Cinquant'anni fa, Caporetto

Cinquant'anni fa, Caporetto Dopo la gravo sconfitta, una pronta o coraggiosa riscossa Cinquant'anni fa, Caporetto L'offensiva austro-tedesca colpi l'esercito italiano indebolito dalle sanguinose e inconcludenti battaglie dell'estate - L'attacco fu scatenato nella notte fra il 23 ed il 24 ottobre 1917 sul fronte della II Armata, il più difficile ed il meno difeso - Dopo poche ore, una divisione germanica si impadroni di Caporetto, mettendo in crisi il nostro schieramento - Gli errori dei comandi e le incertezze di Cadorna nell'ordinare la ritirata, aggravarono la situazione - Le truppe italiane ripiegarono prima sul Tagliamento, poi sul Piave; e qui, malgrado le enormi perdite, fermarono il nemico - In mezzo secolo non sono ancora stati chiariti tutti gli enigmi della battaglia Siamo a cinquant'anni ormai dalla battaglia di Caporetto, e l'enigma di tale improvvisa dolorosa vicenda appassiona ancora gl'italiani, nella pur sempre insoddisfatta attesa di una soddisfacente chiarificazione, anche se non proprio definitiva, perché nella ricostruzione storica nulla v'ha di definitivo. Ma non v'ha dubbio che nella storia della prima guerra mondiale, e sarei per dire nella storia militare, la rotta italiana si presenta con caratteri propri, sia per la fulmineità del rovescio e la gravità delle conseguenze immediate, sia per la non meno fulminea ripresa. E si tratta pur sempre d'una battaglia, fatto guerresco per eccellenza, e che quindi va esaminata in primo luogo da questo punto di vista, pur senza dimenticare che la storia militare affonda le sue radici nel terreno politico-sociale. Le prove dell'estate La 2* Armata che subì il rovescio, era pur sempre quella che nel maggio e nell'agosto del 1917 aveva avuto la parte preminente nell'offensiva vittoriosa del Kuk e Vodice e in quella della Bainsizza, la più grande battaglia della storia d'Italia. Ma erano pur sempre due vittorie incomplete e ben duramente pagate: 32 mila morti la prima e 40 mila la seconda, più il 15 per cento di feriti gravi deceduti entro il mese successivo. La nuova classe del '97 era stata assorbita dalla prima offensiva; quella del '98, ingoiata dalla seconda. E i capisaldi della difesa austriaca sull'Isonzo, Tolmino, San Gabriele, Hermada, erano pur sempre in mano austriaca. Ciò ad onta dell'armamento enormemente accresciuto, tanto da far credere ai soldati che i reticolati sa-: rebbero stati spazzati via e le trincee nemiche spianate; e s'era sparso il detto: L'artiglieria conquista le posizioni, la fanteria le occupa! Da ciò un senso di stanchezza e anche di sfiducia nei soldati e la persuasione crescente che fosse impossibile giungere alla decisione attraverso la sempre più dura lotta. Né i combattenti potevano rendersi conto della disperata tensione cui avevano sottoposto l'avversario, e del radicato timore nelle alte sfere austriache, di non poter resistere ad un ulteriore colpo d'ariete di Cadorna. Da ciò la richiesta d'aiuto al potente alleato germanico, e il piano d'una controffensiva nell'Alto Isonzo, proprio nel settore montano più aspro ma meno presidiato, e ampliando al massimo il fronte d'attacco, da Tolmino fino a Plezzo, e collegando la duplice offensiva con un'ardita puntata da Tolmino nord verso Caporetto: cosi da prendere alle spalle la stretta di Saga, aprendo la via all'offensiva da Plezzo, e al tempo stesso infilando la vallata del Natisone. Il 18 settembre il Cadorna dà, alla 2* e 3J Armata, l'ordine «dì concentrare ogni attività nelle predisposizioni per la difesa ad oltranza»; ma si tratta in realtà soprattutto della rinuncia a una terza grande offensiva, le cui direttive sono state emanate otto giorni prima, (c'era soprattutto il timore che lo sfacelo russo si accompagnasse a un rifluire di forze nemiche sull'Isonzo). Ma egli s'inganna sull'entità e sulla direzione dell'offensiva nemica. E via via che i giorni passano, egli ritiene illogica e quindi poco probabile un'offensiva sull'Alto Isonzo con la stagione avanzata. I piani sbagliati Se mai se la attende sulla Bainsizza e sul Carso, con azione da Tolmino verso Cividale, soprattutto nell'inten to di riprendere il terreno perduto nel maggio e nell'agosto, e attenuare la pressione italiana divenuta pericolosissima. Un'azione, quin di, a obiettivo pur sempre limitato, tale da riguardare soprattutto i Comandi delle due armate dell'Isonzo. La vera offensiva è da lui temuta, sull'Isonzo e sugli Altopiani, ad opera di forze austro-tedesche, per la primavera dell'anno prossimo, 1918. Da ciO l'allontanarsi del Generalissimo dalla fronte minacciata proprio ai primi d'ottobre, quando la minaccia nemica si fa consistente, per esaminare le difese degli Altopiani e della Carnia prima della caduta delle nevi, e il suo tornare a Udine il 19 ottobre soltanto; il lasciare le riserve troppo in basso e troppo a ridosso rispetto alla minaccia nemica, e il non costituirsi una riserva centrale sul medio Tagliamento, il non rimettere in funzione né le teste di ponte di Codroipo e di Latisana, le fortificazioni dell'anfiteatro morenico del Tagliamento né gli sbarramenti delle Alpi Giulie. Cosi si spiega come il Cadorna lasciasse fino al 19 ottobre che il gen. Capello, fisso nell'idea d'una difensiva-controffensiva, facesse di testa sua, con quattro divisioni nella zona veramente minacciata, e ventuno in tutta la rimanente. Dal 19 in poi fu un affluire tumultuoso di forze mandate a sostegno dell'ala sinistra, ma ormai era tardi; e il 24 ottobre nei punti nevralgici si avevano vere lacune e mancanze di collegamenti fra il IV, il VII e il XXVII corpo d'armata; le truppe erano molto spesso sorprese in marcia, stanche, ignare dei posti, non orientate. Il Cadorna aveva prescritto, sì, all'artiglieria il 10 ottobre un vivace fuoco di contropreparazione, ma come un avvertimento occasionale, nella risposta alle direttive del Capello, approvate « in massima »; e non si curò di sapere se la nostra artiglieria fosse preparata all'esecuzione d'un siffatto ordine. Così pure accennò alla difesa in profondità, ma come semplice avvertimento, mentre essa avrebbe richiesto uno speciale addestramento. Insomma il Cadorna non emanò nessun regolamento per la battaglia difensiva, nessuna norma per eventuali misure' di ripiegamento. E ciò di fronte a un nemico sceltissimo, magnificamente addestrato, e per questo anche molto sicuro di sé. Si aggiunga che anche molti ordini di Capello presupponevano un addestramento tattico che alle nostre fanterie e all'artiglieria mancava. Quanto,al Badoglio, pare s'illudesse di fermare l'irruzione nemica con una grande cortina di fuoco che egli stesso intendeva ordinare all'ultimo momento, fiero co- m'era della sua provenienza dall'artiglieria e della sua capacità d'artigliere. Il bombardamento nemico interruppe invece tutte le comunicazioni telefoniche, la nebbia impedì le segnalazioni ottiche, e l'artiglieria non sparò o sparò isolatamente, tardivamente, e si trovò all'improvviso il nemico tra i pezzi. L'azione di rottura Non è il caso qui d'entrare in maggiori dettagli. Basti ricordare che nell'insieme il 24 ottobre là fronte dal Rpmbon sopra Plezzo, lungo l'arco di Monte Nero e sulla linea del Pleka retrostante al Merzli, aveva resistito. L'azione della 12* divisione slesiana, che puntò su Caporetto, agendo, secondo l'immagine della Commissione d'Inchiesta, come una sottile lama che s'insinua fra le maglie della corazza dell'avversario, per giungergli al cuore, operò quasi nel vuoto. Trovò la prima linea sgombra (una compagnia mitragliatrici era stata fatta arretrare la sera prima); la seconda linea a Nord di Foni, che Badoglio avrebbe dovuto far occupare dalla brigata Napoli, era occupata, alla stretta, paro « da un tenuissimo drappello »; la terza linea, presso Idersko, era guarnita da due compagnie giunte allora allora, stanchissime e nuove del posto, é senza collegamenti alla loro destra (davanti a Caporetto s'imbastì una difesa con un migliaio d'uomini racimolati alla meglio); la quarta linea presso Staro Selo fu occupata dai fuggiaschi della difesa precedente, e da una compagnia mitragliatrici. Un reggimento della brigata Potenza, non molto lontano, non fu impegnato perché poteva esserlo solo dietro ordine dell'armata! E l'arrivo dei tedeschi a Caporetto, alle spalle, sia pure a distanza, dalla stretta di Saga, portò all'abbandono precipitoso di questa, d'ordine superiore. Così il IV Corpo era tutto preso alle spalle, e l'ampiezza del fronte sfondato appariva dilatata paurosamente. Tanto più che un varco di quattrocento metri era pure a Tolmino, sulla Costa Raunza, e ciò aveva permesso la avanzata dei tedeschi verso le pendici del Kolovrat, così che anche il VII Corpo, che avrebbe dovuto saldare la giuntura del IV e XXVII Corpo, era, alla sera del 24 in parte almeno, preso o minacciato alle spalle. L'errore di Cadorna Ma ora segue una serie di altri guai: il 25 dopo mezzogiorno, il gen. Capello propone la ritirata al Torre, o meglio al Tagliamento, dietro la protezione di forti retroguardie. Il Cadorna sembra aderire e si emanano gli ordini, ma poi è preso da scrupoli, e alla mezzanotte ordina la resistenza « fino all'ultimo uomo » sulla linea Montemaggiore-Korada. Il 26 tale linea marginale è intaccata e la sera il Montemaggiore, quasi aggirato, è sgombrato dalle scarse forze salitevi. E allora il Cadorna nelle prime ore del 27 ordina la ritirata generale al Tagliamento, con una sosta sul Torre. In questo modo si sono perdute più di trentasei preziosissime ore; il nemico ha potuto far affluire nuove forze, e la ritirata si compie sotto la sua grave pressione. Lo stesso 27, il nemico occupa Cividalé, e quasi nello stesso momento il generalissimo italiano si trasferisce a Treviso; nessuno resta a contatto con le armate nel delicatissimo momento. Seguono tre giorni veramente tragici. Tutto questo fa sì che la rotta assuma ora l'aspetto d'un vero disastro; l'interruzione prematura dei ponti di Codroipo, conseguenza di tutte le imprevidenze precedenti, fa salire il numero dei prigionieri a cifre impressionanti, e le perdite dei materiali diventano gigantesche. Quando poi il Cadorna, dopo aver sacrificato inutilmente la brigata Bologna nella difesa di Monte Ragogna, anziché portarla tempestivamente sulla destra del Tagliamento, vedeva il nemico forzare la sera del 3 novembre anche questo fiume sopra un ponte non bene distrutto, aveva un momento di totale scoraggiamento, e scriveva al nuovo presidente del Consiglio Orlando di vedersi di fronte a « un'insanabile crisi morale », e di paventare un rovescio militare fra Tagliamento e Piave, o di schierare sul Piave i resti di due armate « privi di qualsiasi efficienza bellica ». Eppure anche nella sfortunata battaglia non erano mancati gli episodi di eroismo; basti leggere il bel libro di Cesco Tomaselli, Gli « Ultimi » di Caporetto! Che l'esercito italiano non meritasse un siffatto giudizio, apparve pochi giorni dopo dall'epica difesa del Grappa; ci basti ricordare il bollettino del 15 dicembre che terminava dicendo: « Il contegno delle nostre truppe della IV Armata, nella lotta che da quattro giorni si svolge asprissima e cruenta fra Brenta e Piave, è pari alla grandezza dell'ora...; meritano l'onore di speciale menzione... il battaglione alpini Monte Pavione e il battaglione alpini Val Maira, che sul fondo di Val Calcino, sbarrando la via al nemico, con glorioso sacrificio, ha affermato ancora una volta l'eroico motto: "Di qui non si passa ", insegna e vanto degli alpini nostri ». Piero Pieri Il dramma dei profughi dopo Caporetto: 500 mila civili abbandonarono le loro case diretti verso le retrovie