II «Nabucco» diretto da Mario Rossi ha aperto la stagione lirica torinese di Massimo Mila

II «Nabucco» diretto da Mario Rossi ha aperto la stagione lirica torinese Lo spettacolo al Teatro Nuovo, davanti a un foltissimo pubblico II «Nabucco» diretto da Mario Rossi ha aperto la stagione lirica torinese L'opera è la migliore fra quelle scrìtte da La soprano Marcella De Osma sostituita, Verdi prima del «Rigoletto» - Protagonista Giangiacomo Guelfi per un attacco di influenza, da Luisa Maragliano - Vivo successo Può darsi, anzi si spera che un giorno o l'altro, sotto la pressione delle leggi economiche, anche Torino avrà, come ormai molte grandi città, una attività operistica praticamente estesa su tutto l'anno, salva una piccola interruzione estiva o autunnale. Un grande teatro, specialmente se di nuova costruzione, e le masse orchestrali e corali a pieno impiego costituiscono l'immobilizzo d'un ingente capitale, che bisogna per forza far fruttare al massimo. Ma se ci si arriverà, se gli spettacoli d'opera accompagneranno per nove o dieci mesi la vita cittadina, diventandone una costante, avverrà probabilmente di rimpiangere la lieta animazione, il desiderio rinnovato e il senso di festa che ora, dopo lunga astinenza, accompagna ogni volta l'inizio di stagioni meno prolungate. Quella iniziata ieri, col Nabucco verdiano, non più ascoltato a Torino da vent'anni, e invece ripreso di recente alla Scala e in altri grandi teatri, è del resto una delle più lunghe che si ricordino e ci accompagnerà dui-ante cinque mesi, con 12 spettacoli in cartellone. Ad inaugurarla è stata prescelta un'opera che, se non è la prima di Verdi in senso assoluto, è in realtà l'inizio valido della sua carriera artistica, dovendosi considerare le due che la precedono (l'Oberto e soprattutto l'opera comica Un giorno di regno) come una specie di falsa partenza. Si avverte nel Nabucco la tensione spasmodica del massimo impegno creativo: è un'opera scritta all'insegna del motto « o la va o la spac' ca ». Si sente benissimo che Verdi, giunto quasi alla soglia della trentina, deluso nelle sue speranze artistiche giovanili e crudelmente colpito dalla sorte nella sfera degli affetti privati, gioca qui il tutto per tutto. O riuscire questa volta, o naufragare per sempre nell'ombra del fallimento. Grazie a questo impegno puntiglioso il Nabucco resta, insieme coWErnanì e al Macbeth, la migliore delle opere scritte da Verdi prima del Rigoletto, nonostante gli sforzi sempre più frequenti, ai nostri giorni, di scoprire nella dozzina di opere che intercorrono tra l'una e l'altra qualche altro capolavoro inspiegabilmente sfuggito all'attenzione dei contemporanei. La migliore, almeno per i primi due atti, dei quattro che la coi..pongono. Perché, proprio in relazione alle circostanze drammatiche della sua composizione, è umano che quella carica di energie represse e concentrate, a cui essa deve la sua eccellenza, si manifesti al massimo nella prima metà dell'opera e poi cominci a denunciare qualche smagliamento. Nei primi due atti, accettando una tradizione di opera prevalentemente corale, quasi oratorio, che risaliva tra l'altro al Mose ed allo .stesso Guglielmo Teli di Rossini e contraddiceva l'individualismo elegiaco di Donizettì e Bellini, il giovane Verdi spezza con pugno di ferro le convenzioni su cui poggiava la « routine » melodrammatica dell'epoca ed attua una sua concezione drammatica profondamente originale, nella quale la vicenda dei singoli personaggi si muove con naturalezza in seno allo sfondo corale, poco o nulla concedendo alle viziate esigenze di quello che già cent'anni prima Benedetto Marcello aveva ironicamente descritto come « teatro alla moda ». Nella struttura corale delle scene i personaggi dialogano attivamente, senza indugi né ritardi belcantistici: l'appropriata giustezza degli spunti iniziali, che in Verdi è pressoché infallibile, non viene annacquata in oziosi sviluppi vocali. Pur con tutta la consueta fertilità melodica dell'invenzione verdiana, i primi due atti del Nabucco non si configurano, come avverrà poi per l'Emani, quali un seguito di arie memorabili. L'ascoltatore fa una singolare esperienza: durante i primi due atti del Nabucco l'attenzione non si rilassa un istante, il pugno del compositore la afferra e la guida attraverso i meandri della vicenda che vede l'ambizione della schiava Abigaille insidiare quella, sfrenata, del tiranno assiro e tutto qufr sto mondo fastoso opprime ve l'indifesa spiritualità degli Ebrei prigionieri, al cui clima espressivo si associa il pudico idillio della figlia di Nabucco, Fenena, innamorata di Ismaele, ebreo. Ora questa presa potente che la musica esercita durante i vasti atti iniziali si attua essenzialmente attraverso una struttura di scene drammatiche, nelle quali 1 mezzi del recitativo, dell'aria e del concertato si fondono 1 senza fratture, di continuo trapassando l'uno nell'altro, secondo le esigenze dell'azione. In parole povere, i primi due atti del Nabucco stanno egregiamente in piedi, senza che in essi si trovi nessuna di quelle arie solistiche destinate ad acquistare una celebrità isolata. Arie ce ne sono certamente, in particolare quella di Abigaille al principio del second'atto, che svela il fondo di tenerezza delusa nell'aspro ed ingrato personaggio, e ci sono due grandiosi concertati finali, ma l'impressione positiva di questo blocco drammatico non è legata ai singoli momenti formali, bensì alla coerente riuscita e continuità dell'insieme. Altrimenti vanno le cose nel terzo atto, dove pur brilla la gemma più fulgida dell'opera, il celebre coro degli Ebrei in esilio, e nel quarto. Qui è come se lo sforzo drammatico del compositore si fosse esaurito. Sembra che Verdi rinunci a far l'opera come la intendeva lui, per blocchi di scene drammatiche, compatte all' interno e saldamente concatenate, ma si adatti a far l'opera come la volevano le abitudini e il pubblico dell'epoca: per arie, cavatine, cabalette, duetti e concertati. I cantanti vengono in evidenza, i contorni delle arie si fanno magari più attraenti, ma a un certo punto ci si rende conto che la musica non morde più sul corso dell'azione e che le melodie spesso girano a vuoto, accarezzando l'orecchio od eccitando il senso ritmico, ma non riescono più a indirizzare la nostra attenzione verso il centro focale del dramma. Questa diversa struttura delle due metà dell'opera si rifletteva ieri sera anche nell'interpretazione del protagonista, il formidabile baritono Giangiacomo Guelfi, per il quale bisogna dire che la parte di Nabucco sembra tagliata su misura; nel terzo atto gli accade d'abusare un poco della potenza incontenibile dei suoi mezzi vocali, con qualche forzatura non necessaria. Ma la sua tracotanza vocale e scenica è quel che ci vuole per dare il dovuto rilievo alla potenza di Nabucco, e nel second'atto riesce a conferire autentica coerenza drammatica al delirio di grandezza che travolge il sovrano, fino ad autoproclamarsi dio. Fortunatamente c'era sul podio Mario Rossi, che sa l'arte d'impórre una decorosa misura anche alla musica del primo Verdi, senza mortificarne l'impeto barricadiero e la popolana energia. Sotto la sua direzione l'orchestra ha suonato con sicurezza e precisione d'insieme, dando bene a sperare per un soddisfacente seguito del'a lunga stagione; e cosi 11 coro, istruito dal maestro Brainovich, coro che è il vero protagonista dell'opera ed ha gustato il suo giusto momento di gloria dopo il « Va, pensiero ». Ritornando ai meriti della compagnia vocale, e fatto il saluto dell'armi allo sfortunato soprano Marcella de Osma, caduta vittima dell'insidiosa influenza stagionale, issiamo sugli scudi il soprano Luisa Maragliano, chiamata all'ultimo momento a sostituirla nella difficile parte di Abigaille. Giunta a precipizio da Milano ed entrata in teatro probabilmente quando già arrivavano i primi spettatori, è entrata nei dorati panni dell'ambiziosa schiava assira e quel che più conta, nella trama di un'interpretazione che Mario Rossi aveva prestabilita con tanta attenzione. Il pubblico, avvertito della sostituzione, l'attendeva al varco, come un'acrobata che facesse il trapezio senza rete: e sul trapezio della tessitura aspra, infida e faticosa d'una parte ch'era toccata per la prima volta a Giuseppina Strepponi, futura compagna di Verdi, la brava cantante ha volteggiato con perizia e disinvoltura, conquistandosi un bel successo personale. Eccellente conferma quella del basso Ruggero Raimondi, che tanto buona impressione aveva lasciato recentemente, in sede di concerto, nello Stabnt Mater rossiniano. Oltre alle qualità vocali, il fi¬ sico stesso gli consente di dare un'imponente realizzazione alla ieratica figura del gran pontefice Zaccaria. Anche Daniele Barioni ha interpretato la parte di Ismaele con quel prestigio autorevole sulla scena e quello smalto vocale brillante, che sono prerogativa dei tenori di scuola americana. Inoltre va ascritta al suo attivo la chiarezza della dizione. Bianca Bermi, Giovanni Foiani, Ottorino Begali ed Elena Barcis hanno ricoperto degnamente i ruoli rispettivi di Feneria, del Gran Sacerdote di Belo, di Abdallo, vecchio ufficiale del re di Babilonia, e di Anna, sorella di Zaccaria. Anche sulla scena l'opera verdiana sì è giovata di soluzioni assai soddisfacenti, grazie alla regìa equilibrata e sagace di Sandro Sequi, un giovane che sta raccogliendo lusinghiere affermazioni nei grandi teatri europei e di cui è stato una buona mossa assicurarsi la collaborazione prima che, magari, diventato troppo celebre, si metta a fare stranezze come molti dei suoi colleglli. Lui stranezze non ne fa, ma invece, nella disposizione delle masse e nella naturalezza dei loro movimenti, nell'impiego delle luci come elemento di qualificazione drammatica, si avverte la presenza vigile d'una mente che prende l'opera verdiana per il giusto verso, esattamente come accade per l'Interpretazione musicale di Mario Rossi. Secondo una civile usanza che certamente è costosa, ma di cui non è difficile comprendere la giustificazione, il regista ha concepito l'interpretazione in funzione d'un | allestimento originale, che è stato affidato al noto scenarista e costumista inglese Peter Hall. Questi ha disegnato scene assai decorose e soprattutto costumi eccellenti per il coro e le comparse degli Assiri, e per alcuni personaggi, tra cui Zaccaria e Abigaille. Ne risultava una bella unità stilistica e tonale del colpo d'occhio offerto dalla scena, su un prevalente colore d'oro vecchio e di bronzo. In conclusione, un bello spettacolo, con un'opera ancora assai valida, sebbene sconosciuta alla maggior parte dei presenti, uno spettacolo che è stato schiettamente apprezzato dallo splendido pubblico, con numerose chiamate e applausi a scena aperta, e che fa bene sperare per il seguito della stagione e per il difficile avvenire del Teatro Regio. Massimo Mila

Luoghi citati: Babilonia, Barcis, Milano, Torino