volto. In mezzo alla cucina giace Remo Rumori il piastrellista, respira ma è in fin di vita: un colpo gli ha fratturato il braccio sinistro, un altro è entrato dalla mandibola e gli ha trapassato la testa. I medici non lo operano: stasera dicono che non si salverà. Giuseppe Mayda Angela Maria Miccoli e Giuseppe Condurso, 48 e 41 anni, uccisi a Sanremo (Tel.) Domenico Falcone, 57 anni, suicida dopo avere ucciso due persone