«La malia uccise il dott. Tandoj per impedirgli di fare rivelazioni»

«La malia uccise il dott. Tandoj per impedirgli di fare rivelazioni» con vivacità. « Io sono innocente — aveva urlato uno, Vincenzo Galvano, prendendosela apertamente con il suo difensore, che aveva sostenuto la tesi del rinvio o quanto meno non vi si era opposto —. Aspetto da quattro anni in carcere e voglio arrivare subito alla sentenza che mi assolverà ». Non è diffìcile intuire che tutti diranno ai giudici di essere innocenti, anche Giuseppe Baeri che pure inizialmente ha ammesso di aver avuto l'incarico dai fratelli Librici di sopprimere il dott. Tandoj, con la promessa di centomila lire. L'unico a rappresentare una incognita è il personaggio più importante di tutta la schiera degli imputati: Vincenzo Di Carlo, il « professore », che a suo tempo ha accusato tutti. Ha detto che Tandoj venne assassinato perché qualcuno temeva un suo eventuale « tradimento » non appena fosse arrivato a Roma, dove era stato trasferito. Oltre al secondo tentativo perché il processo venisse rinviato, oggi vi è stata la relazione del presidente. Punto di partenza: 8 dicembre 1951, morte di Gerlando Milìa, magazziniere del Consorzio agrario di Raffadali. Fu ucciso con una raffica di lupara alle spalle. I responsabili non furono individuati. Dodici anni più tardi si stabilirà che il delitto era stato organizzato dal capo della mafia locale: l'avv. Giovanni Cuffaro. Gerlando Milìa sembra che gli desse fastidio ed insidiasse il suo prestigio. A Raffadali esisteva una cosca mafiosa che^ controllava ogni attività nelle campagne dell'Agrigentino e gli affari di compravendita dei terreni erano notévolmente vantaggiosi. Alla morte (per cause naturali) dell'avv. Cuffaro scoppiarono le lotte per raccoglierne l'eredità dì « boss » in seno alla mafia. Antonino Tuttolomondo, che aveva ucciso Gerlando Milìa, rivendicava questo diritto: Antonino Galvano, invece, che era stato vicino all'avv. Cuffaro sino alla sua morte, difese la posizione raggiunta. Furono eliminati entrambi, in due momenti diversi, da chi aspirava ad assumere il potere assoluto a Raffadali: E questo qualcuno era, secondo l'accusa, Vincenzo Di Carlo, il « professore ». Poi, la sera del 30 marzo 1960, la morte del dott. Tandoj-. Perché? « Ad eseguire materialmente il delitto, come sostiene l'accusa — ha ricordato oggi il presidente —, è stato Giuseppe Baeri; i fratelli Sante e Luigi Librici lo hanno organizzato; i mandanti, invece, sono stati Vincenzo Di Carlo, il " professore ", già giudice conciliatore, e Giuseppe Galvano. Vincenzo Di Carlo aveva interesse ad eliminare il commissario di Pubblica Sicurezza in quanto questi stava indagando per scoprire i responsabili della morte di Antonino Galvano e queste indagini lo preoccupavano perché avrebbero portato ad accertare la sua colpevolezza. Giuseppe Galvano, invece, si era voluto vendicare del dott. Tandoj | terrogandolo, un suo figlia stro arrestato per rapina» Una relazione, questa, scarna e stringata, senza riferimenti, però, all'ambiente in cui maturarono e furono compiuti sei omicidi, un tentato omicidio, molti danneggiamenti (pagliai - incendiati per dissuadere i proprietari dall'opporsì ai desideri della mafia), qualche minaccia. ì giudici sperano di ricostruire l'atmosfera di terrore che regnava a Raffadali e nell'Agrigentino attraverso i testimoni nei prossimi giorni. E' una speranza molto vaga, anche se oggi una delle vittime, Pietro Di Lucia, che se l'è cavata abbastanza bene pur essendo stato ferito alle spalle da due colpi di pistola, ha lasciato intendere che parlerà senza mezzi termini: « Non ho paura. Da quando questi — eri ha indicato gli imputati — sono finiti in galera, a Raffadali non è accaduto più nulla». Guido Guidi carico ai due sicari di compiere il delitto. Quando, nel 1963, la Magistratura di Palermo riprese l'inchiesta sulla morte di Tandoj i due erano stati già sottoposti a processo e prosciolti, sia pure per ìnsuffl cienze di prove (la Corte di Assise di Agrigento aveva condannato soltanto Giovanni Scifo, ma per detenzione abusiva di armi, a tre mesi di reclusione). Contro questa sentenza il p. m. ha presentato appello, che deve essere ancora discusso. Alla ripresa delle indagini, il nuovo inquirente procedette anche contro ì due: aveva 'trovato quelle prove, secondo lui, che erano mancate ai giudici di Agrigento. Poiché la legge stabilisce che non si possa essere sottoposti ad un processo due volte per lo stesso reato, ieri la Corte d'Assise ha disposto lo stralcio della posizione di Giovanni Scifo e di Vincenzo Alongi, riservandosi però dì giudicarli per « associazione per delinquere ». I difensori, oggi, si sono mostrati insoddisfatti e hanno insistito. I giudici hanno risposto: « Esiste un conflitto di competenza fra noi che dobbiamo giudicarli e la Corte d'Assise d'Appello che deve ancora prenderli in esame. Benissimo: il problema senza dubbio esiste e va risolto dalla Cassazione. Ma noi, Corte d'Assise di Lecce, continuiamo a processarli, sia pure soltanto per associazione per delinquere ». In fondo, è stata una decisione che ha soddisfatto anche gli imputati: non Giovanni Scifo (Vincenzo Alongi è latitante), ma gli altri, ì quali, affacciatasi la prospettiva che il processo po- Il processo contro le «cosche» di Agrigento alle Assise di li ecce «La malia uccise il dott. Tandoj per impedirgli di fare rivelazioni» Così dichiara il presidente della Corte riferendo le conclusioni della sentenza istnittoria - Per i giudici non sarà facile far luce sull'ambiente dove maturò il delitto - Gli imputati sembrano decisi a non rivelare nulla - Si spera che i testimoni superino l'ostacolo dell'omertà - Uno ha detto: «Non ho più paura, da quando gli imputati sono in galera non è accaduto più nulla» Quattro imputati dietro le sbarre "della gabbia in Assise ieri a Lecce: da sinistra, Giuseppe Casa, Salvatore Lattuca, Vincenzo Galvano e Giuseppe Lattuca (Tel. A.P.) (Dal nostro inviato speciale) Lecce, 23 novembre. L'intenzione della Corte di Assise è sempre più chiara e precisa: il processo agli assassini del dott. Cataldo Tandoj (o meglio, a quelli che tali vengono considerati dall'accusa) e ai mafiosi di Agrigento non deve essere rinviato. I giudici lo avevano detto ieri e lo hanno confermato oggi. Il problema ha senza dubbio degli aspetti singolari ed è piuttosto complesso sotto il profilo giuridico. Risulta che due imputati in questo processo — Giovanni Scifo e Vincenzo Alongi — sono stati già giudicati ed assolti da un'altra Corte d'Assise per lo stesso reato. Sono due imputati che il. dott. Tandoj a suo tempo identificò e denunciò quali responsabili della morte di Antonino Galvano, capo della mafia di Raffadali non proseguendo però le indagini che lo avrebbero portato a chi aveva dato ìn-