Il cinema difficile attira il pubblico

Il cinema difficile attira il pubblico SI ESTENDONO SALE D'ESSAI Il cinema difficile attira il pubblico Diminuisce dovunque la frequenza ai cinematografi: in un decennio gli spettatori in Italia sono scesi di 160 milioni - Ma le sale « sperimentali » e le opere «impegnate» suscitano un interesse che dieci anni fa appariva impensabile Le notizie sono tutt'altro che1) confortanti. L'interesse per il cinema continua a diminuire. Il mercato italiano, pur rimanendo in testa a quelli di altri paesi, ha perso in un' decennio centosessanta milioni di spettatori; nello stesso periodo, in Francia, il pubblico è sceso quasi della metà. Fenomeno niente affatto curioso ma parimenti allarmante: al considerevole calo di presenze, corrisponde un aumento di incassi. Il prezzo medio dei biglietti di ingresso è triplicato in questi ultimi tempi. Si va di meno al cinema, ma si spende di più. Politica certo non sana, promettente, con prospettive. La crisi potrebbe divenire irreparabile, ammettono gli stessi giornali di categoria. Incerta e confusa in Europa e altrove, non dipende soltanto c comunque dalla crescente diffusione della tv o da altre forme di impiego del tempo libero. Produttori, case distributrici, esercenti ignorano ormai, fra tanto turbamento e perplessità, a quali film vadano le preferenze del pubblico. Dappertutto si fanno inchieste, ma con scarsi risultati. Un recente referendum indica nel western il «genere» di più largo consenso, eppure il « termometro degli incassi » registra flessioni anche in questo campo. La suddivisione per « generi », senza distinguere al loro interno film da film, è un metodo ingenuo e primitivo, inadatto a una vera intelligenza di un problema così complesso e contraddittorio quale quello inerente il gusto del pubblico. Il gusto comune è un concetto sempre più sfuggente e non esiste un pubblico omogeneo, ma varie specie e sottospecie di esso, che a loro volta si allontanano dalle vecchie classificazioni. Andare a vedere un film, del resto, non è come una volta un fatto assolutamente casuale, diventa sempre più frutto di una precisa scelta: su cento persone, afferma un'indagine di mercato Doxa, una esigua percentuale si reca ormai al cinema indipendentemente dalla pellicola che vi si proietta. Senza cadere in facili e pericolosi ottimismi, occorre constatare che a poco a poco vanno configurandosi, in misura maggiore rispetto al passato, gruppi di spettatori ì quali respingono di vivere la vita per procura, da individui passivi. E' indicativo al riguardo il successo ottenuto dai cicli che la ;tv dedica, ad autori difficili e problematici come Eisenstein, Bresson, Dreyer e, ultimo in ordine cronologico, all'anticommerciale Flaherty, i cui Nanool{ e L'uomo di Aran hanno ottenuto alti indici di gradimento. Parimenti indicativa l'attenzione, che soltanto ieri sarebbe apparsa- assurda, dimostrata dagli industriali dello spettacolo — ormai sensibili ad ogni segno che possa arginare in qualche modo la crisi — verso i cinema d'essai, di « saggio » e « assaggio », di «esperimento», le sale cioè che proiettano film qualificati sul piano culturale e artistico. I primi risultati di questi cinema d'essai sono incoraggianti, anche se la formula ha bisogno d'essere sostenuta e perfezionata, ammette XAraldo dello Spettacolo; servirà in ogni caso ad eliminare diffidenze e pregiudizi — aggiunge —, a creare in certi strati del pubblico una mentalità più aperta a tutte le nuove esperienze. Come sostenere la formula, perfezionarla? In questi giorni si è aperto a Milano un secondo cinema d'essai, l'Arlecchino, con VEdipo re. forse il più autobiografico film di Pasolini, nonostante le ampie citazioni dal Rasciomon di Kurosawa, mentre il Ritz, che opera dal 1961, ha in programma l'interessante e critico Sovversivi di Paolo e Vittorio Taviarir Quasi contemporaneamente si è tenuto a Fiuggi il terzo Convegno nazionale cinema d'art et d'es sai, promosso dall'Associazione italiana degli amici del cinema d'essai, l'Aiace. E' ormai passato oltre un lustro da quando, con il patrocinio culturale del Gruppo milanese critici cinematografici, nacque a Milano la prima sala (Le Arti, ora sostituita dall'Arlecchino) riservata ad anteprime, capolavori italiani e stranieri, riprese di classici, film in edizione originale con sottotitoli, opere di registi nuovi o poco conosciuti. L'inaugurazione avvenne con Vivati il Terribile di Eiscnstein e proprio « tra l'ironia, il disinteresse e l'aperto ostruzionismo dell'esercizio e del noleggio ». Sale d'essai sono ormai sorte e sorgono un po' dappertutto, e si appoggiano per l'appunto e in genere all'Aiace, che elabora listini di film adatti al loro circuito, promuove cicli per autori o per generi. E tuttavia, di cinema d'essai veri e propri ne esistono due, soltanto il Ritz e l'Arlecchino di Milano proiettano — e sotto il diretto controllo dei critici — film in prima visione; analogo esperimento è infatti fallito a Firenze, mentre a Torino il Nuovo Romano ha rinunciato alla sua qualificazione. Il Salone Margherita di Roma alle « prime » alterna ì « proseguimenti ». Le altre sale d'essai dedicano un giorno della settimana alle pellicole di qualità, tratte dal repertorio della normale distribuzione; alcune, sempre con film già editi, organizzano brevi rassegne o, come il Nuovo Olimpia di Roma, il Centrale di Genova e l'Orchidea di Milano, offrono programmi quasi sempre d'essai: «Ogni giorno un film da vedere o da rivedere », è il loro slogan. Esiste un dissidio di base tra i due cinema d'essai milanesi e l'Aiace, che non sembra aliena dai compromessi tra arte e industria — termini del resto non necessariamente antitetici, inconciliabili —, dal seguire itinerari equivoci o già collaudati. Ne offre conferma la Targa da essa assegnata quest'anno al discutibile, sopravalutato La battaglia di Algeri di Pontecorvo, già vincitore del Leone d'oro a Venezia e del Nastro d'argento dei giornalisti cinematografici. Altri film, più qualificati, attendevano un giusto risarcimento dagli «ami¬ ci dei cinema d'essai»: Uccellacci e uccellini ad esempio, per rimanere nel campo della nostra produzione.. Non basta pubblicare un elenco di pellicole d'essai, sostengono il Ritz e l'Arlecchino, così come non bastava segnalare i testi da cineclub per assicurare io sviluppo dei circoli del cinema, oggi in una situazione anacronistica. Sono i locali, sotto il patrocinio culturale e lo stretto e rigoroso controllo della critica, che creano i film d'essai, e non viceversa. Segnalare questi agli esercenti non significa infatti che vengano tutti pubblicati, ma soltanto una loro parte e non sempre la migliore. Il Ritz e l'Arlecchino hanno ragione quando affermano che si deve essere non tanto per la qualificazione delle opere quanto dei locali, che solo così è possibile garantire un programma annuale di un certo livello, l'uscita e il lancio anche delle pellicole più diffìcili e incidere sensibilmente sul mercato, contribuire a modificare e migliorare il gusto di alcuni settori del pubblico. Guido Aristarco

Persone citate: Aran, Bresson, Flaherty, Guido Aristarco, Kurosawa, Pasolini, Vittorio Taviarir