Karl Jaspers, esule volontario, teme il pericolo nazionalista in Germania di Massimo Conti

Karl Jaspers, esule volontario, teme il pericolo nazionalista in Germania INTERVISTA CON IL PIÙ' CELEBRE FILOSOFO TEDESCO Karl Jaspers, esule volontario, teme il pericolo nazionalista in Germania I suoi connazionali non hanno avuto il coraggio di rinnegare fino in fondo il nazismo: l'atmosfera della patria, anche dopo la guerra, gli parve irrespirabile - A 85 anni, in questi giorni, ha preso la cittadinanza svizzera; ma continua la sua battaglia - « Ci sarà 1 milione di tedeschi di buon senso, ma tengono la bocca chiusa. Gli intellettuali si rifiutano all'azione, la massa degli indifferenti obbedisce a qualunque ordine dello Stato » «Gli estremisti di destra sono una minaccia, perché agitano idee nazionalistiche»; egli non ha fiducia che gli uomini politici sappiano resistere (Dal nostro inviato speciale) Basilea, novembre. E' grande come Sartre, Heidegger e Bertrand Russell, ma stenta ad ammetterlo: « Neanche lo — mi confida Karl Jaspers, il padre dell'esistenzialismo tedesco, — sono un grande filosofo. E se per caso lo fossi, lo si saprebbe fra qualche secolo ». Bisogna intendere. La umanità vive in fondo a un oceano di tenebra, e le rare menti cui è dato di rischiarare un poco il mondo circostante risultano da una prospettiva di secoli, di millenni talvolta. « Allora — oso domandargli — qwli sono i grandi filosofi?». Assiso su una vasta poltrona congrua alla sua complessione (è alto ■più di due metri) Karl Jaspers sorride: « La storia della filosofìa l'ha scritta Platone. Gli altri vi hanno aggiunto qualche postilla ». Quando sono stato ammesso nel suo studio, alle sei di sera, Karl Jaspers ha deposto un volume che stava leggendo dalle prime ore del mattino, Gli aspetti filosofici della biologia di Adolf Portmanns. Di solito Jaspers studia per l'intiera giornata restandosene disteso su un divano. La più grande cura, nella sua vita, è sempre stata quella di risparmiare energie fisiche per nutrire lo spirito. « Non vivrà più di trent'anni », sentenziarono i medici visitando il giovane Jaspers che aveva polmoni fragili. Fra non molto, il 23 febbraio prossimo, il filosofo compirà 85 anni. Che cosa ha scoperto in questo lungo ìempo? In primo luogo che « la filosofia non è mai una scienza intorno a qualcosa, ma il dialogo che l'uomo, in se stesso, tiene con l'essere »; e che pertanto « essa è l'esistenza stessa dell'uomo ». Il dialogo, cioè il pensiero filosofico, illumina la realtà delle cose. La realtà, anche quella della trascendenza, è nelle cifre: « Noi viviamo ta un universo di cifre nelle quali dovrebbe rivelarsi ciò che veramente è, ma che non si rivela, e resta invece ta significati che sempre mutano: all'infinito ». Ecco perché le domande sono più essenziali delle risposte, e ogni risposta diventa una domanda. Quanto all'uomo, la sua dignità sta nel fatto che « soltanto lui riesce a far parlare le cose che, di per se stesse, sono mute », a strapparle cioè alla loro indifferenza mostruosa. L'uomo quindi può aspirare alla verità. E la verità è più della scienza.. La morte? Non sappiamo, con certezza. In tutto il mondo, dall'America al Giappone le opere filosofiche di Jaspers raggiungono tirature inverosimili. La condizione spirituale del tempo, nel mondo di lingua tedesca, ha superato le centomila copie: i saggi di Jaspers sulla minaccia atomica sono noti anche in Italia. Dove va la Repubblica Federale?, analisi-tagliente della Germania d'oggi, è stata motivo di scandalo fra i tedeschi benpensanti, e se ne è discusso anche al Parlamento di Bonn. So, quindi, che le opinioni di Jaspers pesano molto quando si tenta di definire la realtà del più inquietante fra i paesi d'Europa. « I tedeschi? Ebbene: vi sono fra loro molte persone di buon senso. Un milione su 50 milioni, forse? Il guaio, però, è che questa gente ragionevole spesso non appare sulla scena. Gli uomini ragionevoli, e questo è un tratto tipicamente tedesco, tengono la bocca chiusa ». Fra costoro ci sono in primo luogo gli uomini della cultura e. in particolare, i dotti delle università. Ma la cultura, in Germania, è sempre rimasta estranea alla realtà del paese, alle cose contingenti, alla stessa politica. La tesi di Benedetto Croce, qui, viene confortata dal giudizio di Jaspers. « Sono refrattari all'azione, i nostri intellettuali. Hanno paura di sbagliare. Come si può far della politica quando si teme di commettere errori?». Poi, nell'analisi di Jaspers, segue la massa degli indifferenti. Tutta gente che nell'obbedienza allo Stato e all'autorità costituita reputa soddisfatti i doveri del cittadino. E' strano, ma ancora oggi in Germania non si avverte la responsabilità politica delle masse. « Si ricordi—mi dice Jaspers —: il popolo tedesco non ha mai impiccato un principe; e mai nella sua storia c'è stata una guerra civile ». Il filosofo scuote la testa imponente, i pochi, candidi capelli si rovesciano sulla sua fronte: « No, non sono cambiati i tedeschi, sotto questo aspetto ». La terza categoria di tedeschi definita da Jaspers è data dai nazionalisti e dagli estremisti di destra: « Non sono molti, per fortuna, ma fanno rumore. E quelli che si agitano, spesso riescono a imporsi sugli altri... Considerato in se stesso il nuovo partito nazista di von Thadden è ridicolo; e un nuovo Hitler, come ce lo immaginiamo noi, non potrà tornare in Germania. Ma i seguaci di von Thadden sono pericolosi perché agitano idee nazionalistiche. E contro queste idee, in Germania, non ci si è mai battuti con la energia necessaria. Ripeto: le forze del nazionalismo, nella Repubblica Federale, costituiscono un pericolo ». Se von Thadden, in questo momento non è forte, « egli gode però di simpatie al di fuori del suo partito. Non di certo fra i lavoratori, né fra i sindacati, di cui possiamo fidarci, ma fra certi strati della borghesia e nell'ambiente dei militari. Sono gruppi isolati, d'accordo. Però questa circostanza' non sminuisce" le 'nostre ansietà ». Tanto più comprensibili sono le perplessità di Jaspers, in quanto egli nutre scarsa fiducia nei governanti di Bonn, negli uomini come nei partiti. Allora gli domando se vi sia, irl Germania, un uomo politico che goda della sua stima. Jaspers tace per riflettere a lungo. Poi mi chiede di proporgli un nome. « Erhard, forse? » « Erhard, mi risponde, è senza dubbio un individuo morale. Ma non è un politico ». Sì, c'è qualche tedesco che egli ammira, ma si tratta di gente del mondo della cultura. Parla di quell'Hochhuth che scrive drammi su Pio XII e Winston Churchill, rifiutati dalla critica storica: «Non importa se abbia ragione o no. L'importante, per me, è la sua passione morale ». Un personaggio come Hochhuth ha buone probabilità di prender rilievo in un paese con deboli passioni morali e, quindi, politiche. Da tempo, ormai, Karl Jaspers è andato a unirsi ''.gli « emigrati » della cultura tedesca, da Golo Mann a Peter Weiss, da RubinStein a Remarque. Ma so che non ha mai voluto spiegare, con parole sue, quel che tutti, più o meno, intuiscono. Tento lo stesso: « Per quali motivi. Professore, volle lasciare la Germania* » « Soltanto chi non è tedesco, replica fulmineo, può mettermi di fronte a una siffatta, diretta domanda ». Segue un lunghissimo silenzio. Poi: « Mia moglie è stata ad Auschwitz... Quando, dopo la Liberazione, mia moglie ed io andammo a stabilirci ad Heidelberg, ci aspettavamo manifestazioni di solidarietà ed anche di sdegno per i crimini dei nazisti. Invece non accadde nulla. Allora provai io a smuovere un po' le idee e i sentimenti di quella gente. Tentai di proporre un discorso sul nazismo. Le reazioni furono deboli. Qualcuno, fra i miei interlocutori, si mostrava vagamente indignato, in altri le mie parole erano accolte con un rifiuto ». Jaspers vive di rimorsi: « Dovevo gridarle forte quelle cose orribili perché tutti sentissero. Ho sbagliato, ecco: sono stato troppo leale con quella gente che si comportava come se nulla fosse accaduto ». Un giorno Jaspers avvertì che l'« indifferenza della gente, alla lunga, non era più tollerabile »; che in Germania « la vita stava diventando impossìbile». Fu quando un vecchio conoscente, non sa Jaspers se per cinismo o indifferenza, rivolse a sua moglie queste parole: « Dunque, Frau Jaspers: non l'hanno mandata nella camera a gas? ». La piccola signora Jaspers, ora che è passata più di un'ora e mezzo, entra nello studio per riportare il filosofo alle sue consuetudini quotidiane. E' grazie alle sue cure assidue che il malaticcio professore ha potuto smentire le previsioni dei medici dispiegando per tanti anni la sua prodigiosa attività. Le sue forze e il suo tempo si fanno, ogni giorno di più, un bene prezioso, e si prova rimorso a distoglierlo dai suoi pensieri. Prima di lasciarmi mi rivolge un'ultima raccomandazione che è anche una notizia: «Da pochi giorni sono diventato cittadino svizzero. Lo scriva, per favore ». Nella sua coerenza morale, gli preme che i giudizi sulla Germania non vengano ascritti a un cittadino tedesco. » Massimo Conti * Karl Jaspers, l'ottantacinquenne filosofo tedesco, vive in esilio volontario in Svizzera (Telefoto)