Gravi accuse ai 9 imputati del Vajont Introvabili i due colpiti da mandato di cattura di Remo Lugli

Gravi accuse ai 9 imputati del Vajont Introvabili i due colpiti da mandato di cattura Ufficia intente noto il testo detta sentenza istruttoria sul disastro Gravi accuse ai 9 imputati del Vajont Introvabili i due colpiti da mandato di cattura Tutti sono stati rinviati a giudizio per « disastro colposo di frana e di inondazione e omicidi colposi plurimi » - L'ordine di arresto riguarda l'ing. Biadene e il professor Tonini, entrambi di Venezia - Sono irreperibili, ma forse si costituiranno alla vigilia del processo previsto per l'estate Secondo il giudice la catastrofe del Vajont era prevedibile e poteva quindi essere evitata l'ecatombe delle vite umane - Bastava dare l'allarme ma Biadene e Tonini non lo fecero - Descritte nella sentenza, attraverso le testimonianze, « la lenta agonia, giorno dopo giorno, e la catastrofe » (Dal nostro inviato speciale) Belluno, 22 febbraio. Ora la sentenza istruttoria sulla tragedia del Vajont è nelle mani delle parti. Gli avvocati la stanno leggendo, studiando per prepararsi a quella che sarà la grande battaglia del processo che, forse, si svolgerà già nella prossima estate. Il fascicolo è imponente per la mole e per la complessità degli aspetti sviscerati. Il giudice dott. Mario Fabbri, vi ha dedicato quattro anni di fatiche. La sentenza si conclude con il rinvio a giudizio di tutti e nove gli imputati per disastro colposo di frana e di inondazione e omicidi colposi plurimi; e con l'ordine di cattura di due di essi. I due ordini di cattura sono diretti all'ing. Alberico Biadene e al prof. Dino Tonini, entrambi di Venezia. Il primo fra le varie cariche aveva quella di vice direttore dell'Enel - Sade di Venezia e di direttore del Servizio costruzioni idrauliche della Sade; il secondo era stato direttore dell'Ufficio studi della Sade e successivamente consulente della società. Sia l'ing. Biadene, sia il prof. Tonini risultano irreperibili. Si dice però che si costituiranno prima del processo, previsto entro l'estate prossima. Per questi due imputati il giudice istruttore non usa certo un linguaggio di mezzi termini. Dice: «Può.dirsi soltanto che la gigantesca orma lasciata dal disastro è la misura della colpa di Biadene e Tonini ». E precisa anche perché ha deciso di farli arrestare: « Essi, per la responsabi' lità delle funzioni, per la conoscenza del pericolo — insito nell'esercizio di attività rischiosa e aggravato dalle note circostanze — per la certezza dell'evento di omicidio colposo plurimo, si appalesano tra gli imputati come gli unici per i quali, con la cattura, debbono essere esaltati i caratteri della colpa, da distinguere fra quella degli altri perché essi, per essere stati fino all'ultimo momento in condizioni di dare l'allarme, se ne astennero anche allorché la catastrofe divenne imminente ». La sostanza è questa: la catastrofe del Va.iont era prevedibile e poteva quindi essere evitata l'ecatombe delle vite umane, bastava dare l'allarme, ma Biadene e Tonini che potevano farlo non lo fecero. C'è una parte della sentenza, lunga 35 pagine fittamente dattiloscritte, che si intitola: « Dal 30 settembre al 9 ottobre 1903, cioè la lenta agonia, giorno dopo giorno, e il disastro ». Sono tutte deposizioni rese a verbale: funzionari, tecnici, operai della ditta concessionaria del bacino, contadini che abitavano nella zona, cittadini che avevano avuto occasione di passare vicino alla diga e di vedere. Attraverso queste parole di testimonianza, a volte spoglie ma non per questo meno efficaci, rivive tutta l'animazione, l'ansia, l'angoscia di quelle giornate, quando la montagna continuava a scivolare, in maniera sempre più vistosa e sulle pendici si allargavano crepe larghe addirittura metri. Gli ordini si susseguivano agli ordini, si installavano fari che rimanevano accesi anche la notte per controllare i movimenti ormai visibili ad occhio nudo. Una gara contro le ore, contro le forze immani della natura, contro l'evento ormai inesorabilmente prossimo; e, ciononostante, senza dire nulla ai quasi cinquemila abitanti di Longarone che giù, a valle, 1600 metri davanti alla diga, oltre il greto del Piave, dormivano tranquillamente, ignari di quanto stava accadendo a monte dello sbarramento. Gli imputati possono essere suddivisi in due gruppi: quello della parte concessionaria dell'impianto: Biadene, Tonini, l'ing. Mario Pancini, direttore del cantiere di lavoro alla diga, l'ing. Roberto Marin, già direttore generale dell'Enel-Sade, e il prof. Au' gusto Ghetti, direttore dell'Istituto di idraulica dell'Università di Padova; e quello degli uffici statali: l'ing. Pietro Frosini, componente la Commissione di collaudo della diga, l'ing. Sensidoni, ispettore generale del Genio Civile presso il Consiglio Superiore del LL.PP. e componente la Commissione di collaudo; l'ing. Curzio Batini, presidente della IV Sezione del Consiglio Superiore dei LL. PP.; e l'ing. Almo Violin, ingegnere capo del Genio Civile di Belluno. Gli imputati del primo gruppo cooperavano per arrivare al più presto possibile al collaudo degli impianti anche perché il Vajont era già passato all'Enel per effetto della nazionalizzazione e soltanto a collaudo avvenuto si sarebbe concretato il totale pagamento. Gli imputati del secondo gruppo accoglievano passivamente le richieste degli uomini della Sade, e non si facevano premura di accertare se tutto fosse in regola. La Commissione di collaudo, ad esempio, non aveva più effettuato una visita di controllo dall'ottobre 1961. La Sade, attraverso Biadene, inviava quindicinalmente al Genio Civile ed al Servizio dighe dei rapporti e dei diagrammi sui controlli effettuati, ma non di rado capitava che certi eventi straordinari, come frane di modeste dimensioni, non venissero nemmeno menzionati. La concessionaria, spiega il giudice, aveva interesse a non fare ^sapere che le cose non andavano perfettamente bene nella sponda sinistra del bacino per evitare intralci al collaudo e al pagamento, tanto più che negli altri quattro bacini di ritenuta a monte del Vajont la situazione non era affatto brillante: Pontesei aveva avuto uno smottamento con una vittima e con la perdita di una parte della capacità, i bacini di Vallesella e di Vodo erano stati al centro di numerose interpellanze e di notevoli preoccupazioni scientifiche. « Ora, se si fosse denunciata apertamente la situazione critica del Vajont " serbatoio di regolazione con riserva per l'utilizzazione soprattutto invernale ", di capacità superiore a quella di tutti gli altri quattro sommati insieme, cosa sarebbe restato della grandiosità e della funzionalità dell'intero sistema? ». Molto esteso è, nella sentehza, l'esame delle responsabilità specifiche di ogni imputato. Biadene si era fatto l'errata convinzione che la frana sarebbe caduta a fette e che in tal modo l'ondata sarebbe stata irrilevante. Tonini fu sempre l'ambasciatore tecnico tra la Sade, l'Enel, i funzionari ministeriali e quanti ebbero occasione di occuparsi del Vajont. « La sua attività principale consistette in una continua, pressante, financo petulante, serie di contatti con il Servizio Dighe, intesi ad ottenere le autorizzazioni per le elevazioni degli invasi ai fini di sfruttamento »; e intanto egli nulla rivelò ai funziona ri del Ministero (Sensidoni e Frosini) di quanto si stava osservando al Vajont. Pancini, l'ingegnere « residente » al Vajont, nei suoi rapporti tecnici dosava le notizie cautamente, tacendo sulle preoccupazioni (grandi o piccole che fossero) nutrite nell'ambiente della Società. Marin, passato dalla Sade all'Enel per effetto della nazionalizzazione con la carica di direttore generale per il compartimento di Venezia, è responsabile, secondo il dott Fabbri, di aver omesso di esercitare i propri doveri di direttore generale, affidandosi all'opera dell'ing. Biadene. Ghetti, l'idraulico sperimentatore, fece un modello del bacino del Vajont per simulare la caduta di una frana, ma vi lasciò cadere della ghiaia, anziché un corpo massiccio, per cui, in base alle sue risultanze, si riteneva che la quota di 700 metri del bacino potesse « considerarsi di assoluta sicurezza nei riguardi anche del più catastrofico prevedibile evento di frana ». Secondo i suoi calcoli, l'onda si sarebbe alzata dalla diga al massimo ventisette me¬ tri, mentre in realtà è andata a spazzar via alcune case di Casso, ad una quota più alta di 272 metri. Sensidoni. Frosini, Batini, Violin sono responsabili di omissione dell'attività di controllo in quanto, appoggiando le richieste della Sade, autorizzarono invasi sempre più pericolosi. Remo Lugli prof. Dino Donini, a sinistra, e l'ing. Nino Alberico Biadene colpiti da mandato di cattura (Telefoto)