La Thailandia, avamposto del Vietnam rimane un tranquillo e sereno paese di Igor Man

La Thailandia, avamposto del Vietnam rimane un tranquillo e sereno paese SINORA LA GUERRA VICINA HA PORTATO SOLTANTO DEI VANTAGGI La Thailandia, avamposto del Vietnam rimane un tranquillo e sereno paese I siamesi hanno sempre difeso l'indipendenza della loro terra, benedetta dalla Natura come poche altre in Asia, « piegandosi al vento come il bambù» - Adesso hanno accolto cinquantamila soldati e quattro basi degli Stati Uniti; ma «si americanizzano» con giudizio, senza rinnegare la loro essenza orientale - L'agricoltura assicura a tutti di che vivere, gli aiuti stranieri contribuiscono al nascere dell'industria, il turismo favorisce il benessere - A così breve distanza dal fronte indocinese, i militari Usa possono girare disarmati, accolti come amici (Dal nostro inviato speciale) Bangkok, ottobre. Il verde carnoso della vegetazione, gli specchi delle risaie, i nastri d'argento dei canali, il giallo della terra inondata di sole, gli arabeschi giganti del Delta del Menan, il maestoso fiume « Padre e fratello » della Thailandia, il mare: dall'aereo l'occhio non coglie subito il groviglio di cemento armato di Bangkok, si ha l'impressione di atterrare in un vasto spazio deserto d'uomini e case, tranquillo. Da Saigon, cupa, livellata da una implacabile luce d'àmidnto, sì arriva nel Siam in un'ora e venti minuti di volo. Dalla guerra alla pace: qui tutto suggerisce un'idea di distensione e smemoratezza, che nemmeno i pesanti aviotrasporti americani rullanti sulla pista di Dong Muang, l'aeroporto civile di Bangkok, riescono a fugare. Il Vietnam sembra lontano anni luce, la gente sorride. E sorprende ogni volta l'animata confusione della città, caotica nel suo traffico spericolato. Colorata di insegne pubblicitarie in rìpida corsa sui grattacieli, coi mucchi di frutta stipati sulle bancarelle a ridosso delle sontuose sedi delle banche, dei negozi eleganti ingemmati di zaffiri e rubini, i templi assorti e solenni sul bordo dei canali. La Thailàndia ha poco più di 30 milioni di abitanti, sparsi su dì un territorio di 500 mila chilometri quadrati; la densità è di appena 60 persone per chilometro quadrato, ma Bangkok assomiglia a un termitaio, fitta com'è di gente' indaffarata e allegra. Sono tre milioni che corrono da un capo all'altro di Bangkok, a piedi, in risciò a motore, a bordo di automobili italiane, tedesche, giapponesi; e pressoché a tutti gli incroci sì incontrano pullman carichi di turisti dall'aria felicemente stordita. La folla di Bangkok è asiatica, come quella di Saigon o di Calcutta, ma quanto diversa: I thai sono originari dell'alto bacino del Fiume Azzurro; brevilinei, nei tratti larghi del viso ricordano ì cocincinesi, tuttavia il loro modo di fare è « occidentale», fi traffico di Bangkok è più convulso di quello di Roma; le persone si capisce che muovono verso una meta precisa, anziché vagare da un capo all'altro della città: Bangkok è una metropoli, la capitale di un paese alle soglie del decollo industriale. L'anno scorso il prodotto lordo della Thailandia ha raggiunto i 4 miliardi di dollari, con un incremento del 7 "h negli ultimi dieci anni. In un triennio il reddito medio è salito dai 90 ai 125 dollari a testa. La Thailandia non è mal stata colonia, è riuscita a conservare la propria indipendenza destreggiandosi per secoli «fra la balena e il coccodrillo » (le grandi potenze), facendo da cuscinetto tra gli imperi di Francia e britannico, in forza della sua flessibilità ma soprattutto per la sua generosa agricoltura. Paese fondamentalmente rurale, ricava oltre il 50 per cento del suo reddito dall'agricoltura, dalle foreste, dalla pesca, dall'allevamento. Al primo, posto in Asia per l'esportazione del riso, la Thailandia ha ora affrontato l'industrializzazione con giudizio veramente contadino. Dal tempo degli illuminati sovrani dell'800, la Thailandia è aperta verso l'Occidente. I due grandi re, Mongkilt e Chula-Longkorn organizzarono secondo moduli occidentali i ministeri, l'esercito, i tribunali, le università, abolirono la schiavitù, aprirono i primi ospedali, introdussero le ferrovie. Negli anni la Thailandia si è sempre più occidentalizzata, senza peraltro perdere la sua essenza asiatica, ch'è fatta di prudenza e dì sottigliezza. C-Vi la Thailandia è in piena « stagione americana ». secondo una logica politica che l'ha vista, ; di volta in volta, andare al passo con la potenza più forte nel Sud-Est asiatico. Sì è sempre allineata, ma con somma cautela, non senza riserve. «Come il barn bù, ci pieghiamo ad asse condare la violenza del ven¬ to, pronti a risollevarci, integri, quando il vento è passato », dicono i thai. Da più di dieci anni, ormai, la Thailandia accetta l'influenza dell'America, preoccupandosi tuttavìa dì bilanciarla con una polìtica dì buon vicinato, rafforzando la tradizionale amicizia coi paesi minori dell'Europa, allacciando nuovi rapporti internazionali: cogli Stati arabi, col Sudamerica. Nel '54 è entrata nella Sèato. nel 1962 ha sottoscrìtto il patto di Manila. L'inasprirsi del conflitto vietnamita ha tra^ sformato il paese in una fortezza americana; ciononostante esso rimane sempre .un paese asiatico, comportandosi in conseguenza. Le più importanti operazioni di bombardamento sul Nord Vietnam vengono effettuate dagli aerei Usa di stanza in Thailandia già da due anni, però il governo di Bangkok ha sempre smentito questo dato di fatto. Ora che non sarebbe più possibile negarlo, i thailandesi protestano che se gli aerei statunitensi per bombardare Hanoi decollano dal loro paese, se la presenza americana va facendosi sempre più massiccia, questo accade «per volontà di Wash- ington, non per la nostra». La Thailandia sostiene, infatti, che gli Stati Uniti godono di « determinate facilitazioni» soltanto nel quadro della Seato, non in funzione della guerra del Vietnam. Il centro del dispositivo strategico statunitense è a Khorat, sulla « Via dell'amicizia», la colossale arteria che unisce Bangkok a Vienliane, capitale del Laos. Khorat è una base logistica riàca di mezzi e armi in misura tale da poter approvvigionare due intere divisioni. Mediante una autostrada che evita Bangkok, la base è collegata con quella aeronavale di Sattahip, sul Golfo del Siam. In quella zòna portuale sono giganteschi depositi di carburante e di munizioni, di vettovaglie, rifugi per sottomarini. A breve distanza si distendono cinque piste accessibili ai bombardieri supersonici. Le basi di Ta-Khlì, Ubon e Uden completano il dispositivo strategico americano in Thailandia: da esse partono gli aerei che bombardano la pista di Ho Chi-min, nel Laos, e il Nord Vietnam. A Ubon funziona un radar potente quanto quello di Okinaiva, la base potrebbe, assorbire in qualsiasi momento rinforzi di truppa inviati per ponte aereo dalle Filippine o da altre isole del Pacìfico. Neutrale, anticomunista, retta da un regime militare che governa con la legge marziale (in vigore dal '58), la Thailandia è un porto sicuro per gli americani. Il tragitto dalle basi thailandesi agli obiettivi nord-vietnamiti è più breve, le installazioni a terra non sono insidiate dai vietcong. Nel Vietnam gli S. U., benché alleati di quel governo, si trovano nella diffìcile posizione d'un esercito occupante. In Thailandia si mostra di tollerarli, tuttavia nonostante i bizantinismi dei governanti di Bangkok, gli americani (che oggi sono 50 mila) vi sono accolti col sorriso, si sentono in terra amica. Igor Man 100 300 300 ioo 300 Ktw. ^ mm

Persone citate: Dong Muang