Morto il cardinale Spellman capo della diocesi più ricca del mondo

Morto il cardinale Spellman capo della diocesi più ricca del mondo Arcivescovo di New York e cappellano dell'esercito degli S. U. Morto il cardinale Spellman capo della diocesi più ricca del mondo La fine improvvisa a 78 anni per emorragia cerebrale - Figlio di negozianti, cominciò a lavorare come garzone, strilione di giornali, giocatore di « base-ball » - La vocazione venne tardi - Intraprendente, disinvolto (era pilota d'aereo), straordinario organizzatore, trattava gli affari della Chiesa con il polso sicuro del «manager» - Amava farsi chiamare il «public relations man di Gesù» in America - Lascia la sua diocesi con un bilancio annuo di 150 milioni di dollari - Grande amico di Pio XII, non fu mai ih buoni rapporti con Giovanni XXIII New York, 2 dicembre. Il cardinale Francis Spellman, arcivescovo di New York per oltre un quarto di secolo, è morto oggi all'età di 78 anni. La fine è sopravvenuta alle 17,45 (ora italiana) poco dopò il ricovero nell'ospedale di San Vincenzo, a Manhattan, in seguito ad emorragia cerebrale. Spellman era il capo della più ricca diocesi del mondo ed il più alto esponente della gerarchia cattolica americana. Il segretario del cardinale, monsignor Thomas McGovern, ha detto che non si prevedeva una fine così rapida. Durante la giornata di ieri, il porporato era apparso in buone condizioni di salute ed aveva anche discusso con 1 collaboratori la possibilità di recarsi nel Vietnam in occasione del Natale, nella sua qualità di cappellano delle Forze armate americane. (Ansa) Collegio. Se non eretiche, le sue proposizioni vennero denunciate come in aperto contrasto con lo spirito informatore del Concilio Ecumenico: e per la verità, la denuncia era quasi superflua perché durante tutto il Vaticano li Spellman con molta foga e grande impegno si era sempre battuto contro le concezioni che siamo soliti considerare caratteristiche del cosiddetto aggiornamento della Chiesa. Per dare un solo caso, si può ricordare che Spellman fu tra i pochissimi padri che negarono il valore religioso dell'obiezione di coscienza, e di quei pochi fu il capofila. « Per fortuna, quando parla in latino con il suo accento americano non si capisce quasi nulla », dicevano i suoi antagonisti in Concilio, giustamente preoccupati delle sue potenziali qualità di trascinatore. Era difatti un uomo travolgente, ma certo più nella sua diocesi che sotto le volte di San Pietro in tempo di Concilio. Dal suo pulpito di San Patrizio, la cattedrale di New York nella Fifth Avenue, tuonava senza ritegno né paura. Non esitò a deprecare Eisenhower, quando era presidente, perché aveva consentito di ricevere Kruscev in America. Proclamò il giorno del suo arrivo a New York « la giornata del pentimento nazionale », ed impaurì i fedeli venuti ad ascoltare la Messa: « Attenzione, attenzione: noi stiamo forse per affrontare una crisi anche più grave di quella di Pearl Harbour ». Nato a Witman, nel Massachusetts, da una famiglia di ricchissimi droghieri la sua prima aspirazione era stata la carriera delle armi: « Avrei voluto fare l'ufficiale quando ero ragazzo — raccontò poi — ma mio padre disse che era meglio che curassi la drogheria ». Il suo primo lavoro fu difatti garzone di bottega, e come distrazione e sfogo alla erompente vitalità faceva pure lo strillone di giornali. Fu tranviere, per qualche tempo, ma finalmente la famiglia lo ricondusse agli studi facendolo entrare nel collegio cattolico di Fordham, tenuto dai gesuiti presso New York. Era uno studente abbastanza coscienzioso, ma soprattutto un eccellente giocatore di baseball. La sua nomea si dilatava in campo universitario, oltre i confini del suo collegio, e si racconta che per molti fosse stata motivo di gravissimo stupore la notizia diffusa un certo giorno che egli pensava a farsi prete. Era un caso di vocazione Un trascinatore Quest'anno per la prima volta, i «G. I.» americani che hanno la triste sorte di trovarsi a combattere in Vietnam, non riceveranno per Natale la visita del « loro » cardinale, Francis Spellman, arcivescovo di New York. Finora era stato regolarmente suo uso recarsi a trascorrere le feste tra i « suoi » ragazzi al fronte, e si vestiva per l'occasione come loro, si faceva fotografare nel regolamentare battle dress, coperto il capo del berrettino con la lunga visiera, comune ai generali, all'ultimo marine, e al cardinale predicatore della necessità della guerra contro il pericolo giallo. L'anno scorso, talune sue dichiarazioni furono tacciate quasi di eretiche da una parte del clero francese, e vivamente confutate anche da qualche membro del Sacro Il cardinale Francis Spellman. Aveva 78 anni (Tel.) di un curato avere molta cura della sua chiesa, anche sul piano materiale. E quindi elencava le proprie benemerenze come un uomo d'affari che riferisca al consiglio di amministrazione o sull'assemblea degli azionisti: « Mezzo miliardo di dollari investiti per la costruzione di chiese, istituti, organizzazioni sociali e così via. Un milione di dollari ogni anno all'obolo di San Pietro. Un capitale "fìsso e mobile" composto da quattrocento chiese, quattrocentocinquanta scuole, qualche Università, seminari, conventi ed ospedali. Cinquemila autovetture ». Il nomignolo che più apprezzava fra tutti quelli che gli erano attribuiti era «Public Relations Man di Gesù Cristo negli Stati Uniti ». Gli si addiceva a perfezione, corrispondeva esattamente alla sua mentalità. « Certo: tv, radio, teatri, balli di beneficenza, fotografie ed ancora fotografie. Sono tutte cose che servono a diffondere la parola cattolica nel nostro mondo. Non ho il diritto di sottrarmi ai fotografi, né di respingere un invito della televisione ». Tra i suoi consiglieri in materia di finanze fu uno dei più grandi cattolici degli Stati Uniti, Joseph Kennedy, padre del Presidente. Con John Kennedy, invece, i rapporti non furono mai buoni. Fu in grande amicizia con Pio XII- fino da quando il futuro Papa Pacelli era ancora segretario di Stato (anzi fu Spellman a presentargli il medico che doveva diventare archiatra pontificio, il dottor Riccardo Galeazzi Lisi) e fu invece in relazione di grande freddezza, se non di aperta ostilità, con Giovanni XXIII. Gli rimproverava acerbamente le sue iniziative di apertura verso i Paesi dell'Europa Orientale, e soprattutto di aver fatto entrare in Vaticano Agiubei e sua moglie, genero e figlia dell'arcidiavolo Kruscev. Raccontava che suo padre, il giorno che aveva saputo la sua decisione di diventare prete, gli aveva detto approvandolo: « Probabilmente non hai torto, figlio mio. Ma ricordati questa regola, fatti amici più grandi di te e la tua fortuna sarà fatta ». Spiegava, per vantarsene, di aver capilo di che stoffa era tatto quel monsignore Pacelli, poi cardinale, poi segretario di Stato, poi Papa, e con un candore che può stupire ma che condannare non si può tanto era sincero. concludeva: « E quindi è stata questa la mia carriera, come mio padre mi aveva insegnato. Sono salito e sono andato avanti riding the coal tails of my good friend Pacelli ». Letteralmente, cavalcando la coda di Pacelli, ovverossia allacciato alla sua fortuna. Vittorio Gorresio tardiva, ma non del tutto i dsorprendente perché nella sua famiglia correva sangue irlandese, e il cardinale O'Connell, allora arcivescovo di Boston, la teneva sotto il suo diretto patronato. Quindi fu O'Connell personalmente a spedire il giovane Spellman a Roma, nel 1911, perché seguisse i corsi di studi presso le scuole di « Propaganda Fide ». Gli fu,. compagno il futuro cardinale Agagianian e insegnante il futuro cardinale e segretario di Stato Domenico Tardini. Furono buoni incontri, dal punto di vista della sua formazione ecclesiastica, ma la sua nuova vocazione non estingueva in lui del tutto il rimpianto per la mancata carriera delle armi. Tornato negli Stati Uniti chiese difatti di essere nominato cappellano militare. Non fu accontentato ed esordì invece in giornalismo, come direttore di un giornale cattolico di Brooklyn. Ebbe una parrocchia a Boston, e stava facendo tanta carriera che venne presagito vescovo ausiliario con diritto o possibilità di successione del suo antico protettore O'Connell, il quale stava mate in salute e pareva anzi prossimo alla morte. Avendo a fianco il dinamicissimo Spellman, O'Connell tuttavia riuscì a rimettersi: « La sola idea che Spellman potesse diventare vescovo di Boston — disse O'Connell agli amici — è bastata a ridarmi la salute che non avevo avuto che a vent'anni ». Era difatti un uomo del quale si poteva anche aver paura, e che comunque sconcertava.- Quando fu a Roma per un lungo periodo, dal 1925, in qualità di rappresentante dell'organizzazione cattolica americana detta dei Cavalieri di Colombo, la sua impetuosa vitalità mise a repentaglio più di una delle venerande tradizioni della Curia. Nella gestione dei beni dei Cavalieri di Colombo, dimostrò d'essere un eccellente amministratore. Pio XI, che pure non ebbe grande occasione di conoscerlo da vicino, e che forse lievemente ne diffidava, gli aveva dato il nome di « monsignor prezioso » non potendo disconoscere l'importanza dei contributi americani che monsignor Spellman riusciva a far affluire all'obolo di San Pietro. Anche nelle hinzioni, avute più tardi, di arcivescovo di New York mostrò di possedere un vero gemo della finanza. Trovò la diocesi in passivo, gravata di debiti per 40 milioni di dollari: morendo la lascia adesso con un bilancio annuo di 150 milioni di dollari, quasi 100 miliardi di lire. « E' la più ricca parrocchia del mondo », affermava Spellman con soddisfazione nei suoi ultimi anni, quando diceva ridendo che è dovere cusudmfaglsustlazigavioPmtrtoUtiapgliCGcatvnccdnrginmdgnCi bzqcdadpdcfoGmaltimldpvtmmgdfssgpPpnsqcaetftP