«I capricci di Callot» alla Scala Festeggiati Malipiero e i cantanti di Massimo Mila

«I capricci di Callot» alla Scala Festeggiati Malipiero e i cantanti L'OPERA ERA UNA IVO VITA ASSOLUTA PER MILANO «I capricci di Callot» alla Scala Festeggiati Malipiero e i cantanti Anche l'autore tra il pubblico - Ottima la realizzazione musicale - Ha diretto il maestro Nino Sanzogno - Tra gli interpreti ha spiccato un eccezionale terzetto: Mirto Picchi, Dino Doridi e Fedora Barbieri - Splendidamente fastosi le scene e i costumi Milano, 18 gennaio. E' andata in scena questa sera alla Scala, novità assoluta per Milano, l'opera I capricci di Callot di Malipiero. Il pubblico ha accolto con grande simpatia lo spettacolo, tributando lunghi applausi al maestro Nino Sanzogno, agli interpreti, ai realizzatori dello spettacolo. L'autore, che sedeva tra il pubblico, è stato chiamato due volte alla ribalta. (Dal nòstro inviato speciale) Milano, 18 gennaio. Sulla commedia in tre atti, prologo e cinque quadri I capricci di Callot, rappresentata a Roma nel 1942, si accordano generalmente gli studiosi dell'arte di.Malipiero per riconoscervi un momento determinante, lina nuova svolta, dopo quella che lo aveva temporaneamente allontanato dai prediletti temi fantastici per accostarsi a soggetti storici di alta derivazione tragica. Con I caprìcci di Callot Malipiero volta le spalle alle tentazioni shakespeariane o classiche e ritorna al suo mondo allucinato ed ironico, ai limiti del sogno, popolato di labili creature in balia del caso. L'autore trasse il soggetto da un racconto di Hoffmann, che a sua volta si ispira alla celehre serie di incisioni di Callot su maschere italiane e personaggi della commedia dell'arte (« una raccolta di ritmi musicali », la definisce Malipiero). Come nel racconto di Hoffmann, anche nella commedia malipieriana il rapporto tra il pretesto figurativo e la vicenda è assai vago, e le maschere -p- personaggi muti affidati a una creazione coreografica — si limitano a fornire una cornice ai personaggi della commedia, che cantano. Nel rilevare la svolta segnata da quest'opera, come un ritorno di Malipiero ai modi e ai temi che sono più specificamente suoi, quasi tutti gli studiosi hanno sottolineato .il carattere decorativo e in'certo senso, astratto con cui il primato della fantasia — più esattamente: del fantastico —- si restaura nell'arte del compositore. « Un sontuoso spettacolo di carattere decorativo, una féerie fantastica, una specie di grande balletto cantato in cui Malipiero ironizza se stesso con un tono tra il divertito e il commosso ». Tale parve l'opera a Ferdinando Ballo, uno del più attenti e affettuosi osservatori dell'arte di Malipiero. Ora non è che qui si voglia Indulgere alla diffusa abitudine di contraddire il prossimo e trovar nero quello che tutti vedon bianco. E' chiaro che I capricci di Callot sono un ritorno al fantastico in chiave di commedia, non già di dramma né di dolorosa riflessione sul senso, o piuttosto sulla mancanza di senso della vita. E' vero che la trama è inconsistente, è vero che le avventure dei due protagonisti non hanno coerenza logica (perché dovrebbero averla? sono un litigio di innamorati), è vero che l'opera, circondandosi di una cornice coreografica e mettendo in scena nel secondo atto il carnevale romano, concede allo spettacolo più di quanto sia nelle abitudini di Malipiero. Tuttavia non è né per smania di contraddizione, né per proposito di innalzare questo lavoro a un posto più alto di quanto gli spetti (Malipiero, tuttavia, pone I capricci di Callot tra le « stelle fisse » del suo teatro, insieme a pochi altri lavori), non è insomma per motivi polemici che si è qui indotti a respingere l'asserzione, per esempio di Ferdinando Ballo, che nei personaggi di quest'opera « non è possibile identificare il valore simbolico che ha sempre caratterizzato il teatro di Malipiero ». Altri — il Colacicchi — aveva trovato questa musica, nonostante le sue apparenze svagate, più che spensierate o brillanti, «intrisa di languida pena, di un sotterraneo dolore, di una compressa amarezza ». Ora nelle opere musicali, per capirle bene, bisogna trovarci l'ombelico, quel punto, cioè, dove tutto è cominciato, dove l'intuizione dell'artista ha divampato, punto che non è necessariamente né il principio né la fine né il momento culminante del dramma. L'ombelico de I capricci di Callot, cioè il punto dove la musica vibra con un potere immenso di persuasione, sollevandosi con un colpo d'ala sopra quello che D'Amico definiva «un linguaggio pacato e fluente, tutto impastato senza scarti in un'unica atmosfera », si trova senza dubbio nel primo atto, là dove Giacinta, la povera sartina che ha creato per chissà quale dama un vestito di prodigiosa bellezza, non resiste alla tentazione di provarselo. Un fremito parte dalle regioni profonde dell'orchestra e la percorre tutta durante il casto spogliarello della ragazza e la rivestizione, come se davvero un nuovo destino aleggiasse su di lei, condotto dal nuovo vestito. Poi, quando la fanciulla si pavoneggia di fronte all'ammirazione della serva, là quale dovrebbe intanto avere acceso tutte le candele dell'umile stanza, si afferma un glorioso corale strumentale. E' un momento grande della musica di Malipiero, e se si riflette ch'egli stesso ha scritto che questa è « una storia di vestiti », « vestiti gonfi d'aria », quali sembrano le maschere di Callot, non è difficile rendersi conto che nemmeno nell'apparente disimpegno di questa commedia manca il consueto valore simbolico del teatro di Malipiero, e per nulla lontano dai motivi pirandelliani che correvano allora . per la cultura italiana. Manca lo spazio per annotare diligentemente gli alti e bassi attraverso cui si attua la parte più propriamente decorativa e fastosa dell'opera, talora con singolari trovate di lievissimo colore esotico (spagnolerie, orientalismi caricaturali accennati con mano leggera, la curiosa melodia di flauto che affiora frequentemente nell'ultimo atto), talvolta con evidenti carenze: il carnevale romano del second'atto dovrebbe essere una specie di marcia trionfale del mondo fantastico malipieriano, ma trova i suoi limiti nella castità dell'orchestrazione e nella' scarsa vocazione del maestro veneziano per il genere Aida. Si vuole almeno segnalare l'insolito realismo del primo atto. Proprio in questa commedia di maschere e di larve si trova l'atto teatrale più naturalistico che Malipiero abbia mai prodotto: una fanciulla che lavora da sarta in una stanzetta, assistita da una vecchia serva piena di buon senso e d'energia popolana; arriva il fidanzato, un attore spiantato e un po' vanaglorioso, racconta un sogno che ha fatto, di chissà quale meravigliosa principessa, ne scoppia un litigio di gelosia. Talvolta sono state rilevate, nel melos continuo di Malipiero, imprevedibili ascendenze e parentele pucciniane, a dispetto degli schieramenti e degli sbarramenti creati dalla polemica artistica. Se talvolta ne affiorano anche qui, v'è certo il suo. perché, e ci stanno benissimo. L'opera ha avuto alla Scala un'ottima realizzazione musicale, grazie alla direzione di Nino Sanzogno, che quando si tratta di Malipiero ce la mette tutta; e quando si decide a mettercela tutta, Sanzogno è un direttore dei più grandi che ci siano. Sulla scena il soprano Anna Novelli e il tenore Giorgio Merighi hanno tenuto onorevolmente le parti della sartina Giacinta e del suo fatuo innamorato Giglio, ma naturalmente 11 surclassava un terzetto di eccezionali comprimari come il tenore Mirto Picchi, il baritono Dino Dondi e il mezzo soprano Fedora Barbieri, che da qualche tempo mette a servizio della musica moderna le risorse d'una voce po' tente, d'una dizione di chiarezza eccezionale, e d'un mestiere così felicemente collaudato nelle opere di reper torio. La verità è che in quest'opera non ci sono protagonisti né comprimari, ad eccezione della Maschera che interviene brevemente nel second'atto a interpellare Giglio con una domanda stravagante (« Signore, siete mai stato in Assiria?»), e che fu impersonata dal baritono Franco Bordoni: i cinque personaggi principali hanno tutti la stessa importanza, e lo stesso grado di sparente ed ambigua concretezza. Le scene e i costumi, splendidamente fastosi, di Pier Luigi Samaritani, e la regia raffinata di Sandro Sequì hanno assicurato allo spettacolo un grado'notevole di dignità visiva, mentre la coreografia di Mario Pistoni cerca di stabilire un collegamento, forse impossibile, tra le piroette degli òtto ballerini im¬ personanti le maschere di Callot e la vicenda cantata. Tuttavia si nota che anche questa volta le intenzioni dell'autore non sono state sempre rispettate, particolarmente nel primo atto. Questo dovrebbe svolgersi in « una stanza bassa ». con « al centro una piccola finestra »: la dimora della povera sartina Giacinta aveva l'altezza mastodontica del palcoscenico della Scala, e uno splendido flnestrone. Inoltre era subito illuminata a giorno, mentre le prescrizioni dell'autore sulle gradazioni di luce attuano un criterio preciso di progressione drammatica: una prima lampada accesa permette alla vecchia Beatrice d'accorgersi che Giacinta piange; l'accensione di « tutte le candele della casa » contrassegna il momento glorio¬ so in cui Giacinta indossa il vestito da principessa e sfolgora in tutta la sua bellezza. Ma soprattutto non si è voluto tener conto dell'idea di Malipiero, che gli otto danzatori impersonanti le maschere di Callot escano, uno dopo l'altro, dalla zampa di « un enorme clavicembalo baròcco » dipinto sopra un secondo sipario. Sarà un'idea bislacca, e si è preferito far entrare le.maschere tranquillamente dalle quinte; ma, priva di quella integrazione scenica, viene a mancare di sostegno la trovata musicale di. condurre la danza delle maschere sopra un soliloquio pianistico, una specie di concerto per pianoforte e archi, una delle più lunghe pagine per pianoforte che Malipiero abbia mai composto. Massimo Mila Fedora Barbieri, a destra, e Anna Novelli nell'opera di Malipiero alla Scala •iiiitiiiiimmimiiiiiiiiiiiiiiimiiimiiHiiimiiiH

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