Giorgio Levi della Vida di Luigi Salvatorelli

Giorgio Levi della Vida UN GRANDE STUDIOSO, UN'ALTA COSCIENZA Giorgio Levi della Vida Ho ripensato più volte in questi giorni a una definizione scherzosa data un giorno da Giorgio Levi della Vida a un suo amico intimo, della coscienza che questi avrebbe avuto di sé: « Niente se mi considero, molto se mi confronto ». E ripensandoci ho trovato che la definizione si attagliava per lo meno altrettanto bene al defìniente che al definito. Purché, s'intende, e il « niente » del primo emistichio, e il « molto » del secondo si prendessero cum grano salis. Incominciando da questo secondo punto, il più delicato, diciamo subito che nulla sarebbe più lontano dal vero che il supporre nel Levi della Vida una qualsiasi tendenza svalutatrice dell'opera altrui. Anzi, nessuno più di lui era proclive a metter in valore quanto ci fosse negli altri di buono; e quando il buono superava il livello del mediocre, la valutazione diveniva alta, piena, talora quasi esuberante. I suoi scolari — e ce ne sono di insigni — sanno benissimo quanto egli li apprezzasse, e possiamo aggiungere, quanto cordialmente. Il « molto ». dunque, si riferisce a quei prodotti inferiori — non vorrei dire di scarto —, abbondanti in ogni disciplina, ma specialmente in quelle a sbocco pratico, e che pur si presentano spesso con una certa ostentazione in ragione inversa del loro valore intrinseco. In essi era inevitabile che le manchevolezze e le vanità fossero colte subito dall'acutezza critica del Levi della Vida, e se necessario, liberamente denunciate. E veniamo al primo punto, al « niente se mi considero ». Già quando presentai ai lettori di questo giornale Fantasmi ritrovati — ci fu un ■presentimento vago nella composizione e pubblicazione di quel libro? —, sentii l'obbligo di un chiarimento, per il grosso dei lettori, circa talune espressioni dell'autore, pur di assoluta schiettezza, circa la sua vita svoltasi « ahimèl senza risultati di una qualche importanza ». E dissi che andavano interpretate come un semplice rammarico di non lasciare dietro di sé nessuna di quelle opere ampie e generali facenti parte del patrimonio, o almeno della superficiale conoscenza, di ogni persona di mezzana coltura. Ma il complesso imponente dei suoi scritti filologico-storici è entrato da decenni nella tradizione scientifica degli studi orientalistici e islamistici, formandone una delle basi più salde, e fa parte della coltura storica fondamentale, in un ar- ,i " co amplissimo dal Medio Oriente alla Spagna, dall'Oriente antico al Medio Evo e all'età moderna. Pochi politici di oggi, scrittori e attori, conoscevano come lui, e con diritta sagacia giudicavano e « pesavano », il mondo arabo odierno. Ripetendo adesso, tal quale, quel giudizio sull'opera scientifica di Giorgio, mi accorgo che esso è esatto, bensì, ma anche alquanto superficiale. Per l'approfondimento necessario, mi servirò ,di un detto famoso del Croce, controverso talora, ma (st preso per il suo verso) giusto e profondo: che ogni storia è storia universale. E cioè, che ogni argomento storico di importanza anche modesta, se trattato a dovere, per la connessione che lega, da un secolo all'altro e da un paese all'altro, la vita degli uomini, concorre a far 'comprendere un aspetto della storia e della civiltà umana. « Se trattato a dovere », ho detto: e cioè, avendo coscienza dei nessi e dei substrati. La visione possibilmente integrale dei fatti, degli ambienti, del quadro d'insieme, dei prece denti e delle conseguenze, è ciò che fa il vero storico Ebbene, tale capacità Levi della Vida l'ha posseduta ed esercitata come pochi. Si potrebbe dire, con un paradosso soltanto apparente, che prò prio per avere praticato con tanta costanza lo studio dei singoli fatti, dei singoli testi — insomma, di argomenti particolari, materialmente limitati — proprio per questo egl è arrivato a una comprensio ne dei grandi avvenimenti c del corso storico così profonda e integrale, come invano si cercherebbe in autori voluminosissimi e celebratissimi. A ciò ha concorso un'altra peculiarità dello scienziato, anch'essa tutt'altro che comune. Levi della Vida, si dice sbrigativamente, è stato un grande orientalista: e questo termine fa pensare, prima ancora che alla storia, alla linguistica e filologia. Ma non si tratta di un prima o di un poi: si tratta di una associazione o piuttosto fusione così intima delle due discipline come — occorre ripetere — è ben raro trovare anche nei più rinomati scrittori. Fusione che ha avuto anche per risultato la precisione e chiarezza del linguaggio anche negli scritti non scientifici, per esempio negli articoli di giornale. Giorgio sarebbe riuscito primissimo fra i giornalisti d'Italia, se al giornalismo si fosse dedicato sistematicamente. Ma egli ha trovato di meglio da fare. * * Detto tutto questo, sento in me un senso di insoddisfazione profonda, come di chi abbia mutilato il proprio soggetto. E' Giorgio' uomo, che morto mi sta innanzi più vivo di prima, e che vorrei riuscire ad avvicinare a chi non l'ha praticato abbastanza. E' il carattere della sua coscienza, in cui ragione e giustizia dominavano sovrane-, l'intimità del suo sentimento, il suo concetto della vita: concetto praticato quotidianamente, spontaneamente, ma che aveva dietro di sé, dentro di sé, una profonda vita interiore. Non conosco di lui credenze metafisiche, né meditazioni abituali sui « massimi problemi ». Un classificatore frettoloso potrebbe esser tentato di definirlo un crociano, uno «storicista»: ma sarebbe in errore. La professione della identità hegeliana fra essere e dover essere, la negazione teorica di una scala di valori, quindi di una valutazione etica differenziale dei fatti storici, a Giorgio erano estranee. Una simile estraneità non gli ha impedito di riconoscere, valutare, celebrare Croce quando ha mostrato di saper scegliere; e di lottare per la sua scelta a suo rischio e pericolo; e certamente egli ha constatato con soddisfazione profonda l'influenza che codesta condotta ha avuto anche sulla teoria e storiografia crociana. Per conto suo, Giorgio non aveva mai sentito un dissidio fra il suo concepire e il suo operare. Non era indifferente ai «massimi problemi»; non era un antimetafisico professionale; riconosceva la misteriosità della vita e dell'universo. Giorgio era spirito profondamente religioso; ma, proprio per religiosità, di nessuna confessione. Prendeva la vita non come un peso o una fatalità, ma come un dono che portava con sé naturalmente un compito: quello di lavorare per l'elevazione propria e altrui: mentre non compito, ma soddisfazione spontanea era quella di amare e di essere amato, di partecipare alle gioie e ai dolori non solo di parenti e amici, ma anche delle moltitudini: parco di manifestazioni, profondo nel sentimento. Lasciandoci quasi silenziosamente, egli ha potuto ripetere: « Cursum consummavi, fidem servavi ». Fede a che cosa? Al compito che lo spirito affida a ciascuno di noi: alla vita che continua. Noi superstiti abbiamo potuto congedarci da lui altrettanto silenziosamente, anche se le lacrime salivano ai nostri occhi: sicuri che egli continuerà a vivere nel nostro ricordo, per tutto il tempo, breve o lungo che sia, che gli sopravviveremo. Luigi Salvatorelli

Persone citate: Giorgio Levi, Levi Della Vida

Luoghi citati: Italia, Medio Oriente, Spagna