II Congo ha enormi ricchezze intatte su cui edificare un prospero avvenire di Giovanni Giovannini

II Congo ha enormi ricchezze intatte su cui edificare un prospero avvenire E1 COME UjMA CASSAFORTE APPENA DISCHIUSA II Congo ha enormi ricchezze intatte su cui edificare un prospero avvenire Quindici milioni di abitanti vivono in desolata povertà; ma possono progredire in fretta, se durerà la pace interna - Il Katanga è da sfruttare per due terzi, le risorse d'altre province sono ancora inesplorate - Il paese già esporta grandi quantità di cobalto, germanio, rame, stagno, minerali preziosi; il solo contrabbando fa uscire diamanti per otto milioni di carati all'anno -1 congolesi hanno bisogno della collaborazione straniera, e cercano soprattutto quella italiana -1 nostri connazionali già hanno costruito la maggior industria moderna, una raffineria di petrolio; ora si accingono ad innalzare il maggiore complesso idroelettrico del mondo (Dal nostro inviato speciale) Klnshasa, dicembre. A sette anni dall'indipendenza, il grande problema del Congo non è più — si spera — la pace interna ma la desolata, inquietante miseria dei suoi quindici milioni di abitanti. Ridotta sempre più nelle campagne ad una «economia di sopravvivenza ». alla caccia nelle città dei pochi e mal retribuiti posti di lavoro, la massa africana spera che alle troppe e sanguinose lotte delle fazioni nere e bianche succeda finalmente una sola e grande battaglia, quella contro la fame. Forse il momento è venuto, e certo la battaglia può essere vinta: solo la follia dell'uomo ha portato a tanta povertà in questa terra che è ira le più ricche del mondo. Secondo le ultime valutazioni (cito una rela¬ zione stesa in questi giorni dal dott. Massimo D'Amico, direttore del nostro ufficio Ice a Klnshasa), l'industria mineraria congolese fornisce al mercato mondiale il 61Vo del cobalto, il 50"Zo dei diamanti industriali, il 20"h del germanio, il 7'/» del rame, il 5"'» dello stagno. L'elenco dei minerali preziosi è lungo: continua conoro, argento, uranio, cadmio, cassiterìte, wolframite, tantalocolumbite, e tanti altri dai nomi ostici al profano, ma familiari a chi si occupa, ad esemjrìo. di aerei supersonici, missili e simili. Per citare qualche cifra in assoluto, l'anno scorso sono state esportate più di trecentomila tonnellate di rame, cinquantamila di zinco, duemila di stagno, e sei tonnellate di oro, argento, diamanti. Guerre o no, estrazione ed esportazione non sono mai diminuite (il rame è passato dalle duecentosettantamila tonnellate del '63, alle probabili trecentotrentamila di quest'anno): sono i proventi a finire troppo spesso in casse diverse da quelle del legittimo governo congolese. Il collega Peter Tumiati, che sta conducendo un'inchiesta per il Financial Times, cai cola che dall'indipendenza ad oggi siano stati portati di contrabbando nei paesi vicini diamanti tra i sei e gli otto milioni di carati all'anno. Dopo l'ordine pubblico, Kinshasa sta affannosamente tentando di imporre un qualche ordine economico. Per il delicato settore commerciale dei diamanti, ha preferito affidarsi all'organismo inglese che già controlla V85'fr della produzione mondiale, costituendo una società mista che avrà il monopolio della esportazione congolese. Per il rame, e gli altri metalli preziosi controllati dal famoso gruppo, ho già accennato alla nazionalizzazione deMTJnion Minière, ora Gecomin: solo gli amministratori al vertice sono, per ora. congolesi, ma basta questo a dare finalmente a Kinshasa l'esatta conoscenza di entrate, uscite e redditi effettivi. Nella Gecomin ed in molte altre analoghe imprese, ì quadri tecnici ed amministrativi rimangono ancora belgi: ma sono insufficienti perché molti, specie nell'inquieto Katanga, hanno preferito rientrare in patria. Il problema non è tanto quello dì assicurare gli attuali sfruttamenti ma di passare ad altri, noti o ignoti. Per il Katanga è per l'intero Congo, è più che mai valida, oltre a quella di « scandalo geologico », la , definizione di «cassaforte appena dischiusa ». Cito ancora dalla relazione D'Amico: « Nel Katanga Or tentale-Lualaba, sono stati individuati più di centocinquanta giacimenti di, rame, cobalto,' zinco, uranio eccetera: per due terzi, essi sono ancora da sfruttare ». Così, inverosimilmente, i congolesi, alle prese con la fame o quasi, pur essendo potenzialmente ricchissimi, si guardano oggi attorno alla ricerca di amici che, con giusto interesse economico, li aiutino sul piano tecnico, finanziario, organizzativo, ad uscire da una situazione che non ha riscontro in nessun'altra parte del mondo (sono anche poco numerosi, quindici milioni in un paese grande quasi otto volte il nostro). Ed il loro sguardo si appunta spesso proprio sugli italiani: sia perché si sono sempre comportati bene anche ai vecchi tempi coloniali, sia perché sono tra i pochi a non essere spinti dal ben- che minimo interesse neocolonialista o in genere politico. In materia di minerali preziosi (come, ad esempio, l'uranio che il Congo non sfrutta nemmeno più), non è certo il giornalista a potere dire se esistono oggi contatti ad alto livello. Più semplice e chiaro è l'apporto attuale e quello potenziale degli italiani alla soluzione di un altro drammatico problema di questo paese che è immenso e che non ha praticamente strade degne dì questo nome. Del poco che è stato fatto, anche recentemente, per le comunicazioni terrestri, molto è dovuto a nostre imprese, grandi o piccole, Astaldì o Parisi o la mirìade dei piemontesi in Katanga. Molte di loro hanno duramente sofferto per la guerrìglia, molte oggi devono affrontare difficoltà nei pagamenti pubblici: sono i limiti che occorre obiettivamente ìndicare, nel riferire l'appello dei congolesi agli italiani anche in questo campo. Parlando di strade, viene naturale un accenno alle macchine. A Kinshasa le auto Fiat sono familiari come in qualsiasi altra parte del mondo ma mi trovo a girare anche in tassì-Fulvia (mi dicono che la Lancia ne ha venduto in questi giorni una partita di duecento); ed a Lubumbashi c'è qualcuno che, incurante dell'inquieta atmosfera, si sta dando da fare per l'Alfa. Ci sono camion Fiat a centinaia, anche in servizio pubblico, e ci sono trattori agricoli per i quali i pezzi grossi congolesi continuano a premere per la creazione, da parte della Casa torinese, di una catena di montaggio nella capitale. La concorrenza non sta con le piani in mano: difficile oggi, il mercato viene evidentemente giudicato dì grande interesse in un domani non tanto lontano. Come qualsiasi altro paese africano di nuova indipendenza, ma con maggiori effettive possibilità di risolverlo, il Congo considera giustamente come suo massimo problema quello dì non restare per l'eternità esportatore di materie prime ed importatore di prodotti finiti. Ed ancora una volta, il primo passo sul cammino dell'industrializzazione è stato compiuto in collaborazione tra congolesi ed italiani dell'Eni con quella raffineria di Moanda della società mista Soclr, che permetterà a Kinshasa un enorme risparmio di valuta: il carburante prima lo doveva acquistare all'estero. Intendiamoci, in Congo non ci sono solo gli italiani all'opera. Ci sono predominanti i belgi, che logicamente cercano di salvaguardare il più possibile vecchie posizioni, almeno economiche; ci sono gli americani che si vedono poco ma contano sempre di più; ci sono gli inglesi che si occupano di diamanti, i francesi che spendono molto per il prestigio gollista nel « deuxième pays francophone du monde »; ci sono perfino i giapponesi che stanno occupandosi di miniere di ferro nel Katanga e ài ferrovie nel Kasai. Ma sta di fatto, e pazienza per la monotonia del discorso, che devo riparlare di italiani proprio a proposito del colossale progetto di Ingo, al quale si sta per porre mano. Questo paese, ricco di fiumi, non dispone — solita contraddizione — di energia elettrica sufficiente né per le industrie future, né per gli scarsi consumi attuali. Da tempo, si era individua¬ to il sito di fuga. Qui, ad un quattrocento chilometri a valle di Kinshasa, il grande fiume scende in un ampio letto, attraverso rapide, di un centinaio di metri in una dozzina 'dì chilometri: imbrigliandolo con impresa tecnicamente non ardua, si potrebbe realizzare il più grande complesso idroelettrico del mondo. Inseguendo questo sogno dal costo favoloso, non si era mai concluso niente: oggi, per merito dell'entusiasmo e del buon senso di alcuni esperti (primo fra tutti l'italiano ing. Caffarelll), si è ridlmenslonatq il progetto articolandolo in varie fasi a lunga scadenza, e si sta ponendo mano alla prima. Affrontando un costo di circa venti milioni dì dollari ciascuno, il governo congolese provvederà alle infrastrutture ed opere civili (che in parte saranno affidate a nostre imprese), un gruppo Iri-Astaldi alla parte elettromeccanica e sbarramento, il Mec alle linee di trasporto dell'energia (300 mila kW). A parte ma contemporaneamente, il progetto d'insième prevede il sorgere di un impianto siderurgico e di altre industrie. Ci sono ancora modalità da definire, il lavoro è grosso, ma Mobutu ha fretta: il complesso idroelettrico deve essere finito per il 1972; fra pochi giorni, a Capodanno andrà lui personalmente a dare il primo colpo di piccone ad Ingo. Giovanni Giovannini

Persone citate: D'amico, Massimo D'amico, Parisi, Peter Tumiati