La letteratura inglese ha una ricca vitalità

La letteratura inglese ha una ricca vitalità Assurdo parlare di decadenza La letteratura inglese ha una ricca vitalità Nel teatro e nel racconto appare tra le più fresche e vitali del mondo Ora è emerso un altro forte scrittore, l'irlandese Fiatiti O'Brien Si sente dire spesso che la letteratura inglese è in decadenza. Viaggiatori frettolosi tornano dalle visite d'obbligo a Carnaby Street e ai templi del culto di Mary Quant e dei beatìes, per riferire che queste, oltre naturalmente alla principessa Margaret e a suo marito, sono le sole cose interessanti e vive che esistano in Inghilterra; ed Antonioni col suo Blow-up ha contribuito a canonizzare il fotografo come l'ultima incarnazione del genio, britannico. Ma con tutto il rispetto per lord Snowdon e il suo gran libro fotografico, escono ancora in questo paese dei libri fatti solo di parole, capaci di divertire (o di preoccupare) molto di più. Gabriele Baldini ha scritto recentemente che da parecchio tempo « troppo poco ci viene, in fatto di letteratura creativa, dall'Inghilterra ». L'illustre traduttore di Shakespeare ama certo quella letteratura e probabilmente la condanna perché la vorrebbe ancor più florida; ma mi sembra che il suo giudizio sia ingiusto. Senza parlare del teatro, che con i suoi Osborne, Pinter, Wesker, Arden, Livings, Rudkin, Orton e tanti altri, è certamente uno dei più vivi del mondo -— e senza disturbare i grandi nomi di Samuel Beckett, Graham Greene, Anthony Powell, Ivy Compton Burnett,. Elizabeth Bowcn, Lawrence Durrcl, tutti vivi e vegeti (ho detto i primi nomi che mi venivano in mente, ma ce ne sono altri) —, .perché non riconoscere il gran pregio «in fatto di letteratura creativa », di autori come Angus Wilson, William Sansoni, Kingsley Amis, John Wain, Alan Sillitoe, John Braine, Thomas {-linde, J. P. Donleavy? (la lista potrebbe continuare per un bel po'). E le scrittrici? Nel paese di Jane Austen, di George Eliot e di Emily Bronté, l'eccellenza della letteratura femminile si tramanda con i romanzi delle due che ho già nominato e di Irish Murdoch, Murici Spark, Brigid Brophy, Edna O'Brien, di tutta una legione di scrittrici che sembrano intente a coprire il genere femminile di carta stampata in proporzione di quanto lo scoprono le minigonne. Ma non si possono leggere romanzi come A severed head (della Murdoch), August is a wic\ed month (della O'Brien) o, per restare tra gli uomini, No laughing matter (di Angus Wilson), The day the cali carne (di Thomas Hinde), o The ginger man (del Donleavy) senza sentirsi indotti a firmare immediatamente un certificato di piena vitalità del 1 romanzo inglese. Per di più, è uscito da poche settimane un romanzo che ben più delle riesumate poesie giovanili di T. S. Eliot e dell'inedito (ma non del tutto) amore triestino di James Joyce, si merita il titolo di novità sensazionale. Poche settimane, e già la casa editrice (Mac Gibbon and Kee) è assediata dalle richieste di cessione dei diritti di traduzione, e scommetto che già si azzuffano i registi vogliosi di farne un film. Si tratta del romanzo The third policeman (Il terzo poliziotto) di Flann O'Brien, Questo è'lo pseudonimo dell'irlandese Brian O'Nolan, nato nel 1911 e morto nel 1966, I suoi libri {At Swim-TwoBirds, The Hard Life, The Dalkjiy Archive) non molti li conoscevano, finché una riduzione dell'ultimo per il teatro, che ebbe un bel successo a un recente festival di Dublino, non portò in Inghilterra il nome dell'autore. E con esso arrivò la notizia della sua ghiotta trovata, che James Joyce è ancora vivo, e ripudia con orrore non solo la sua ultima opera, Finnegan's Wal{c, ma anche l'Ulisse. Il bello è che se di qualcuno Flann O'Brien mostra d'essere discepolo, e proprio di Joyce: ne continua lo stile, l'invenzione, l'umorismo, i giochi verbali, lo sfoggio iconoclastico delle citazioni erudite, il gusto della contaminazione tra il linguaggio moderno, quotidiano e dialettale, e le preziosità letterarie e arcaiche, le tirate retoriche in chiave di parodia, i voli poetici genuini o imitativi. Ma nemmeno Joyce aveva mai avuto un'idea così nuova e geniale come quella su cui Flann O'Brien ha costruito tutto il suo Third policeman: l'idea di raccontare la storia di un personaggio senza soluzione di continuità tra ciò che gli succede in vita e quello che gli capita dopo morto: una discesa all'inferno che ha tutta l'aria d'una presa in giro della civiltà elettronica. Il protagonista del Third policeman muore a pagina 23, ma il lettore non se ne accorge, e lo segue nelle sue avventure senza mai sospettare che1 non sia più vivo, finché a pagina 197 ha una lampante spiegazione retrospettiva del'avvenimento descritto a pagina 23, che sembrava del tutto accettabile come un semplice cambiamento di luce, di temperatura e di densità dell'aria, ma in realtà era la morte. Quando si sappia che i poliziotti- del libro, a furia di andare in bicicletta (beata Irlanda!) sono diventati in parte biciclette anch'essi (e per esempio non possono stare in piedi se non muovendosi sempre: se si fermano e non si appoggiano, cascano giù), e che una ingegdtosà struttura ciclica ;fa*sì che il racconto finisca esattamente come comincia, si avrà un'idea così delle trovate umoristiche come del contenuto simbolico del libro: l'inferno è infinito, e dunque tutto vi si ripete, l'automazione è « ripetitiva », e dunque è un inferno. Ma il ripetersi delle trovate comiche e il ricorrere delle frasi chiave, sono tutt'altro che infernali. L'effetto è del più gran divertimento. Ancora una volta la magia della parola e la ricchezza dell'immaginazione, due costanti particolarmente irlandesi del romanzo \ inglese, hanno prodottò un gran libro. Altro che « magra letteraria : ! Filippo Donini Direttore dell'Istituto Italiano di Cultura a Londra

Luoghi citati: Dublino, Inghilterra, Irlanda, Londra