A Lecce il processo per il delitto Tandoj il commissario di P.S. ucciso dalla mafia di Guido Guidi

A Lecce il processo per il delitto Tandoj il commissario di P.S. ucciso dalla mafia Imm Coi*te d' Assise a sette stxixti dai delitto A Lecce il processo per il delitto Tandoj il commissario di P.S. ucciso dalla mafia Il capo della Squadra mobile fu assassinato il 30 marzo 1960 in una strada di Agrigento - Per errore venne ucciso anche un ragazzo di 17 anni - All'inizio fu incriminato il prof. La Loggia, direttore dell'ospedale psichiatrico, che si diceva amico della moglie - Poi si scoperse che il funzionario aveva relazioni con la mafia - Egli aveva ottenuto il trasferimento a Roma: la « cosca » temeva che, una volta al sicuro, facesse pericolose rivelazioni - Imputate venti persone (Dal nostro inviato speciale) Lecce, 21 novembre. Il capo della squadra mobile di Agrigento, Cataldo Tandoj Ju ucciso la sera del 30 marzo 1960 mentre stava passeggiando con la moglie lungo il viale della Vittoria. L'assassino gli sparò con una pistola da pochi metri e colpì e uccise, per sbaglio, anche un ragazzo, uno studente. Nini Diamante: poi fuggì verso la campagna. Domani, a sette anni di distanza, la Corte d'Assise (a Lecce perché il processo per «legittima suspicione » è stato trasferito dalla Sicilia) cercherà dì accertare non tanto chi è l'omicida, :— Giuseppe Boeri, 39 anni — il quale ha confessato, ma soprattutto chi si nasconde dietro di lui ed il motivo per cui Cataldo Tandoj è stato ucciso pochi giorni prima di lasciare Agrigento per rientrare a Roma, destinato alla direzione generale della polizia scientifica. I dubbi e i sospetti che i magistrati hanno affacciato al termine della istruttoria sono numerosi e gravi: la mafia non avrebbe soppresso con Tandoj un avversario pericoloso, ma un complice che forse era sul punto di tradire. Per controllare la fondatezza di questi dubbi e di questi sospetti ì giudici dovranno prendere in esame la posizione di 20 imputati dei quali tre sono latitanti. Quando, Cataldo Tandoj fu ucciso, venne commesso un grosso errore iniziale: il magistrato tralasciò ogni altra pista per seguire soltanto quella del delitto passionale. Ad Agrigento si sussurrava che la moglie del funzionario di P.S., Leila Motta, bella, elegante, disinvolta, fosse amica del prof. Mario La Loggia, direttore' dell'ospedale psichiatrico. Vipotesi che a compiere il delitto fosse stato il sicario di chi poteva avere un interesse,a li'l-terar&Jh signora Xatidói da |dualsiasT^Vincótó 'Coniugale sembrò la più apprezzàbile. Dopo sette meSi l'equivoco venne chiarito. Oggi il prof. La Loggia è tornato a dirìgere l'ospedale psichiatrico, è presidente'dell'Ente del Turismo di Agrigento, frequenta i migliori circoli; Leila Motta fa la spola fra Agrigento e Napoli dove frequenta la facoltà di lingue dell'Istituto Orientale nella speranza, un giorno, di avere una cattedra come professoressa. Per tre anni su tutto calò il silenzio. Poi ad Agrigento arrivò un magistrato, Luigi Fici: severo, tenace, intransigente. Si era reso conto che per comprendere qualcosa di quanto era accaduto la sera del. 30 marzo I960 era necessàrio stabilire innanzi tutto chi fosse Cataldo Tandoj. E prese a controllare tutte le indagini che durante dodici anni il capo della squadra mobile aveva compiuto. Nel gennaio 1959 a Raffadali, un grosso centro agrìcolo a 15 chilometri da Agrigento, era stato ucciso un « uomo di rispetto », tanto per usare una definizione propria della mafia: Antonino Galvano. E Cataldo Tandoj aveva denunciato due "killers" di Aragona: Vincenzo Alongi e Giovanni Scifo; ma stranamente non aveva indagato su coloro che da tutti erano indicati 'come ì mandanti del delitto: i fratelli Luigi e Santo Librici e Antonino Bartolomeo. Quello di Antonino Galvano non era un omicidio qualunque: ma la conseguenza di una lotta senza quartiere fra due « cosche » mafiose. Antonino Galvano era il capo della mafia a Raffadali e doveva difendere questa sua posizione di potere dai desideri dei suoi avversari. I fratelli Librici e Antonino Bartolomeo furono più abili di lui: lo eliminarono. Cataldo Tandoj sapeva tutto, ma si fermò ai « kìllers » risparmiando i mandanti: perché? E' questo l'interrogativo più importante al quale i giudici, da domani dovranno trovare una risposta. Funzionario abile, ma uomo prudente, pur non essendo siciliano (era nato a Bari) si era reso conto che andare ol- tre certi limiti avrebbe potuto essere pericoloso. E si era sempre fermato a metà strada. « Il funzionario di polizia — è stato spiegato nella sentenza istruttoria — ebbe niolta premura di chiudere le Ir# dagini sul delitto Galvano. Fu; assassinato essendo ormai compromesso prima che terminasse la istruttoria e pri. ma che venisse ascoltato dal magistrato La mafia cosi intese chiudere la bocca a chi, per particolari circostanze, avrebbe potuto tradire l'ambiente mafioso di Raffadali che egli conosceva per essere suo suocero di quel centro e per essere stato per molti anni capo della Squadra mobile di Agrigento ». Ma se era loro amico perché i fratelli Librici hanno avuto interesse a sopprimere Cataldo Tandoj? La spiegazione l'ha data il Pubblico Ministero nella sua requisitoria scritta: « Il Tandoj, mentre aveva voluto favorire i .mandanti dell'omicidio Galvano buttando ai loro piedì il proprio prestigio di funzionario, nello stesso tempo aveva creato per loro una situazione di pericolo denunciando i sicari e minacciando che avrebbe svelato ogni cosa all'autorità giudiziaria una volta trasferitosi a Ro ma dove avrebbe potuto più liberamente proseguire le indagini ». Chi ha aperto uno spiraglio nel muro di omertà è stato un maestro elernentare che nello stesso tempo era anche il giudice conciliatore e segretario della democrazia cristiana di Raffadali: Vincenzo Di Carlo. Nel luglio 1963 si presentò al magistrato per raccontargli di avere ricevuto una lettera nella quale gli si chiedevano quali tro milioni se voleva vivere tranquillo e per avvertirlo che Antonino Bartolomeo è il nuovo capo della mafia a Raffadali, che Tandoj non ha denunciato i fratelli LibrU. ci perché mezzadri del suocero: che Tandoj era stato ucciso su incarico dei fratelli Librici perché temevano che il funzionario li denunciasse non appena arrivato a Roma. Il magistrato lasciò che Vincenzo Di Carlo parlasse per poi arrestarlo: il maestro elementare avrebbe cercato denunciando tutti di sbarazzarsi dei suoi avversari già suoi complici e diventare così il padrone assoluta di Raffadali. Poi. sulla scena della vicenda si presentò Giuseppe Boeri detto « Giacalone ». Fu sospettato, fermato, arrestato e confessò: era colui che la sera del 30 marzo 1960 uccise Cataldo Tandoj. Il motivo del delitto lo ignora, ma conosce chi gli ha dato l'incarico: i fratelli Librici. Fu ingaggiato — è la sua versione — con la promessa di centomila lire se il delitto fosse stato compiuto. (La promessa non sarebbe stata poi mantenuta). Dopò l'omicidio sicario e mandanti fuggirono a Raffadali. Sante Librici è negli Stati Uniti da tempo: fu arrestato in seguito alla richiesta di estradizione, ma poi ha pagato la cauzione, ha riacquistato la libertà e di lui si sono perse le tracce; Luigi, invece, è in carcere e domani sarà sul banco degli imputati. Guido Guidi : Leila Motta, a destra, vedova del commissario Tandoj, con un'amica (Tel. Ansa)