In Carnia sono ancora evidenti i segni del disastroso nubifragio

In Carnia sono ancora evidenti i segni del disastroso nubifragio Un anno fa una immane sciagura si abbatteva suii'itatia In Carnia sono ancora evidenti i segni del disastroso nubifragio « E' stata una lotta dura più di sopravvivenza che di rinascita », dice il presidente della Comunità Le popolazioni colpite ricordano con riconoscenza gli aiuti ricevuti - La sottoscrizione de « La Stampa» per gli alluvionati raggiunse 651.107.910 lire - Furono così distribuite: 360.688.030 al Veneto; 193.395.235 a Firenze; 36.916.930 ai colpiti nel resto d'Italia; 60.107.715 ad Acqui e Piemonte (Nostro servizio particolare) Tolmezzó. 2 novembre. E' passato un anno. Il 4 novembre dell'anno scorso, dopo una serie di giornate piovose nelle valli e di abbondanti nevicate in montagna, si scatenava il nubifragio che devastava gran parte della cerchia alpina dalla Carnia al Trentino. L'inondazione scendeva nella pianura friulana; da Latisana, da Porto Tolle e da tutto il Polesine i paesi venivano sommersi dai fiumi ingrossati e lungo l'Adriatico da spaventose mareggiate. Altre città anche lontane dai fiumi alpini, come Venezia, Firenze, Pisa e Grosseto, subivano lutti e miliardi di danni. Una sciagura immane che resterà segnata nell' elenco delle grandi calamità nazionali. Torniamo in questi giorni in alcune delle terre allora devastate. Eccoci nella Carnia — 38 comuni, 65 mila abitanti —, una delle zone più violentemente colpite. «Il 4 novembre dell'anno scorso — ricorda il presidente della Comunità carnica, Libero Martinis —, anniversario della vittoria, doveva tenersi una cerimonia commemorativa a Tolmezzo nella caserma degli alpini. Mentre stavo avviandomi per parteciparvi, vidi con sgomento l'inizio del ciclone: torrenti straripati, cascate d'acqua mai viste precipitavano dai pendii erbosi, alberi che crollavano a decine, valanghe di sassi e di fango che colavano dalla montagna. Mobilitammo la sezione bonifica, chiedemmo a tutti i volenterosi di partecipare all'opera di soccorso. E cominciò la tremenda lotta per salvare i pericolanti e intervenire dove si poteva per argiiuvrc o deviare le acque. Ore e giorni drammatici». Le notizie dalle valli giungevano monche e sembravano incredibili tanto erano gravi. Chiedevano aiuto la Val Degano e la Val Tagliamento. Il sindaco di Enemonzo riusciva a raggiungere Tolmezzo per chiedere soccorso. Quasi tutte le strade erano bloccate. Nel settore della Carnia dodici persone morirono travolte dalle acque o dalle frane, di cui sette a Forni Avoltri dove peri anche il sindaco, geom. Riccardo Romanin, maggiore di complemento degli alpini. Le nofizie del disastro intanto si estendevano; richieste di aiuti giungevano dalle province di Rovigo, Padova, Venezia, Treviso, Udine, Belluno, Trento. Nel Trentino, ventidue morti e 80 mila alluvionati. Torino e il Piemonte (che stavano ancora soccorrendo i danneggiati di Acqui e del Monferrato, colpiti pochi giorni prima da una disastrosa alluvione) si volgevano con solidarietà fraterna verso il Veneto e verso Firenze, offrendo subito spontaneamente il loro aiuto. Da « La Stampa » partivano a gruppi i nostri inviati portando i primi soccorsi urgentissimi. Corse affannose, notte e giorno, su per strade interrotte, nei paesi che le ultime notizie davano come i più colpiti. I frettolosi servizi dei giornalisti rivelavano l'enorme gravità del disastro. Dappertutto, nelle valli alpine e nei loro sbocchi in pianura, come nel Polesine, c'era bisogno di aiuto. Dalle rive del Piave gli abitanti alle richieste di notizie rispondevano con una frase drammaticamente espressiva: « Il Piave ha rotto ». Crollati gli argini, il fiume si estendeva su una larghezza smisurata. Nei comuni del Primerio, immersi nel fango alto uno, due, tre metri, la gente diceva: « Quando caddero le frane il rombo era così spaventoso che molti credettero a un terremoto ». A Belluno giungevano notizie catastrofiche dalle valli dolomitiche: « Dopo il Vajont, ora l'alluvione ». Ricordiamo un sacerdote del Polesine a cui era stato chiesto dove erano più urgenti gli aiuti: « Famiglie che han bisogno? Vada pure tranquillo: tutte », rispondeva accennando verso le zone allagate. E i drammi dell'Agordino, col sacrificio di Gosaldo. E la Valsugana con le pietraie che ricoprivano Villa Agnedo, Strlgno. Tezze. E la Val Floriana e la lontana Val Rendena. E ancora Arsiero, Bassano e tanti altri paesi. Dappertutto vittime e danni. Trento doveva soccorrere centinaia di senzatetto. Il sindaco di Lavis, quando rdunse l'inviato de « La Stampa » nel momento drammatico degli aiuti urgenti, esclamò: « Non credevamo di avere tanti amici ». Perché l'amicizia vera, uno spontaneo sentimento .di solidarietà, aveva mobilitato tutta l'Italia per soccorrere gli alluvionati. Il governo aveva fatto affluire aiuti e schiere di soccorso: militari, vigili del fuoco. Volontariamente accorrevano squadre del soccorso alpino, gruppi di studenti, autocarri con viveri e coperte giungevano dalle città settentrionali nei luoghi più impervi da raggiungere e più bisognosi. La sottoscrizione de « La Stampa » raggiunse 651 milioni 107.910 lire, di cui 360 milioni 688.030 destinate al Veneto, 193.395.235 per Firenze, 36.916.930 agli alluvionati di tutta l'Italia oltre a 60.107.715 per i danneggiati di Acqui e di altre zone del Piemonte. E' passato un anno e chiediamo a sindaci e dirigenti dei centri danneggiati che cosa si è fatto in questi dodici mesi per riparare i danni più gravi. E' quasi generale il riconoscimento che mai c'era stato un intervento di soccorso così massiccio da parte dello Stato e dei privati. Ma viene rilevata qualche lentezza nell'esecuzione delle opere, da attribuirsi non soltanto alla complessità delle pratiche ma anche a situazioni idrogeologiche da tempo trascurate, che richiederanno molti anni di lavoro per essere sistemate. L'ecatombe degli alberi in montagna (550 mila metri cubi di legname distrutti in Carnia, Cadore e Trentino) compromette la stabilità delle zone disboscate, ora più soggette alle frane, e incide nei bilanci dei piccoli e poveri comuni di montagna, che dal taglio degli alberi ricavavano ì *VòròT maggióri" p~rò: venti. Il 'rimbosdhimento è un'opera costosa che darà 1 suoi frutti fra 60 od 80 anni, sempre che le pianticelle non vengano travolte durante la crescita da altre frane. Più favorevoli i giudizi sui soccorsi - immediati. I fondi offerti spontaneamente dal pubblico e quelli messi a disposizione dei comuni con provvedimento governativo portavano subito un aiuto nei casi più penosi. Venivano poi concessi soccorsi gratuiti fino a 500 mila lire, agli artigiani e alle piccole industrie danneggiate. Ogni nucleo familiare che abbia perduto la casa può ottenere un aiuto da 5 a 7 milioni; e mutui a tasso ridotto sono concessi alle aziende colpite dall'alluvione. « Si è fatto il possibile — dice l'ing. Emanuele Chiavola assessore provinciale di Udine ai Lavori Pubblici — per dare subito un aiuto alla gente più bisognosa ». Fra i provvedimenti c'è pure la consegna gratuita di bovini a chi li ha perduti nell'alluvione. Solo a Latisana e paesi vicini le mucche annegate nel Tagliamento furono alcune centinaia. Nei Lavori Pubblici sono state compiute opere notevoli di rifacimento di ponti, varianti stradali, sistemazioni di argini eccetera, ma si rilevano pure ritardi che dovrebbero essere evitati. La ricostruzione del ponte di Pinzano sul Tagliamento, per esem¬ pio, è già stata approvata e appaltata dalla provincia per circa 300 milioni ma un contrasto di competenze fra il Consiglio superiore dei Lavori Pubblici e .la Regione ritarda l'inizio dei lavori. Giudizio favorevole sulla situazione viene espresso dalla Comunità di Primiero. Dice il sindaco .di Fiera, rag. Gilli: «Gli interventi del governo, della regione e della provincia sonò stati solleciti ed efficaci. D'altra parte i sindaci del Primiero hanno assunto impegni e iniziato opere prima ancora di conoscere con esattezza l'entità, degli aiuti governativi. Siamo riusciti a sistemare le zone pericolanti tanto che è ripreso il flusso turistico estivo e ogni minaccia di nuove frane dovrebbe considerarsi scomparsa ». Nella Carnia, invece, terra più aspra e povera, la situazione appare ancora grave: « In questi dodici mesi — dice il presidente della Comunità, Martinis — abbiamo lavorato duramente in una lotta che è stata più di sopravvivenza che di rinascita. I grossi problemi idrogeologici della montagna ancora minacciano la sicurezza. I comuni compresi nell'area delle regioni già esistenti e ancor più i paesi riuniti in comunità hanno avuto qualche vantaggio nel fronteggiare la situazione: è questa una considerazione fatta anche nel Bellunese, una provincia che si incunea fra le due zone, delle'regioni autonome del Trentino e del Friuli. In molti centri delle terre alluvionate il triste anniversario verrà ricordato sabato con manifestazioni pubbliche: saranno ricordate le vittime del nubifragio e verrà fatto il bilancio di un anno di sacrifici e di lavoro per fronteggiare le conseguenze del disastro. e j

Persone citate: Degano, Emanuele Chiavola, Fiera, Floriana, Gilli, Martinis, Pinzano, Riccardo Romanin, Tezze