Perché non hanno reagito con accanimento al terremoto

Perché non hanno reagito con accanimento al terremoto Cerchiamo di rispondere a qualche interrogativo Perché non hanno reagito con accanimento al terremoto In queste zone il terremoto è un incubo antico - I nervi vanno a pezzi e soprattutto si avverte l'inutilità di ogni sforzo contro la furia della natura - Le zone colpite erano abitate in prevalenza da vecchi, donne e bambini - Soprattutto a questa povera gente mancano la fiducia e la speranza (Dal nostro inviato speciali) Palermo, 30 gennaio. I primissimi giorni dopo il terremoto mi trovavo a Mi lano e quindi ho potuto constatare direttamente le reazioni dei milanesi alla notizia della sciagura che aveva colpito la Sicilia. La prima sensazione fu di doloroso, angosciato stupore. Tuttavia col passare dei giorni e col susseguirsi delle notizie, quegli stessi che seguivano commossi la tragica vicenda, pur continuando a dare ai siciliani tutta la loro solidarietà spirituale e materiale, hanno cominciato a porsi alcune domande. A Milano per esempio — e credo anche a Torino, a Venezia, a Firenze, ecc. — ci si chiedeva perché mai i senzatetto avessero tanta paura ad entrare nelle case in muratura requisite dalle autorità; perché mai gli scampati, a differenza di quanto era successo a LonBarone o in altre catastrofi non cercavano i loro morti fra le macerie. A Firenze e nel Bellunese, durante le alluvioni del 1966, si era vista gente che cercava di svuotare la propria casa dall'acqua o dalla melma col solo aiuto di un barattolo o di una paletta. Era uno sforzo evidentemente inutile, e tuttavia rivelava una disperata volontà di lotta, un'invincibile resistenza contro la natura scatenata. Perché in Sicilia non accadeva altrettanto? Domande logiche, interrogativi naturalissimi per chi considerava la cosa da mille chilometri di distanza, senza conoscere a fondo quel che era avvenuto in Sicilia. Anch'io me ne ero posto qual cuna, senza riuscire a trovare immediatamente la risposta. Ma oggi, dopo dieci giorni trascorsi nelle zone terremotate passando in continuazione da un villaggio all'altro, in continuo contatto con questa povera gente cui non è rimasto assolutamente più nulla, credo di poter rispondere. Cominciamo dalla prima, la paura del terremoto, il fiuto di por piede in ' siasi costruzione in mutola ra. Chi ha sentito il cupo boato — un rumore quasi uguale a quello di un aereo a reazione — che precede la scossa; chi è stato sepolto dalle macerie o peggio ha avuto sepolti i figli o i fratelli; per settimane e settimane, spesso per mesi non può più contare su un siste ma nervoso normale « Dormivo in camera mia con mia moglie e i miei figli quando all'improvviso ho avuto l'impressione che crollasse il mondo — mi raccontava un muratore di Alcamo —. Nel soffitto si è aperto un crepaccio largo un metro e forse due attraverso il quale si vedeva il cielo. Poi. non so coKe, si è richiuso a tenaglia. E' rimasta soltanto una fessura larga due dita. Signo re mio, come volete che tu possa tornare a dormire lì con le mie creature? ». Qualcuno potrà obbiettare che a Milano, una quindici na di anni or sono, si verificarono alcune scosse di terremoto, e tuttavia il giorno seguente la vita riprese qua si regolarmente. Ma le scos se milanesi furono molto meno forti e furono poche, men tre qui hanno distrutto completamente numerosi centri abitati e, dal 14 al 28 gennaio, si sono ripetute settantanove volte. E poi i milanesi, la gente padana in generale, sanno per esperienza, che nella loro pianura i fenomeni sismici sono deboli e rari; mentre qui il terremoto è incubo antico. Perché non cercano i loro morti? A Gibellina, a Montevago, attratto da qualche po vera immagine o da qualche patetico oggetto, ho provato a sollevare i massi di tufo che li ricoprivano parzialmente. A gran fatica se ne possono smuovere due, tre: poi si rinuncia con la schiena rotta. E 1 cumuli di ma cerie alle volte sono alti sei o sette metri. Ma poi la realtà è un'altra. Le vittime che appartengono a un nucleo familiare sono state quasi tutte recuperate. Padri e madri, fratelli e sorelle hanno indicato il punto preciso ai vigili del fuoco e questi, lavorando instancabilmente con le loro macchine e i loro at-trezzi, hanno finito prima o poi per trovare le salme. E ancora. Perché i senzatetto non veng no impiegati, dietro congruo compenso, nei lavori di demolizione? Ho posto personalmente questa domanda all'ispettore dei vigili del fuoco, ing. Riccardo Sorrentino. Si è messo le mani nei capelli e mi ha spiegato che i lavori di demolizione sono difficili e pericolosi, possono essere eseguiti solo da squadre specializzate che debbono servirsi di determinati strumenti e seguire regole ben precise. Nella fase attuale servono solo ì genieri e i vigili del fuoco, gli stessi soldati delle altre specialità sarebbero inadatti. Adibire a questi lavori poveri braccianti sfuggiti ai terremoto, inesperti e parzialmente ancora in stato di choc, sarebbe criminoso. Infine l'ultima domanda, quella che nel Nord si sente ripetere con maggiore insistenza. Perché questa gente di fronte al terremoto non ha reagito con lo stesso accanimento, con la stessa caparbietà dei fiorentini o dei bellunesi di fronte all'alluvione? Perché a diciassette giorni dalla catastrofe, attorno alle case rimaste in piedi, nei centri colpiti meno gravemente, non si vedono ancora quel fervore di attività, quell'industre lavorio che sono indispensabili ad ogni ripresa? Il terremoto non è l'alluvione: quella, pur terribile e rovinosa, colpisce una volta sola; questo si ripete per giorni e giorni. Nessuno è in grado di stabilire quando le scosse siano cessate definitivamente E abbiamo già detto anche che la popolazione di queste zone è composta in prevalenza da donne, vecchi, bambini perché gli uomini validi sono quasi tutti all'estero, emigrati. Ma la ragione fondameli- i tale di questa relativa abulia, di questo attonimento che immobilizza uomini e donnenelle tende, è di natura psicologica. Per cominciare a ricostruì re, per riprendere la lotta a maniche rimboccate, occor rono due cose: speranza e fiducia. Se ci sono, si può lottare contro l'alluvione con barattoli e palette, si può tentare di vuotare il mare con un cucchiaino Se non ci so no, anche i bulldozer e le ruspe servono a poco. Gaetano Tumiati Uno dei nostri inviati accanto a Francesca Palermo ed Antonino Ferro, I due giovani profughi di Gibellina che si sono sposati ieri a Mazara del Vallo (Telefoto)

Persone citate: Antonino Ferro, Gaetano Tumiati, Riccardo Sorrentino