Un comizio di popolari attori a Torino « Difendiamo il nostro diritto al lavoro»

Un comizio di popolari attori a Torino « Difendiamo il nostro diritto al lavoro» K' infoiato lo sciopero nazionale di una settimana Un comizio di popolari attori a Torino « Difendiamo il nostro diritto al lavoro» L'assemblea al «Gobetti», con Albertazzi, Gassman, Edmonda Aldini - L'agitazione indetta contro i produttori cinematografici e la tv - Chiedono contratti collettivi e la tutela contro la concorrenza dei colleghi stranieri Assemblea sindacale piuttosto Inedita, Ieri mattina, tra le colonne neoclassiche del Teatro Gobetti. In sala una sessantina d'attori; sul palco, a rispondere alle domande dei giornalisti, a dare voce unitaria e autorità alla protesta, Giorgio Albertazzi, Vittorio Gassman, Edmonda Aldini, Mario Bardella, Iginio Bonazzi. E* stato un incontro vivace. Gli attori presenti in questi giorni a Torino (al Carignano recita la compagnia Proclemer-Albertazzi, al Gobetti prosegue il « Lutero » d'Osborne, mentre Vittorio Gassman prova all'Alfieri il Riccardo HI) vogliono informare 11 pubblico sui motivi di uno sciopero nazionale che vede impegnati fino al 15 gli artisti legati a produzioni cinematografiche o alla Rai. E sono i più. Mario Bardella fa la cronistoria della vertenza. C'è una situazione pesante per la categoria: manca un contratto di lavoro collettivo con l'Anica, mentre una legislazione inadeguata lascia gli attori indifesi davanti alla concorrenza straniera. La tv, che è il massimo datore di lavoro, appare « colonizzata » dai telefilm d'importazione; ed è troppo alta anche la percentuale degli attori stranieri nei film italiani ed in quelli a compartecipazione. Il nocciolo della questione risiede proprio nell' ente di Stato, che, per produrre i telefilm, va affidandosi sempre più ai privati: i quali sono inclini a servirsi di attori noti sul piano internazionale, che facciano mercato anche fuori casa. - Gli attori italiani minacciarono uno sciopero fin dal dicembre scorso; poi, con la mediazione del ministro, si arrivò a trattative con l'Anica (l'Associazione produttori di cinema), e la Rai-tv. Ma le sedute si arenarono su quello che costituisce il primo punto delle attuali rivendicazioni: « unitarietà della prestazione dell'attore nella inscindibilità vocèivolto con il conseguente divieto di doppiaggi che non rispettino tale principio ». In altre parole, bando ai doppiaggi nei film e telefilm di produzione italiana. Gli attori ne fanno un problema di valore culturale e civile; respingono l'abuso di una tecnica che giunge al montaggio, o se si preferisce al « collage », degli attori, frantumandone la personalitè. Esiste, in proposito, un accordo con la Rai; ma questa finisce con l'aggirarlo ricorrendo ai produttori privati. Edmonda Aldini è intervenuta con animazione. Nessuno pretende di discutere i vantaggi tecnici e spettacolari dei telefilm indipendenti, realizzati ' in esterni; ma il progresso non deve mettere in difficoltà tanta gente. Nessun ostracismo a colleghi stranieri, ma quelli che lavorano in Italia fruiscono di privilegi assurdi: ottengono rapidamente residenza e cittadinanza e appaiono cosi, a tutti gli effetti, italiani. « Gli attori godono per lo più di cattiva stampa — dice sensatamente Albertazzi che, seduto accanto al taciturno Gassman, entra duttile e polemico nella discussione. — Per il pubblico esistono i "divi" dai guadagni favolosi e basta. La nostra agitazione non ha un carattere eccentrico o romanticoide, ma tiene conto delle esigenze vitali di una intera categoria di lavoratori, ed insieme della funzione e della responsabilità dell'attore nella società moderna ». Qui salta di nuovo su la Aldini. Va bene il capitale straniero, ma i film realizzati in Italia devono conservare certe caratteristiche: « Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini è un grande film italiano che gli attori americani avrebbero potuto darci soltanto mistificato. Un lavoro di Eduardo De Filippo, realizzato con capitali e uomini americani, non avrebbe senso». E Bardella, a chiarire maggiormente l'impostazione della collega: « Anche i registi italiani, nell'ultimo congresso di Amalfi, hanno sottolineato la necessità di una presa diretta sulla realtà italiana come garanzia di vitalità artistica. No all'autarchia, ai telefoni bianchi, per carità. Ma i nostri attori vanno protetti, alla stregua di quanto avviene in tutte le cinematografie europee ». La « grana » — precisano — non riguarda gli impresari teatrali con cui si fila d'amore e d'accordo. « Non a caso '— osserva Albertazzi. — Infatti in teatro non esiste distinzione fra volto e parola dell'artista, una frattura nella tua personalità. Questi non vuole soltanto difendersi dalla facile concorrenza degli stranieri, ma anche dai nostri attori improvvisati ». Gli attori impegnati in compagnie teatrali, dunque, per il momento non scioperano. Partecipano alla lotta comune versando il 25 per cento dèi loro guadagni al fondo di solidarietà. E' la prima volta che il mondo dello spettacolo si muove In una prova così importante, che investe globalmente la figura dell'artista, la sua definizione. Se ne avverte il senso negli interventi impegnati, e qualche volta incerti] e disprièritati,' dèU'àssqntòleja,. 'dov'è sì, trovano artisti noti come Franco Volpi, Warner Bentivegna, Mario Carotenuto, Luisella1 Boni, Andrea Bosic. Qualcuno ci ricorda la mortificante condizione dell'attore che in un film di comproduzione, ignorando la lingua dei colleghi stranieri, al posto delle battute si limita a pronunciare con foga o festevolezza « trentatré » « quarantasei » e simili (provvederà il doppiatore a « innestare » al momento giusto le parole). Un altro giovane attore ricorda di essere stato costretto, in omaggio alla partner, a recitare Pirandello in francese. Salvo poi ad essere restituito nella propria lingua attraverso il doppiaggio. I. mo. attori Albertazzi, Gassman, Edmonda Aldini, Bardella e Bonazzi durante la riunione al Teatro Gobetti

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