Dispotismo illuminato di Ferdinando Vegas
Dispotismo illuminato Dispotismo illuminato La fastosa cerimonia dell'incoronazione avvenuta ieri a Teheran acquista il suo vero significato politico se la si colloca, al di là degli aspetti spettacolari, nel quadro della situazione generale della Persia odierna. In questa prospettiva l'avvenimento si può considerare come il suggello simbolico del consolidamento del potere personale del sovrano: lo stesso Scià che quattordici anni fa aveva dovuto abbandonare precipitosamente la sua capitale, rifugiandosi a Roma, oggi tiene in pugno fermamente la Persia. Si pub quindi parlare di regime autoritario, ma il termine rimane astratto se non lo si cala nelle concrete condizioni della Persia. Nonostante le antiche e gloriose tradizioni di civiltà, esso è un Paese sottosviluppato, con il solito corteggio di deficienze e di squilibri che caratterizzano tali Paesi. Il petrolio rappresenta indubbiamente una grande ricchezza, che porta nelle casse dello Stato somme cospicue: circa 240 miliardi di lire nel 1963 (ultimi dati pubblicati) per i 66 milioni di tonnellate prodotti in quell'anno, ovviamente molto di più per i 106 milioni di tonnellate prodotti nel 1966. Ma l'industria petrolifera non concorre neppure per il 10 per cento al reddito nazionale persiano, la cui componente maggiore è sempre data dall'agricoltura. Questa occupa circa i tre quarti dell'intera popolazione della Persia, che al censimento dell'ottobre '66 è risultata di quasi 26 milioni di persone; sicché appare subito evidente che il problema capitale della Persia è, prima ancora dell'industrializzazione, quello dell'agricoltura, anzitutto sul piano sociale. La sperequazione, che le riforme in corso stanno cercando di attenuare, era infatti enorme: da una parte il 70 per cento della popolazione agricola senza terre o con proprietà troppo piccole per essere sufficienti a vivere; dall'altra parte centomila latifondisti, pari all'I per cento degli agricoltori, padroni del 56 per cento delle terre coltivate. Le proprietà fondiarie erano così vaste che non si calcolavano nemmeno secondo la superficie, ma a numero di villaggi appartenenti ad ogni latifondista, sino a quaranta ed oltre. Mentre il proprietario assenteista scialacquava allegramente a Teheran ed ancor più all'estero, il contadino viveva in condizioni di arretratezza feudale, sommerso dalla miseria: tra affitto da pagare al padrone della terra, debiti e tasse, due terzi buoni del frutto del suo lavoro gli erano implacabilmente portati via. A questa situazione inumana ha-voluto portare rimedio lo Scià, con la legge di riforma agraria del 15 gennaio 1962. In sostanza la legge riduce ad un solo villaggio il limite massimo della proprietà, fondiaria, disponendo che le terre in eccedenza siano vendute allo Stato, il quale a sua volta le trasferisce, a pagamento dilazionato in quindici anni, ai nuclei familiari dei coltivatori. La riforma prese su¬ bito impulso, tanto che al settembre del '63 più di ottomila villaggi (sui cinquantamila in totale) erano già stati distribuiti ai contadini. Poi il ritmo si è alquanto rallentato, più che per l'opposizione dei proprietari Il piccolo principe ereditario Reza Ciro, sette anni appena compiuti, in alta uniforme sul trono (Tel. Ansa) colpiti e del clero musulmano, per le difficoltà tecniche dell'operazione e per il rivolgersi dell'Interesse delle autorità al settore dell'incipiente industrializzazione. Una riforma agraria, del resto, non è impresa che si possa giudicare sul metro di pochi anni. Resta intanto a merito dello Scià l'aver tentato di rompere la crosta millenaria che soffocava la società persiana, incanalando il Paese lungo linee di sviluppo relativamente equilibrate. In questo senso il regime autoritario del sovrano , si può rassomigliare al dispotismo illuminato dei monarchi europei del Settecento, che imponevano dall'alto le riforme ritenute indispensabili per il progresso. Ma le riforme, per radicarsi durevolmente, devono essere portate con energia sino in fondo e soprattutto devono trovare una classe che le senta, le faccia proprie e formi l'ossatura della nuova società. Qui si tocca il limite dell'opera pur coraggiosa dello Scià: avversata dà destra" e dà sinistra, per opposte ragioni, essa poggia su uno strato troppo sottile di tecnici, sostenuti dalla fiducia personale del sovrano. Il rimedio sarebbe forse la libertà politica; ma questa, nella Persia di oggi, è un'ipotesi improbabile. Ferdinando Vegas
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