Duvivier grande artigiano del primo cinema realista

Duvivier grande artigiano del primo cinema realista Il regista tragicamente scomparso a 71 anni Duvivier grande artigiano del primo cinema realista Il cinema, più d'ogni altro mezzo espressivo, è spesso labile: regge al logorìo del tempo solo in pochi casi, eccezionali; di solito rimane puro documento, importante per la storia del costume. Molti film, che una volta sembravano belli, coraggiosi, ed anche contributi decisivi, ad una revisione critica appaiono spogli di valori, concreti elementi artistici e stilistici. Il dopoguerra, le correnti succedutesi sino ad oggi — il neorealismo prima, e poi le « nottvelles vagues » orientali ed occidentali, il « free cinema » — hanno messo in discussione registi già acclamati. Gli stessi Griffith e Stroheim, Sjostrom e Clair non hanno retto, almeno non sempre, all'erosione degli anni (e il cinema ha poco più di mezzo secolo). Altri, come Dreycr e Vigo, così poco conosciuti da noi, vanno invece acquistando sempre più risalto e importanza. Tra questi ultimi, non figura Julien Duvivier, morto tragicamente. Con Renoir e Car- né, egli si collocava tra i « maestri » del film francese negli anni Trenta. Certo inferiore per capacità espressive, più dei due connazionali godette vasto prestigio da noi, almeno per qualche tempo. Carnei di ballo, dove ritroviamo un sin golare uso dell'inquadratura obliqua, ottenne alla Mostra di Venezia, nel 1937, il premio per il miglior film straniero e, sempre a Venezia, una medaglia il dimenticato Paquebot Tenacity. . Non ci fu critico, che non gli avesse dedicato un capitolo, un saggio. Nel momento della sua maggiore popolarità, correvano gli anni dell'Italia « fascista e proletaria », e pessimismo era bandito dall'alto, cancellalo dalle « radiose aurore » che ci illuminavano dai « colH fatali di Roma ». Colla loro visione tragica della vita, le opere di Duvivier furono per noi una specie di rivolta, antidoto al bugiardo ottimismo proclamato e imposto. Insieme con quello americano — parimenti proibito negli anni dell'c Asse » — il cinema francese costituì, avrebbe detto Pavese, una sorta di laboratorio dove, con libertà e altri mezzi, si perseguiva il compito di creare uno stile e un mondo moderni. Lo stesso Visconti di allora, nel rivoluzionario Ossessione, così osteggiato dalle autorità fasciste e da cui doveva prendere le mosse il neorealismo, denunciava succhi e suggestioni dell'una e dell'altra cinematografia. Gino, Giovanna, la loro vicenda torbida, il loro fatale destino, richiamano in qualche modo i personaggi tragici soprattutto di Renoir; ma anche di Carne, anche di Duvivier. I protagonisti del giovane Visconti era no ancora dei vinti, come evinti», « prigionieri del sogno », i vagabondi della Handera e del Bandito della Casbah. Dal dopoguerra a oggi il panorama culturale, anche nel cinema, è profondamente mutato. Duvivier non riuscì a msc rirsi in nuovi contesti, c vennt sopraffatto dai Don Camillo, da urta letterarietà, nell'acce- zione negativa del termine, ancor più discutibile di quella cui si era sempre appoggiato. Nella cronistoria del cinema egli rimane con opere — oltre un centinaio — che sono soprattutto documenti di costume: alcune di esse aiutano a capire un'epoca e non soltanto del film e in Francia; costituiscono pure, rapportate al successo ottenuto in Italia negli anni Trenta, una « spia j» per meglio comprendere certe irrequietezze e turbamenti in molti giovani di allora. Fu fervido artigiano, organizzatore di film « tres bicn faits ». Non un « maestro ». E tuttavia le « noiweìles vagues » in genere, al di là delle novità tecniche e stilistiche presunte o autentiche, spesso sono rimaste ancorate, almeno in parte e per certi motivi, alla natura del suo cinema, e di quello di Carne. In fondo l'operaio descritto da Carne in Alba tragica e il Pépe le Moko appunto de II bandito della Casbah, entrambi disperati e suicidi, li ritroviamo in tanti film francesi degli ultimi anni. Ha ragione Jean-Franqois Revel quando sostiene che il pubblico difficilmente sa distinguere tra queste, e quelle vecchie opere un tempo amate e gloriose. E' davvero difficile sostenere l'originalità, aggiunge Alessandro Bonsanti, di vari giovinotti in blue-jeans che manovrano la macchina da presa: « Spesso viene ribadita l'impressione c/te essi molto devono agli anziani ». Guido Aristarco è differita alla settimana prossima. Seguiranno, per un complesso di 30 serate, nove film di Bunuel, cinque di Losey, tre di Renoir, opere di Kazan e Jerry Lewis, Venti ore di Pabri e La passeggera di Munk in prima visione. Il Circolo Culturale In Quinto di Collegno presenta i film della rivoluzione dell'Ottobre e dell'avanguardia storica già inseriti nel programma dell'Unione Culturale. Inoltre è prevista una breve rassegna di pellicole di Hitchcock e di interpretazioni di Gassman che saranno introdotte dallo stesso attore. ' 11 regista Julien Duvivier. Aveva 71 anni

Luoghi citati: Collegno, Francia, Italia, Roma, Venezia