Il fattorino torinese racconta l'aggressione di corso Agnelli
Il fattorino torinese racconta l'aggressione di corso Agnelli Il fattorino torinese racconta l'aggressione di corso Agnelli Al processo in Assise - Dice: « Mi colpirono alla testa col calcio della pistola. Poi mi spararono un colpo che mi forò il soprabito » - Il dibattito rinviato al 30 ottobre E' continuato ieri,, alla Corte d'Assise di Torino, il processo contro i tre giovani che, dopo aver confessato due rapine alla Squadra Mobile milanese, hanno ritrattato accusando funzionàri, sottufficiali ed agenti di averli percossi, lasciandoli senza mangiare e costringendoli a bere parecchi litri di acqua. I tre imputati sono Gianfranco Bronzi di 30 anni, da Torino; Salvatore Fici di 26, da Marsala e Gianfranco Veronese di 25, da Rovigo. Secondo l'accusa il 13 dicembre 1963, a Torino, aggredirono in corso Agnelli il fattorino Giovanni Pigella, che era andato a prelevare in banca 7 milioni e 400 mila lire tentando invano di rapinarlo; il 30 gennaio 1964, poi, strapparono a Giovanni Bottacco, fermo in attesa del pullman in corso Rosselli, una borsa contenente 600 mila lire. Ieri Giovanni Pigella ha raccontato alla Corte la sua avventura: « Una "1100" con tre sconosciuti a bordo bloccò la mia "500". Mi resi conto di quanto stava accadendo e, a piedi, scappai verso il cancello della ditta Stobbia. Uno dei banditi mi raggiunse e mi colpì alla testa col calcio d'una pistola facendomi stramazzare. Intervennero altre persone e, prima di allontanarsi, gli aggressori spararono tre colpi di rivoltella ». Presidente — Lei è in grado di riconoscere almeno il suo feritore? Teste — No. sono stato colpito alle spalle. Presidente — Contro chi erano diretti i colpi? Teste — Non saprei. So soltanto che, in seguito, mi accorsi che il mio cappotto era stato forato da un proiettile all'altezza della spalla sinistra. Anzi, me lo fecero notare quando portai il cappotto in lavanderia. Presidente — Questa è una circostanza gravissima. Perché non l'ha mai detto prima? Teste — Nessuno me l'ha chiesto. Giovanni Pigella è un uomo spaesato e intimidito. Gli imputati tentano di metterlo in difficoltà, specialmente il Bronzi e il Fici che in questo processo, in più di un'occasione, hanno usato espressioni tracotanti e aggressive. Fici dichiara: « Io sono stato messo a confronto con questo signore, in questura, pochi giorni dopo la rapina. Aveva ancora la testa fasciata ». E Bronzi: « Pigella mi conosce: ho lavorato come operaio nella sua stessa ditta ». Il teste, tranquillo, ne¬ ga il confronto in questura e dice di non ricordare il Bronzi. Quest'ultimo si abbandona ad uno dei suoi frequenti scatti e il presidente lo ammonisce: « Stia attento e si controlli. Lei rischia un processo per oltraggio ». Vengono quindi ascoltati il dott. Schipilliti, della « Mobile » di Milano ed altri 11 testimoni (tra sottufficiali ed agenti) che parteciparono agli interrogatori dei tre accusati. Tutti smentiscono le percosse e i maltrattamenti, insistendo sulla spontaneità delle confessioni. Non si parla nemmeno più dei fiaschi d'acqua che i fermati sarebbero stati costretti ad ingoiare. Il dott. Schipilliti osserva tra l'altro: « Per noi le, confessioni, specialmente quella del Bronzi, furono una sorpresa. Non sapevamo nulla delle rapine commesse a Torino e ci stavamo invece, occupando di quella progettata ad una banca di Rho ». Presidente — Bronzi dice che la confessione gli fu estorta, che fu picchiato e lasciato senza mangiare. Teste — Lo escludo nel modo più assoluto. Il processo è stato poi rinviato al 30 ottobre, g. a.
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