La bella vedova di Tandoi rivela la scomparsa d'un «dossier» segreto

La bella vedova di Tandoi rivela la scomparsa d'un «dossier» segreto Alle Assise dì Lecce la mafia di Agrigento La bella vedova di Tandoi rivela la scomparsa d'un «dossier» segreto Leila Motta, sposata al commissario di P. S. ucciso per strada ad Agrigento, depone al processo contro 22 mafiosi - Dichiara d'aver sentito più volte il marito lamentarsi perché non poteva compiere il suo dovere - Secondo la signora il funzionario avrebbe annotato episodi e prove dicendole: «In questi appunti c'è dinamite sufficiente a far saltare parecchie persone»; ma il diario è sparito (Nostro servizio particolare) Lecce, 16 febbraio. La signora Leila Motta, vedova del commissario Tandoi, ha deposto oggi al processo che si svolge preso le Assise di Lecce contro 22 siciliani. Il dott.- Cataldo Tandoi venne ucciso ad Agrigento — città in cui aveva svolto per alcuni anni il suo ufficio — la sera del 30 marzo 1960, mentre passeggiava con la moglie in Viale della Vittoria. Tre colpi di pistola, sparati da uno sconosciuto appostato nell'ombra, freddarono il commissario. Le indagini preliminari su questo delitto — e la successiva istruttoria — hanno portato al rinvio a giudizio dei 22 imputati (17 detenuti a Lecce, tre latitanti e due a piede libero). Essi devono ripondere di parecchi reati compiuti dal dopoguerra al 1963 tra Agrigento, Raffadali e Favara; le accuse più gravi sono associazione per delinquere, sei omicidi (compreso quello del dott. Tandoi). Di questo crimine, in particolare, è ritenuto esecutore Giuseppe Baeri; i fratelli Luigi e Santo Librici (latitante negli Usa), Giuseppe Galvano e Vincenzo Di Carlo, sarebbero i mandanti. La signora Motta — che era in compagnia del padre (il quale dovrà poi deporre) e della madre — indossava un abito di lana celeste abbottonato su un fianco, un cappotto scuro con colletto di visone nero e un cappello della stessa pelliccia, quasi un piccolo colbacco. L'interrogatorio svoltosi nella prima parte dell'udienza con le domande del pubblico ministero dott. Lapenna, di alcuni difensori e dello stesso presidente, dott. Giuseppe Motta (ha lo stesso cognome ma non è parente della donna), ha aggiunto alcuni particolari inediti alle notizie già conosciute. Confermate le circostanze del delitto — così come le aveva già descritte prima del processo — la signora Motta ha sottolineato che aveva sentito più volte il marito lamentarsi delle limitazioni a cui andava incontro durante 10 svolgimento del suo lavoro. Il commissario, in casa, avrebbe cioè detto di aver ricevuto continue pressioni (la cui natura non è stata precisata dalla testimone) che non gli avrebbero consentito di compiere appieno 11 suo dovere. Ciò che non poteva fare nell'ambito del suo incarico, ufficialmente, il dott. Tandoi lo avrebbe, però, svolto ugualmente, per proprio conto, annotando poi tutto in una specie di « dossier » del quale, dopo il delitto, non si è trovata più traccia. « In questi appunti c'è dinamite sufficiente a far saltare parecchie persone » avrebbe detto Tandoi, alcuni mesi prima dell'omicidio. La donna, confermando un commento dell'avv. Cavallaro, patrono di parte civile, ha anche detto che i timori concernenti la propria incolumità personale — per i quali suo marito chiese e ottenne il trasferimento a Roma — erano causati, a quanto pare, dall'ambiente di Raffadali, dove risiedevano la maggior parte degli imputati. r. s. Leila Motta vedova Tandoi durante la deposizione ieri a Lecce (Telefoto Ansa) iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiinii