Per recitare una volta Mbsen o Giocosa provano per mesi, a sera, dopo il lavoro di Giorgio Calcagno

Per recitare una volta Mbsen o Giocosa provano per mesi, a sera, dopo il lavoro Per recitare una volta Mbsen o Giocosa provano per mesi, a sera, dopo il lavoro I «gruppi d'arte drammatica» non sono più numerosi come una volta - Oggi, in tempo, di cinema e tv, sono rimasti i «puri», veri dilettanti che agiscono per passione - Pagano le spese con i propri stipendi, hanno per ricompensa soltanto l'applauso che ricevono dagli amici - Ma che impegno, e che gioia, mettere sulla scena una commedia nuova, interpretare il copione scritto da rn amico, dar voce agli immortali personaggi di Shakespeare o Pirandello! Bove sono finiti i gruppi filodrammatici? Fino a qualche anno fa ce n'erano dappertutto: nei circoli aziendali, nei paesi, presso i cinema di periferia, nei collegi, nelle parrocchie, dovunque si trovassero degli amici che scoprivano dì avere qualche interesse per il teatro. Rappresentavano qualsiasi cosa, dalla « Consegna è di russare » all'« Amleto », Senza spaventarsi di alcuna difficoltà. Il repertorio non escludeva neppure la tragedia greca. Un teatrino con le seggiole di legno, un palco scricchiolante con le quinte girevoli, un fondale dipinto il giorno prima con « interno dì salotto borghese » e si andava in scena. L'importante era che non mancasse la buca del suggeritore. Poi sono venuti il cinema, la televisione, i teatri stabili e semistabili; e lo spazio lasciato ai dilettanti si è fatto più piccolo. Nonostante la crisi degli ultimi anni, i «Gruppi di arte drammatica » non sono scomparsi. Si sono ridotti di numero, ma si sono elevati di tono, e hanno definito meglio le loro caratteristiche. Senza pretendere di fare concorrenza al teatro « ufficiale», o di portare lo spettacolo là dove non c'era, forniscono l'occasione per uno dei più appassionanti (e utili) impieghi del tempo libero. Il teatro, per il filodrammatico, è un hobby: ma un hobby più impegnativo degli altri; stimola alla ricerca e allo studio, più di una volta costringe al sacrificio. Nella Hi L'attrice Adriana Gioelli (a sinistra, inginocchiata) mentre insegna recitazione ad un gruppo di giovani aspiranti attori al corsi serali «Morozzo della Rocca» presso la scuola Clotilde di Savoia a Torino (Foto Moisio) sola Torino, vivono una quindicina dì compagnie affiliate all'Enal: è una vita precaria, resa ancora più difficile dalla mancanza di locali per re¬ citare; ma resistente. Si riuniscono la sera, dòpo il lavoro; provano mesi e mesi, tre o quattro giorni la settimana, lo spettacolo che forse reciteranno una sera soltanto, davanti ad un pubblico di parenti, amici, colleghi di azienda. E il loro applauso li appaga. Il teatro è cambiato in Italia, dal 1945 ad oggi: ha scoperto la regìa e le sovvenzioni statali; si è fatto, insieme, importante e burocratico. Ma l'attore della filodrammatica ha mantenuto lo spirito romantico di un tempo. Ama il teatro per se stesso, non per la piccola gloria che potrebbe riceverne. E' disposto a dedicargli tutte le sue ore libere; e molto spesso anche il proprio denaro. Se non trova un teatrino dove rifugiarsi — e oggi lo trova con sempre maggiore difficoltà — fissa le prove della compagnia in casa, sfidando le proteste dei vicini. Si costruisce le scene, le va a piantare sul palcoscenico, procura tutti i pezzi di arredamento sottraendoli alla famiglia. Porta via dal proprio alloggio le seggiole, i lampadari, le tende e perfino il telefono, se il copione lo richiede. Ma niente vale la soddisfazione di entrare in scena e pronunciare le battute di Giocosa e dì Ibsen; o allestire, in « prima » assoluta, il testo scritto da un amico. A Torino c'è un tranviere che impegna tutti i suoi familiari per mettere in scena le commedie di un suo collega manovratore. C'è un ex operaio della Fiat che ha costituito un complesso assai affiatato, con una maestra, impiegati di banca, studenti, e rappresenta testi modernissimi, pagando le spese con il proprio stipendio. Se c'è qualcosa di nuovo, in questo mondo, è una maggiore cura nella scelta del repertorio, e un certo sforzo per rendere più decorosa la esecuzione. Il filodrammatico classico era un esuberante, saliva sulla scena per dare sfogo al proprio estro. I suoi testi preferiti erano quelli che consentivano la scena madre, e possibilmente il grande monologo. Oggi anche il dilettante ha affinato i propri gusti; ha sostituito le quinte con ì praticabili; accetta, sia pure malvolentieri, la guida del regista (dilettante come lui); ha scoperto che oltre a Nicodemi e Giacometti esiste Pirandello, E, soprattutto, cerca di istruirsi, prima di andare in scena. A Torino l'Enal, accanto all'attività filodrammatica, gestisce una scuola di recitazione, fondata dalla contessa Morozzo della Rocca e insediata presso la « Clotilde di Savoia» (corso Galileo Ferraris 11). Vi si tengono corsi di dizione, arte scenica, storia del teatro, con turni serali per gli adulti. Gli attori delle varie compagnie aziendali vi affluiscono numerosi; si sottopongono a lunghi esercizi per eliminare gli accenti dialettali; imparano a muoversi sulla scena. Qualcuno di loro ha fatto strada, è diventato un attore « vero ». Ma la maggior parte non ha di queste ambizioni: vuole soltanto arrivare a recitare meglio. Giorgio Calcagno A TORINO, QUINDICI COMPAGNIE DI FILODRAMMATICI

Persone citate: Bove, Giacometti, Giocosa, Ibsen, Pirandello, Shakespeare

Luoghi citati: Italia, Morozzo, Torino