Piacevole itinerario nella poesia del '700 di Guido Piovene

Piacevole itinerario nella poesia del '700 Piacevole itinerario nella poesia del '700 La collezione i II Parnaso > di Einaudi è giunta alla poesia italiana del Settecento, due volumi illustrati di oltre 2500 pagine complessive, a cura di Carlo Muscctta e di Maria Rota Massei. E' un'abbondante antologia, mossa e folta di nomi; la parola < poesia :» vi è presa in senso stretto, e vi entrano perciò solo i componimenti in versi. Carlo Muscetta, nella sua introduzione, oltre a fare un'analisi sul decorso della poesia italiana del secolo e su ciascun poeta, conclude che « come risultato di uno scavo critico particolarmente felice y, compiuto dal Carducci ad oggi, si è giunti alla « consapevolezza che questo nostro patrimonio poetico è molto più ricco e vario di quanto non si credesse un secolo fa *. Esso ha portato « un contributo non solo originale ma di prim'ordine > alla poesia del Settecento europeo. Per giungere a questo giudizio la critica ha dovuto risalire dalle stroncature spesso sbrigative e ingiuste che gettò a destra e a manca il Baretti. La dimostrazione però può ottenersi soltanto non limitandosi a due vertici, il Parini e l'Alfieri, ma scendendo nel folto della poesia anche a medio livello, e soprattutto soffermandosi sul terzo vertice, il Mctastasio, quello che ha sofferto di più delle tendenze riduttive dei secoli successivi al suo. Il lettore che ama il paesaggio medio e ameno trova piacere in una lunga passeggiata in questi volumi, tra arcadici, petrarchisti, melici, erotici, didascalici, favolisti, giocosi, satirici, moralisti, libertini, sentimentali alle soglie del romanticismo. Tutti presentano un estremo interesse culturale e storico; altra faccenda è il valore poetico, che oggi si tende a confondere con il valore culturale, ma che appunto per questo occorre più che mai distinguere. Vi sono fatti di cultura che, per se stessi, e per quanto buoni in se stessi, conducono alla non poesia, e così per esempio è la tendenza: prevalente nel Settecento alla divulgazione, democratizzazione e avvicinamento alla prosa dell'opera verseggiata. Per quanto il panorama cambi, dall'inizio del secolo alla sua fine, dall'Arcadia al preromanticismo, una certa costanza di livello rimane. 11 nostro Settecento fu un secolo poco propizio alle grandi accensioni della fantasia poetica, e l'idea stessa di poesia vi appare annebbiata. Mediocre società, con mediocri interessi; i poeti ne risentono col ripiegamento, col fare di se stessi figure comuni e modeste, il cui orizzonte e i cui soggetti difficilmente vanno oltre i fatti usuali dell'esistenza, l'aneddoto, l'osservazione arguta, e magari il commento malinconico o ironico sulla meschinità e sull'umiliazione del loro stato di fronte ai ricchi ed ai potenti. Ne viene una poesia gaudente-umoristica, sui piaceri ordinari, la buona compagnia, la tavola, le donne; contemplativa, senza contemplare gran che, i boschi, i fiori, la campagna; in alcuni si spinge a un libertinaggio un po' pigro, che non diventa mai filosofia morale scardinatrice. Oppure, all'opposto, si elabora la teoria secondo la quale poeta è un uomo candido e casto, senza grandi passioni, né ambizioni, né cupidigie, contento del suo poco e delle gioie ingenue. Oppure sgorga una vena satirica, sui costumi traviati, contro l'aristocrazia ed il clero, sempre però frenata da principi conservatori ed attenta a proteggersi col rifiuto delle idee rischiose. Vi è spesso, nei poeti, un fastidioso miscrismo, che Cerca il contrappeso, spesso non meno fastidioso, in un'esibizione di orgogliosa fermezza stoica. Nell'insieme, tolto qualcuno, si tratta di una poesia discorsiva, interamente chiusa nel mondo dei comportamenti e delle relazioni umane, priva di sentimento cosmico e di profondità intellettuale, prosastica nei temi e nello svolgimento: quella che l'uomo della strada ritiene comunemente poesia, ed invece è la sua negazione perpetua. Si parla molto di natura, ma la natura vera, la scossa del contatto diretto, è assente; due versi come quelli di Jacopo Vittorelli, < Guarda che bianca luna! - Guarda che notte azzurrai *, danno un senso di refrigerio. Almeno sono un'istantanea su una vera notte lunare. Questo per il livello medio, in cui però il lettore incontra luoghi ameni e fa soste piacevoli. Si divertirà con il gruppo dei favolisti, il Gritti, il Pignotti, il Clasto, il De Rossi, e sarà grato al curatore di avere riesumata tutta l'opera buffa dell'abate Galliani, Socrate immaginario. Gli sarà grato anche di più di avergli dato un'intera fiaba teatrale di Carlo Gozzi, L'augellin Belverde, dove un seguito di portenti (palazzi scaturiti da un atto di magia, gente ^mutata in bestie o in statue) avviene tra personaggi ordinari, portino anche l'etichetta di re. C'è qui tutto il gusto del Veneto, le favole orientaleggianti e l'orto con le verze in un quadro solo. Tra i libertini il Baffo per me è superiore al Casti, non fosse che per ragioni di stile. Il Rolli è lo scrittore più melodico di canzonette, e forse nelle canzonette è il meglio del secolo; in genere il verso breve, tra il quinario e l'ottonario, giova a questi poeti più dell'ostico endecasillabo. La canzonetta settecentesca, che si e prolungata ed è morta nel Carducci e in D'Annunzio giovane (Saba è già una cosa diversa, anche se ne riprende i metri) rimane un'invenzione artistica geniale. Il Meli, con le sue poesie in siciliano, va un gradino più su. Per quanto riguarda i tre vertici, l'antologia dedica ad essi un blocco di 250 pagine circa ciascuno, confermando così una distanza che è reale. Il lettore non troverà nulla che modifichi la sua opinione sul Parini e l'Alfieri. Tornerà a convenire che alcune poesie del Parini, per esempio II messaggio, sono le più belle poesie italiane del secolo come singoli componimenti. L'Alfieri si è un po' impolverato, ma una tragedia, Mirra, qui riportata per intero, mi è sempre parsa un'opera straordinaria in lui, come se unafeUcecombinazione d'astri l'avesse portato di colpo più in alto della sua abituale statura poetica. Questa donna nevrotizzata e invasata dal suo desiderio incestuoso parla in modo sorprendentemente vero e giusto anche per noi, dopo tanta letteratura sull'inconscio e il morboso, e occupa con grandezza una tragedia senza divagazioni. Ma il pregio principale dell'antologia, per me, consiste nel portarci a rileggere il Metastasio, comparandolo agli altri; e l'esito, voluto del resto dal raccoglitore, è quello di rimetterlo al posto che merita. Pesano su di lui, nell'opinione media della cultura, giudizi preconcetti, luoghi comuni insulsi e contrari alla verità, per cui è tenuto un po' in disparte dai nostri interessi attuali sui poeti del passato. Questi luoghi comuni hanno abituato i più a farne una figura avvilente di poeta cortigiano, privo di passione morale e arcade nel senso detrattivo della parola. Fu vittima dell'usanza, per cui i poeti spesso vengono giudicati da quello che è venuto dopo, e il secolo seguente fu di passioni nazionali e civili, portato a mettere più in alto chi l'aveva precorso per intensità passionale o pubblica o privata, e per dimostrazione di grande carattere. A parte che il carattere del Metastasio, e i suoi interessi di pensiero, si discostano molto dall'oleografia divulgata, egli fu certo soprattutto un artista; però, come artista, nessuno può stargli a pari nel suo secolo. E' lui il genio poetico di questo firmamento, più moderno di tutti, come creatore di linguaggio; l'unico in cui l'accostamento poesia-prosa riesca in pieno, senza diminuzione per la poesia, nel senso che coi versi riesce a dire ciò che vuole, senza sforzo apparente, senza la minima contorsione né sforzatura sintattica o lessicale, con la naturalezza di un discorso normale appena montato di tono. I suoi versi sono una pasta compatta, liscia ed omogenea che riempie esattamente lo stampo. Una meraviglia stilistica sono le sue ariette cantabili, che sembrano così facili, e invece sono cosi ardue (*Se cerca, se dice: — L'amico dov'è? y); cristalli leggeri ed esatti, come quelli che scorge il microscopio nella neve. Guido Piovene

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