I buchi e i tagli di Lucio Fontana e le macchie di Giovanni Fattori

I buchi e i tagli di Lucio Fontana e le macchie di Giovanni Fattori f/ita serie di importanti mostre a Torino I buchi e i tagli di Lucio Fontana e le macchie di Giovanni Fattori Settanta disegni in gran parte sconosciuti di Casoratì esposti all'Accademia Albertina La mostra di Lucio Fontana alla galleria « La Bussola » (via Po 9) ci annunzia che sta avvenendo uria grande rivoluzione estetica. Sono molti anni — si può dire dal suo famoso «Manifesto Bianco (Spszialismo) » pubblicato in Argentina nel 1946 (un rimescolio di idee confuse, un garbuglio di incoerenze, un coacervo di contraddizioni) — che Fontana ci propina dei pannelli variamente bucherellati con un punteruolo o tagliati con una lama di rasoio, ma invariabilmente intitolati «Concetti spaziali ». Con questi buchi e tagli, sollevato sempre più in alto da una saputissima critica che rimbomba dalle aule universitarie agli atri del musei, l'antico allievo a Brera del candido Adolfo Wlldt, abbandonato l'elegante figurativismo barocco dei suoi bozzetti per la porta del duomo di Milano, è divenuto celebre in tutto il mondo quale esponente di « un perenne avanguardismo » (Mario De Micheli, Scultura italiana del dopoguerra, Milano, 1958), banditore di « messaggi », pioniere, animatore, creatore, « maestro nel senso orientale del termine », secondo Michel Tapié (Devenir de Fontana, Torino, 1961), da considerare « nella prospettiva dì una meravigliosa continuità che bisogna interrogare» accettandone « i nietzschiani sortilegi ». Mai dei buchi portarono tanto lontano. Ma, ha scritto Maurizio Calvesi (L'Espresso, 29 ottobre 1965), adesso i buchi « non attestano più la repentina attualità del gesto » come quando erano eseguiti a mano. Sono praticati à macchina su grandi legni ellittici laccati, splendenti lùcidissimi come variopinte carrozzerie d'automobili, che possono esser ripetuti in limitata serie. Perciò « dalla pittura di azione o di gesto anche Fontana si sposta, rimanendo se stesso, verso la pittura-oggetto », e i legni continuano ad essere «simboli spaziali», perché la' loro superficie a « non è uno schermo sv^uj. proiettare la immagine, non è uri piano ideale, ma un piano materiale attraversato dallo spazio e conformato a suo simbolo-concettuale ». Capite quale carica di idee è affidata a. file, diritte o curve, di 21. 22, 32, 35 buchi? Anzitutto, avverte il presentatore della mostra torinese, Francesco de Bartolomeis, ricórrendo alla macchina Fontana dimostra « di avere definitivamente superato il feticcio del mestiere e del virtuosismo, la credenza nell'abilità della mano, ossia una tecnologia espressiva ancora legata al passato». Poiché « i mezzi manuali dell'artista perdono significato », e « l'esecuzione si stacca dall'uomo », e « all'artista artigiano si sostituisce l'artista designer », trionfa più sicura la « originalità di Fontana » con « una svolta importante anche per gli ulteriori sviluppi ». Ma non basta. Aggiunge il presentatore che queste « regolari composizioni di buchi puri » hanno un riferimento analogico ai quanta della fisica moderna; cioè Fontana si fa arditamente interprete, coi suoi buchi a macchina, d'una delle più astruse teorie matematiche del fisico tedesco Max Planck. Ripetiamo: si tratta d'una rivoluzione estetica decisiva. Nessuno stupore, dunque, che queste ellissoidi bucate e lucidate costino, a quanto ci dicono, un milione e mezzo caduna. Nessuno stupore che ancora una volta salgano al cielo gli osanna critici per i buchi di Fontana. Similmente i cortigiani magnificavano le vesti meravigliose dell'Imperatore nella nota favola di Andersen. Finché s'udì la voce del fanciulletto ingenuo: « Ma non vedete che l'Imperatore è nudo?». * * Parliamo di cose serie. «L'Arte Antica» (corso Matteotti 40) espone 132 acqueforti e 7 litografie di Giovanni Fattori, cioè la quasi totalità dell'opera grafica del più grande ma del meno teorico dei Macchiaiuoli toscani; infatti Carlo Alberto Petrucci nella mostra che allestì nel 1958 alla Calcografia Nazionale dì Roma raggiunse il numero di 177 lastre incise all'acido e di 20 pietre. Lastre di zinco, perché le magre risorse economiche del maestro non gli permettevano di valersi del rame; e tecnicamente difettose per la composizione, preparazione e applicazione della vernice, la approssimata affumicatura e morsura, la deficiente pulizia del metallo, e infine la pessima e disordinata conservazione delle matrici. Con simili carenze, è un miracolo che questi fogli sia¬ no, coi saggi grafici di Antonio Fontahesi, i soli che consentano all'incisione italiana dell'Ottocento di « non sfigurare di fronte alla francese coeva» (Petrucci). Miracolo dovuto alle eccezionali qualità dell'artista, ma in pari grado al temperamento dell'uomo, semplice, grave, modesto malgrado la profonda coscienza del proprio valore, umile di fronte allo straordinario spettacolo del mondo, ed impegnato a capirne e rappresentarne le più intime verità. Uomo del popolo e perciò adatto a comprendere la dura vita del popolo (« Ho i frugato nelle piaghe sociali»); ma non v'è protesta o denunzia «impegnata » nel suo figurare; unicamente il senso della realtà nel suoi elementi essenziali. La" « macchia » non è per lui — come per altri suoi amici del « Caffè Michelangiolo » — un linguaggio polemico, rivoluzionario: è il mezzo nativo per interpretare più Immediatamente il « vero », Cosi nacque ima serie di capolavori, d'una moralità spoglia e rude tradotta da un segno potente e scabro che fa degli esseri viventi e della circostante natura una unità inscindibile contemplata con maschia malinconia. * * S'è aperto ieri mattina ufficialmente l'anno scolastico dell'Accademia Albertina di Belle Arti, con discorsi del presidente del consiglio d'amministrazione dell'istituto, avvocato Remo Moróne, e del direttore prof. Enrico Paulucci. Alla cerimonia — caso del tutto inconsueto — non hanno partecipato gli studenti, riuniti invece nell'atrio a pianterreno, in segno di protesta per il mancato accoglimento (almeno finora) di alcune loro richieste. Quest'assenza è stata spiacevole, perché i giovani hanno perso l'occasione di un tributo d'ammirato affetto, durante la cerimonia, alla memoria di un loro grande maestro di recente scomparso. Infatti nel salone dell'Accademia erano, e sono per alcuni giorni, esposti circa 70 disegni tolti dalle cartelle di studio di Felice Casorati, e perciò in gran parte non ancora conosciuti dal pubblico: una mostra bellissima e d'eccezionale interesse, in quanto ci rivela, nella sua più pu- ra intimità creativa, l'elaborazione del pensiero figurativo dell'insigne pittore, la sua ricerca del linguaggio grafico più adatto alla definizione di una determinata immagine e quindi d'uno specifico sentimento, il suo duttile impiego del mezzo grafico. Colpisce in proposito la varietà del segno, che ora si fa volume con un esplicito gioco chiaroscurale quasi accademico e di straordinaria perizia manuale, ora si riduce a un'essenzialità lineare nel tracciato del puro contorno che appiattisce sul foglio la figura pur conservandone i valori speziali. Contemporaneamente s'alterna la severità dello stile asciutto e spoglio, con una specie di tenerezza che nell'artista destava un soggetto particolarmente gentile o soave o addirittura patetico. C'è un disegno, un assoluto capolavoro, di donna vista di spalle, nel quale la curva del collo ci dà la piena misura d'un Casorati interprete stupendo d'una femminilità che a volte egli di proposito, quasi per un pudore del piacevole, eludeva. mar. ber.

Luoghi citati: Argentina, Milano, Roma, Torino