Armi sovietiche e mercenari stranieri nella guerra civile tra Nigeria e Biafra di Giovanni Giovannini

Armi sovietiche e mercenari stranieri nella guerra civile tra Nigeria e Biafra LA MINACCIA DI UN «VIETNAM AFRICANO » Armi sovietiche e mercenari stranieri nella guerra civile tra Nigeria e Biafra Quando scoppiò il conflitto tra il governo federale e la provincia secessionista, inglesi ed americani rifiutarono di assistere i nigeriani - Il Biafra invece, con i proventi del petrolio (30 milioni di tonnellate all'anno), potè comprare armi dai mercanti internazionali e scatenare l'offensiva - La Nigeria si rivolse allora a Mosca ed a Praga per avere aerei e tecnici: per la prima volta i russi si trovano a sud del Sahara In questo momento i mercenari sono ancora pochi e la guerra rimane un fatto locale; ma, col passare dei mesi, cresce il rischio di complicazioni (Dal nostro inviato speciale) Lagos, 2 gennaio. Natale è passato, è trascorso Capodanno, non c'è stata tregua in Nigeria; i morti sono ormai più di centomila, la guerra del Biafra continua e accenna a divampare più violenta. Anche a Lagos, dove autorità, giornali, radio e televisione vanno a gara nell'ignorare il sanguinbso dramma che si sta svolgendo nella lontana provìncia dell'Ovest al di là della fóce del Niger, sono sempre più frequenti le voci di un'imminente offensiva generale contro i ribelli ibo. Visto ■sulla carta, l'esito dell'atroce conflitto tribale non appare dubbio: c'è anzi da chiedersi com.e possa durare ancora. Il governo dei militari agli ordini del col. Gowon controlla i nove decimi del paese e più di quaranta dei cinquantacinque milioni di nigeriani. Solo il 29 maggio ,scorso, al momento della secessione e delle ostilità aperte, i ribelli del ten. col. Ojukwu avevano potuto nutrire la speranza di vincere con un fulmineo colpo di mano. Dopo le stragi del maggio-settembre dell'altro anno, durante le quali soprattutto per mano dei musulmani del Nord erano stati trucidati a decine di migliaia, quasi tutti gli ibo si trovavano rifugiati e concentrati nella loro provincia originaria dell'Est. Durante l'intero inverno e la primavera, Ojukwu portava avan\ ti le trattative ' con 'Gówón senza evidentemente credere in nessun modo alla possibilità di un'intesa e preparandosi nascostamente a colpire per primo. Gli ibo, che meritano pienamente la loro fama di gente d'ingegno, contavano su vari fattori, anche psicologi- ci, a cominciare dalla commossa simpatia del mondo civile per questa minoranza cristiana o cristianizzata fot- ta a pezzi e minacciata di genocidio dalla maggioranza islamica. Economicamente, è sul loro territorio che viene estratto (o affluisce al mare dalle vicinanze) tutto il petrolio della Federazione, favoloso dono della natura alla Nigeria indipendente: un milione di tonnellate nel '60, venti nel '66 (ed avrebbero dovuto essere trenta questo anno). Tradotti in valuta, questi quantitativi significano per Lagos (o per l'Ovest) imposte e royalties pari a più di duecentocinquanta milioni di lire al giorno. """ " Politici o economici, i calcoli di Ojukwu erano fondati. Imitata dagli Stati Uniti e dagli altri paesi occidentali, la Gran Bretagna (che in altri Stali di nuova indipendenza, come il Kenia o la Tanzania, non aveva J esitato ad intervenire mili- tormente in appoggio ai governi legittimi) dichiarava di non volere immischiarsi in una « questione interna » e rispondeva negativamente ' alla richiesta di armi da parte di Lagos. E la Nigeria, non avendo mai pensato all'eventualità d'una guerra, si trovava a far fronte alla rivolta senza mezzi bellici e con soli ottomila soldati (molti dei quali, specie ufficiali e sottufficiali, erano ibo, poi uccisi o fuggiti nel Biafra). Per conto suo, l'astuto Ojukwu aveva provveduto durante l'inverno e la primavera a rivolgersi non agli Stati, ma ai più noti mercanti di armi. Contro^ molto danaro, che non poteva non aver odore di petrolio, affluivano, forse affluiscono ancora, attraverso le vie più misteriose — dal confinante Camerun ex francese, dalle vicine isole portoghesi, direttamente dall'Europa — automezzi, cingolati, battelli, elicotteri, qualche vecchio bombardiere residuato di guerra. Poca roba, e di terz'ordine, ma sufficiente, in un teatro di operazioni equatoriale che non consente troppa meccanizzazione, a conferire prestigio a chi ne dispone. Dato inizio alla guerra il 30 maggio, e mentre per terra invadeva la provincia-cuscinetto del Middle West e spingeva punte fino a duecento chilometri dalla stessa capitale nemica, Ojukwu riusciva a mandare un «B 28» nel cielo di Lagos ed a lanciare qualche rudimentale ordigno: nessun danno, ma molto rumore ed enorme impressione. A riprova della loro astuzia, elementi ibo si impadronivano in volo di uno dei pochi aerei del governo — un « Fokker » — costringendo il pilota a dirottare e ad atterrare nel Biafra (più tardi, il velìvolo esplodeva o veniva'abbattuto nel cielo di Lagos, non si salvava nessuno dei nove uomini dell'equipaggio, cinque neri e quattro bianchi). In giugno-luglio, la causa degli ibo sembrava incredibilmente trionfare: a tutti gli elementi politici, psicologici, economici a loro favore, si aggiungeva quello concreto del successo iniziale sul campo, e a chi vince è sempre più facile trovare comprensione e solidarietà. Ma in agosto-settembre, il rapporto quantitativo di forze ha cominciato a farsi sentire; il. governo di Lagos ha portato progressivamente i suoi soldati da otto a cinquantamila, e li ha spinti avanti tutt'attorno al Biafra. L'esercito regolare ha passato ovunque il grande fiume Niger e ne tiene la sponda orientale; a nord-ovest, ha conquistato lo stesso capoluogo di regione, Enugu; a nord tiene una fascia biafrana; ad est è riuscito ad isolare lo Stato ribelle spingendo colonne lungo la frontiera del Camerun; sulla costa, infine, controlla gran parte del litorale. Anche se non in modo uniforme e compatto — siamo in zona di foreste — i federali circondano ormai i ribelli per terra e per mare. Ed in cielo, gli aiuti negati dalla Gran Bretagna e dall'Occidente, sono stati subito accordati a Lagos dall'Unione Soviètica e dal mondo oomunista: una ventina di Mig, una decina di caccia supersonici cecoslovacchi sfrecciano continuamente tra le basi del nord e le zone di combattimento nel Biafra. I nigeriani continuano a proclamarsi anticomunisti; i comunisti dichiarano di aver fatto solo un affare (a pronta cassa) e di fornire solo temporaneamente tecnici ed istruttori (un centinaio), non piloti o personale combattente di nessun tipo. Ma gli ambasciatori occidentali lamentano lugubremente la comparsa della falce e del martello in un paese dove pochi anni addietro si era fatto fare anticamera per mesi e mesi al primo ambasciatore sovietico che chiedeva di presentare le credenziali: « Sta di fatto — essi dicono — che, in un modo o nell'altro, uomini e mezzi russi, dopo essersi insediati con la crisi del Medio Oriente dai porti egiziani agli aeroporti algerini, sono per la prima volta presenti a sud del Sahara ». In mancanza di piloti ed in genere di tecnici o specializzati, le due fazioni nigeriane hanno dovuto ricorrere a stranieri. Al servizio dei federali figurano ad esempio, gli uni stranamente accanto agli altri, sudafricani ed egiziani ed indiani; nel Biafra, sembra che siano in prevalenza i francesi. I mercenari, le loro imprese, le loro paghe (un milione settecentomila lire al mese per i piloti) non si prestano in Nigeria a pittoresche descrizioni: sono pochi (qualche decina complessivamente), né la guerriglia nella giungla si presta i alle loro prodezze. E soprattutto gli interessi economici bianchi non prevalgono: il Biafra non è- ir Kattmga, qui la guerra è soprattutto tribale. « Mad Mike » (« Michelino il matto »), cioè il famigerato maggiore Mike Hoare comandante dei sudafricani in Congo, è venuto in questi giorni a dare una occhiata per vedere se era il caso di dare una mano all'una o all'altra parte; ma se ne è andato alla svelta dichiarando che un intervento dei suoi specialisti accentuerebbe il rischio di una internazionalizzazione del conflitto nigeriano, e che questa non è guerra per mercenari (forse i fondi disponibili sono minori): bisogna lasciar fare ai negri. Le cose potrebbero cambiare, e peggiorare, se il caos attuale dovesse durare. E purtroppo le " previsioni non possono non essere estremamente pessimistiche. Il Biafra ha oggi meno simpatie internazionali per il suo rifiuto di qualsiasi compromesso (anche di una breve tregua natalizia); non ha più grandi disponibilità economiche, perché l'estrazione del petrolio è cessata; è in condizioni di inferiorità sul campo, perché è praticamente circondato e non può opporre che diecimila soldati ai cinquantamila federali. Gli ibo non possono vincere; però sono in grado di resistere a lungo, favoriti dalle loro foreste impenetrabili, esasperati dalla certezza che arrendersi significa essere sterminati. E, per gli stessi motivi, vincere è difficile anche per i federali i quali però saranno costretti prima o poi ad attaccare, a cercare il successo definitivo. Anche se a Lagos si cerca di mostrarsi sicuri, quasi indifferenti, la situazione si fa pesante: lo sforzo militare costa, il petrolio non dà più gettito, i settori produttivi segnano un rallentamento, le riserve si volatilizzano. La guerra minaccia di mettere in ginocchio il grande, ricco, popoloso « Stato modello» del Continente Nero. L'Organizzazione Unità Africana (è venuto a Lagos anche Ailé Selassié) non è riuscita a niente davanti all'irreducibilità delle parti: il mondo si disinteressa di un dramma che non vede (per ora) coinvolti i grandi della terra e che non tocca le persone fisiche dei bianchi. Così la guerra del Biafra è destinata a continuare, i cadaveri ad ammucchiarsi nell'intricata distesa di terra e d'acqua al di là del Niger saldata insieme dallo stato impenetrabile della foresta equatoriale. Giovanni Giovannini '