Castro per salvare Cuba dalla fame ha rovesciato i piani di Guevara

Castro per salvare Cuba dalla fame ha rovesciato i piani di Guevara IMPEGNATI NELL'AGRICOLTURA TUTTI GLI SFORZI DEL REGIME Castro per salvare Cuba dalla fame ha rovesciato i piani di Guevara Dopo là vittoria su Batista, appena attuata la riforma agraria, il « Che » volle un programma di industrializzazione forzata - E' nel consueto schema comunista; ma all'isola mancavano i capitali, i tecnici, le maestranze - Di fronte al crollo della produzione dello zucchero, massima risorsa del paese, nel 1963 Castro impose la priorità all'agricoltura - Con la mobilitazione di tutte le forze e con una martellante propaganda, ha ottenuto buoni risultati - Solo la terra, assieme agli aiuti russi, sostiene l'economia cubana (Dal nostro inviato speciale) L'Avana, ottobre. Cuba va ostentatamente controcorrente. Mentre tutto il mondo corre verso la industrializzazione, il castrismo si è voltato dalla parte opposta: quarda alla campagna. « TÒdo el esfuerzo a la agricoltura! » è il motto nazionale. I giornali cubani sono forse lievemente più vivaci di quelli dell'Europa orientale, ma la differenza fondamentale sta nelle fotografie: mentre in Russia o in Cecoslovacchia di solito si vedono operai sorridenti davanti al tornio, qui si incontrano soltanto tagliatori di canna, coltivatori di agrumi, allevatori di' bestiame. Questa febbre per l'agricoltura ha raggiunto punte parossistiche: la campagna non è più soltanto la sorgente delle risorse naturali indispensabili al paese; è il lavacro purificatore, il .battesimo. Tutti i cittadini — operai, impiegati, funzionari— se vogliono esser degni della nuova società, debbono passare un determinato perìodo dell'anno in campagna lavorando a squadre accanto ai contadini. Questa frenesia agreste spuntò all'orizzonte nel 1963, quattro anni abbondanti dopo la rivoluzione. Da principio anche il castrismo, pur operando una drastica riforma agraria che ha statalizzato il 67 per cento dei terreni coltivabili, puntava le sue carte migliori sull'industria. Di' fabbriche, nel paese, zuccherifici a parte, non ce n'erano molte. Birra, melassa, candele; poco di più. Il resto, dal bottone all'autocarro pesante, veniva dagli Stati Uniti. Rotti i ponti con Washington, Cuba decise dì industrializzarsi nella speranza di raggiungere una certa indipendenza economica. Castro cominciò a tuonare contro la monocoltura della canna da zucchero sostenendo la necessità che nel paese spuntassero nuove fabbriche, nuove ciminiere; ma quello dell'industria non è mai stato un tema congeniale alla sua natura. Il vero motore della nuova campagna fu il numero due del regime, .«Che» Guevara. ' Con la foga che lo» còlei va sempre contraddistinto, «Che» si accinse alla nuo-. va impresa fissando immediatamente ambiziosi obbiettivi: nel giro di un quinquennio Cuba doveva superare il milione di tonnellate d'acciaio, raddoppiare la produzione del cemento, sfruttare i giacimenti di nichel, cromo, cobalto, far sorgere ben venticinque nuovi centri industriali. ' Qualcosa fu fatto, ma ben presto ci si accorse che lo sforzo era nettamente superiore alle energie. Prima di tutto mancavano i capitali. Mosca aiuta Cuba in molti modi, acquista a un prezzo nettamente superiore a quel- lo del mercato mondiale lo zucchero cubano, che gli S.U. — antichi clienti — rifiutano sdegnosamente; ma in linea di massima adotta l'antico sistema del baratto, merce contro merce. Per Cuba trovare i fondi necessari per industrializzarsi in pochi anni era impresa disperata, tanto più che scarseggiavano gli operai specializzati e gran parte dei tecnici ad alto livello si era rifugiata negli Stati Uniti. D'altra parte il relativo disinteresse del governo per l'agricoltura e la fuga dei contadini dalle campagne stavano portando ad un pauroso abbassamento della produzione agrìcola: quella dello zucchero, che nel 1959 aveva sfiorato i 7 milioni di quintali, nel 1963 era scesa sotto i 4 milioni. Cuba rischiava di perdere completamente la sua anti^ fonte di ricchezza assai prima che la nuova cominciasse a dare i suoi frutti. Così, a un certo momento, nonostante l'opposizione di Guevara, secondo il quale anche in campo economico erano possìbili le miracolose vittorie — uno contro cento — dei tempi della guerriglia, si impose un cambiamento di rotta. Dapprima i programmi vennero limitati, poi si ricorse ab taglio chirurgico: basta con la industrializzazione, tutti gli sforzi all'agricoltura. Non era, per Cuba, una sterzata facile. Quest'isola fertilissima non ha grandi tradizioni agricole. Prima della rivoluzione castrista c'era, sì, qualche bella fattoria dove si coltivava tabacco o caffè e si allevava bestiame; e c'era anche una classe contadina, piccoli o piccolissimi coltivatori diretti, che vivevano poveramente nei bohlos, le casette dì legno dipinto, col tetto di foglie di palma; ma la maggior parte del terreno coltivabile era riservata alle' grandi piantagioni di canna da zucchero dove lavoravano, solo per tre mesi all'anno, grandi masse di braccianti. Un lavoro tanto duro e mal ricompensato, il loro, che talora neppure i disoccupati cubani volevano assoggettarvisi; per reclutare tutta la manodopera necessaria, qualche volta bisognava ricorrere anche ai negri di altre isole. Con simili tradizioni, avviare il popolo cubano sulla strada dei campi non era facile. Per questo Castro, che ha avuto sempre il pallino dell'agricoltura, assunse personalmente la direzione della nuova campagna. Figlio di proprietari terrieri che possedevano una grande fattoria sugli altipiani della Sierra, ha sempre conservato una profonda nostalgia per il mondo della sua infanzia. A ribadire questa sua passione per la vita all'aria aperta, erano intervenuti poi gli anni della guerriglia passati in montagna: egli aveva finito, per contrapporre la campagna « sana e buona » alla città « corruttrice e cattiva » Sotto la guida di Castro, fu come se la rivoluzione cominciasse daccapo. Nuovi studi, nuovi piani, nuovi ministeri. La stessa suddivisione amministrativa dello Stato fu completamente modificata secondo nuovi criteri agricoli. Tutte le scarse risorse del Tesoro vennero convogliate verso le campagne: nel 1964 gli investimenti per la - meccanizzazione agricola superarono quelli congiunti dell'industria e dell'edilizia, raggiùngendo un terzo del bilancio statale. E da allora sono sempre aumentati. Molti, conoscendo le condizioni dell'economia cubana, temevano il crollo. Castro invece additava mète ambiziose: dieci milioni di tonnellate di zucchero per il 1970, produzione agricola raddoppiata, decollo economico. Impegnatosi fino al collo nell'impresa ha finito a poco a poco per dedicare l'ottanta per 'cento del suo tempo a problemi agricoli. Tutti debbono collaborare, non c'è settimana che scolaresche e maestranze non si trasferiscano dalla città alla campagna per piantare agrumi o vagliare tabacco. Allo stesso scopo sono perennemente mobilitati, a turno, interi reparti dell'esercito. Pochi giorni or sono a Las Vìllas 150,000 cittadini, trasferitisi in massa sui campi per quarantott'ore, hanno seminato centotré caballerias ("circa 1390 ettari) di caffè. Questa partecipazione totale culmina in aprile in occasione della zafra, il taglio della canna da zucchero, quando tutta la popolazióne si trasferisce nelle piantagioni per collaborare, almeno durante qualche giorno, con braccianti e contadini. Nessuno è escluso, vi sono invitati perfino i diplomatici stranieri e le loro consorti. Nell'ultima zafra il più bravo dei macheteri, i tagliatori di mestiere, ha stabilito un record tagliando in un giorno mille libbre di canna (il rendimento medio sì aggira sulte cinquecento, libbre); Castro, che è un colosso, ne ha tagliato seicento. Con questi contributi grandi e piccini, volontari e forzati. Cuba è riuscita bene o male a superare, la fase più acuta della crisi, ed oggi la sua agricoltura è tornata agli indici di produzione di sei-sette anni fa. Gli anticastristi si domandano se il giuoco valeva la candela; i castristi guardano con trepidazione le grandi distese di caffè, di tabacco, di agrumi seminate in questi ultimissimi tempi. A queste pianticelle ancor piccole e fragili sono affidate, cicloni permettendo, tutte le loro speranze. Gaetano Tumiati

Persone citate: Batista, Birra, Castro, Gaetano Tumiati, Guevara