Se isolata, I'Austria subisce la forte attrazione della Germania

Se isolata, I'Austria subisce la forte attrazione della Germania PERCHE' VIENNA HA CHIESTO L'ASSOCIAZIONE AL MEC Se isolata, I'Austria subisce la forte attrazione della Germania Nel primo ventennio del dopoguerra, l'economia austriaca ha progredito bene, ma ora sente le ripercussioni negative del ristagno tedesco ed ha bisogno di nuovo slancio - Più di metà del commercio estero si svolge con i Paesi del Mec; di , questi, la Germania è di gran lunga il maggior cliente e fornitore - L'entrata nel Mercato Comune, oltre ai vantaggi generali, ridurrebbe tale dipendenza - Tuttavia gli austriaci devono prima affrontare, con risolutezza, il terrorismo sud-tirolese (Dal nostro inviato1 speciale) Vienna, ottobre. « L'unica via di salvezza per l'Austria è quella dell'associazione alla Comunità Economica Europea; l'Italia ha posto il suo veto per avere la meglio nel duello per il Sud Tirolo; dunque l'Italia è la causa prima di tutti i guai politici ed economici che affliggono l'Austria»; su questo singolare sillogismo concordano stranamente popolari e neona¬ zisti, nazional-liberali e socialisti. Anche il più aperto tra gli esponenti politici che mi hanno ricevuto a Vienna, il presidente dell'Internazionale Socialista Pittermann, protesta: « Roma ha reso più difficile il compito dei moderati ». Il sillogismo è intanto enunciato in forma erronea. Non per la vertenza politico-diplomatica, ma contro l'ondata di terrorismo, l'Italia ha posto il suo veto al Afec (ed ha ritirato la partecipazione ufflciaj.e alle grandi fiere austriache, ha bloccato il plafond dell'» accordino » di frontiera, ha intensificato i controlli al confine costringendo auto, camion e treni ad attese di ore). E se un provvedimento va giudicato soprattutto dai suoi effetti, questo non può non essere incondizionatamente approvato: anche la polizia austriaca ha finalmente aperto almeno uri occhio. Il terrorismo, come già ho ripetuto, non è un tema che scuota troppo gli austrìaci; i più sembrano chiaramente considerarlo un pretesto abilmente sfruttato dagli italiani per aumentare i guai austriaci: che non sono effettivamente né pochi né lievi. Di solito, in ottobre Vienna si consolava col bilancio estivo di quel turismo dall'estero che fino a ieri bastava da solo a colmare l'intero deficit del paese e che ancor oggi resta la maggiore industria nazionale.. Di questi giorni, invece, i giornali parlano amaramente di stagione pessima (trenta per cento in meno), cercano di indicarne le cause, di suggerire rimedi. In tutte le analisi manca, naturalmente, qualsiasi accenno all'eventualità che gli stranieri si siano sentiti poco attratti da un paese così esplosivamente rumoreggiante dì dinamite e dinamitardi; è, invece, bene e giustamente illustrato, come principale motivo, il calo particolare dei turisti tedeschi. In altri tempi, Hitler, prima che con le divisioni corazzate, aveva agguantato alla gola l'Austria solo col bloccare il flusso turìstico .attraverso;' l'in}posizione di una tassa di mille marchi per ogni visto sul passaporto. Ma ancor oggi i tedeschi continuano a costituire i due terzi dei visitatori: bastano le relative difficoltà a casa loro per crearne di grosse a Vienna. Il turismo fornisce l'indice più evidente di un fenomeno che in varia misura investe l'intera economia austriaca. La produzione ristagna, il 1967 non farà registrare nessun incremento 0 quasi; gli investimenti per il futuro stanno diminuendo (11 "/o in meno per l'industria in genere, con punte del 36e'o nell'edilizia); la disoccupazione è ancora insignificante ma l'offerta di posti di lavoro è caduta; 1 prezzi al consumo salgono; ì sindacati, controllati dai socialisti che non sono più al governo con i popolari, annunciano oggi un'offensiva salariale in tutti i settori. E' un momento difficile: anche se non è la crisi, forse il più difficile del dopoguerra. L'Austria non è un paese povero, il reddito medio prò capite dei suoi sette milioni di abitanti è all'incirca quello dell'Italia. E' fortemente « socializzata »: le grandi banche e la maggior parte delle industrie di base sono di pubblica proprietà; tutti hanno un lavoro; diecimila scellini (al netto delle tasse fortissime), e cioè duecentocinquantamila lire al mese, costituiscono il traguardo un po' ambizioso di ogni giovane Herr Doktor; di professionisti o pezzi grossi che arrivino ai ven- ti o ai trentamila scellini si parla con ammirato rispetto. In compenso, gli austriaci godono di un efficientissimo sistema di previdenza sociale, e pagano ancora asburgici fitti irrisori. Credo che sia l'unico paese al mondo (quello comunista compreso), in cui i fitti siano rimasti bloccati non al secondo ma al primo dopoguerra, al 1920 o giù di lì. Anche per le case costruite da allora ad oggi, le cifre devono essere allineate a quelle delle abitazioni vecchie con qualche modesto ritocco. Il meccanismo è complicato, la conclusione è che gli affitti oscillano per la. grande maggioranza tra le cinque e le quindicimila lire. Della loro maniera di vita, gli austriaci si sono sempre mostrati soddisfatti: grigia^ o no, essa risponde alla tarò màssima aspirazione, di vivere in pace. Ma in questi tempi fattisi più incerti, forse per la prima volta diventa impossibile eludere un'autocritica. Per riprendere l'esempio delle abitazioni, ci si chiede se non esista qualche relazione tra i demagogici affitti asburgici e la caduta degli investimenti nell'edilizia. Più genericamente, l'appesantimento della situazione economica è solo — e sarebbe già grave — l'automatico riflesso della congiuntura tedesca, oppure è il segno che non funziona più il sistema del «vivere in pace»? Gli elementi più giovani e qualificati cominciano a non considerare più i diecimila scellini al mese come il più ambito dei traguardi. Di ritorno da un lungo viaggio, Kreisky si è detto impressionato dalla quantità di « cervelli » austriaci al lavoro in altre parti del mondo («Si vede — ha commentato semiserio l'ex ministro degli Esteri — che da noi non li apprezziamo abbastanza »J. Grave per tutti i paesi europei, il fenomeno appare particolarmente allarmante per l'Austria. I suoi giovani ingegneri, tecnici, specializzati, non hanno, infatti, bisogno di attraversare l'Atlantico; a qualche ora di treno o di macchina c'è la Repubblica Federale Tedesca, dove si parla la stessa lingua e dove per lo stesso lavoro (di alto livello qualitativo) le retribuzioni arrivano al doppio, al triplo ed oltre. La frenata economica in Germania limita per ora la fuga ma il pericolo resta, e può ripresentarsi in forma più grave. Dicono tratiquilli i politici austriaci: « Anche questo fenomeno dimostra come un piccolo paese come l'Austria non possa più vivere isolato, abbia assoluta necessità dì essere inserito in più vaste aree economiche: di qui, ieri, la nostra entrata nell'Efta, ed oggi la nostra insistenza per l'associazione al Mec ». L'entrata nell'Efta non ha risolto niente: si tratta, come noto, di una pura unione doganale; i sette paesi che ne fanno parte non sono (Gran Bretagna esclusa) grandi potenze economiche. Il commercio austriaco con i suoi sei partners non va al di là di un 16 per cento per le importazioni ed un 19 per cento delle'esportazioni. Le anàloghe cifre con i Sei della Comunità Economica Europea sono, rispettivamente, il 59 per cento ed il 44 per cento. « Bastano da sole — si conclude a Vienna — per dimostrare la nostra drammatica necessità di una qualche forma di associazione ». Tralascio il tema del pericolo di un inserimento nel Mec di un sistema come quello austriaco: si sa che anche a Vienna qualcuno nutre in cuor suo molti dubbi, ma ufficialmente il coro è concorde: l'associazione è il toccasana. Il giudizio economico è affar loro; l'aspetto politico, invece, è problema di tutti. Ed è un dato di fatto che se il 59 per cento delle importazioni ed il 44 per cento delle esportazioni austriache sono col Mec, il 42 per cento — rispettivamente — ed il 26 per cento sono con la sola Germania. Sembra legittima la preoccupazione che proprio un'associazione al Mec non possa non portare ad un aumento della già forte dipendenza dell'economia austriaca da quella tedesca. Con linguaggio meno elegante, i sovietici — firmatari del Trattato di Stato con la nuova Austria neutrale — hanno detto e ripetuto di esser nettamente contrari ad adesioni, associazioni, o accordi col Mec, che in pratica costituirebbero a loro avviso soltanto « scorciatoie verso qualche nuovo Anschluss economico ». Forse per gli stessi — se pur meno eccessivi — timori, la Francia gollista ha cessato dì caldeggiare la richiesta austriaca verso il Mec. Ammesso dunque che il Mec costituisca il toccasana, è ingiusto dire — come fanno gli austriaci col sillogismo citato all'inizio — che l'Italia col suo veto sia la causa principale di tutti i guai austriaci. E non può non stupire il fatto che, alle prese con tante difficoltà politiche ed economiche, interne ed estere, l'Austria non agisca con maggior decisione per eliminare almeno il problema altoatesino, schiacciando il terrorismo, imponendo la ragione in certi ambienti ed in certe zone, accettando con Roma il linguaggio del buon senso. L'Austria ha bisogno dell'Italia: l'Italia, e l'Europa, hanno bisogno dell'Austria così com'è risorta dalla guerra, democratica, neutrale, indipendente. Giovanni Giovannini L'Àustria (indipendente dal 1945 dopo la parentesi hitleriana) è estesa 84 mila kmq, più d'un quarto dell'Italia, e conta 7 milioni e mezzo di abitanti. Situata nel centro geografico dell'Europa, subisce l'attrazione, per ragioni etniche e storiche, della Germania Occidentale

Persone citate: Giovanni Giovannini, Herr Doktor, Hitler, Kreisky