L'uomo e il mito

L'uomo e il mito UNA FACILE EVASIONE DALLA REALTÀ L'uomo e il mito Nell'età della tecnica, della progettazione scientifica, della razionalizzazione di tutte le attività umane, risorge, per uno strano paradosso, l'interesse per il mito. A prima vista, il mito è l'opposto simmetrico di ogni attività razionale o razionalizzante: è un racconto fantastico intorno a personaggi irreali, trasmesso per tradizione, abbellito o esaltato dai poeti e ricco di insegnamenti religiosi e morali. Ma anche i filosofi si sono spesso avvalsi del mito, considerandolo come un mezzo di espressione più rapido e popolare delle loro dottrine; e Platone faceva ricorso al mito tutte le volte che riteneva impossibile spingere oltre l'indagine razionale, per completare e arricchire questa indagine e fare intendere chiaramente gli insegnamenti che da essa derivano. Spesso i filosofi hanno visto nel mito l'origine della religione o dell'arte: così faceva Vico. Hegel affermava che per quanto bizzarro, grottesco o frivolo il mito possa apparire, esso contiene sempre « un pensiero filosofico sulla natura di Dio » espresso in fórma imperfetta e perciò prepara la strada all'arte e alla religione. Dall'altro lato, l'arte e la religione moderne cercano di scindere i propri rapporti con il mito. L'arte rivendica oggi la propria libertà d'espressione e combina arbitrariamente parole, forme, colori o elementi eterogenei per esprimere significati che non trovano riscontro nella realtà delle cose e non pretendono insegnare nulla. Nell'ambito religioso, le correnti più moderne della teologia cristiana sono impegnate in uno sforzo ài demitizzazione della religione: cioè a liberare il cristianesimo dall'apparato mitico che esso ha rivestito nel corso della storia e in primo luogo dai vecchi e ormai consunti miti sull'origine e la natura del mondo, per far risonare chiaramente il messaggio che esso racchiude per la salvezza degli uomini. E così proprio ' le attività umane che più strettamente apparivano congiunte con la forma fantastica del mito, l'arte e la religione, sono anche quelle che oggi rivendicano energicamente la loro indipendenza dal mito o cercano di liberarsene. E allora il problema è questo: può l'uomo fare a meno del mito? * * Il mito non è proprio soltanto delle civiltà primitive, perché tutte le civiltà e tutti i popoli hanno avuto e hanno miti. Ma i miti delle società primitive sono quelli che oggi più richiamano l'attenzione degli studiosi, perché è più facile rendersi conto della loro struttura, cioè degli elementi che li compongono, della loro organizzazione e della loro finalità. Recentemente un gruppo di antropologi inglesi ha discusso in un volume collettivo (The Stiadurai Study of Myth and Totemism, edited by Edmund Leach, Tavistock Publications, 1967) l'interpretazione del mito proposta da Lévi-Strauss e specialmente l'analisi che Lévi-Strauss ha fatto della « storia di Asdiwal », un mito diffuso presso un gruppo di indiani che vivono nella Columbia britannica a sud dell'Alaska. Gli studiosi inglesi rimproverano a Lévi-Strauss un eccessivo semplicismo e formalismo nell'interpretazione del mito: ridotto, nel suo schema, a opposizioni elementari come quelle di femmina-maschio, fame-sazietà, movimento-immobilità e così via; ma si trovano d'accordo su certi caratteri fondamentali dei miti primitivi che d'altronde sono riconosciuti da buona parte de gli antropologi contemporanei. In primo luogo, il mito non è un racconto storico ma è e vuol essere la rappresentazione generalizzata di fatti che ri corrono con una certa uniformità nella vita dei gruppi urna ni: la nascita, la morte, la lot ta contro la fame e le forze della natura, la sconfitta e la vittoria, il rapporto tra i sessi. In secondo luogo, la rappresentazione che il mito dà di questi fatti spesso non è realistica cioè non riproduce esattamente la situazione corrispondente che vige presso il popolo cui il mito appartiene, ma è opposta a questa situa¬ zione, nel senso che la rappresenta abbellita, corrètta o perfezionata ed esprime così piuttosto le aspirazioni che la situazione reale fa sorgere. Lévi-Strauss adopera la parola dialettica per caratterizzare il rapporto tra il mito e la realtà che lo ispira. Questa parola suscita la ragionevole diffidenza dei suoi critici, qualcuno dei quali propone, per designare quel rapporto, il concetto di retroazione (feedback) introdotto dai costruttori di cervelli elettronici. Secondo questo concetto, il mito reagisce sulla situazione che l'ha provocato, cioè tende a modificare l'universo sociale dal quale sorge che, a sua volta, così modificato, provoca una risposta nel campo del mito; e così via. Tra mito e realtà sociale ci sarebbe, in altri termini, un complesso scambio di azioni e reazioni, dal quale l'uno e l'altra resterebbero continuamente modificati. In terzo luogo, e come conclusione, il mito può essere considerato (come dice LéviStrauss) «una filosofia nativa» 0 almeno un qualche aspetto di essa, cioè la forma in cui un gruppo sociale esprime un proprio atteggiamento di fronte al mondo, un modo (o uno dei modi) per risolvere il problema della sua esistenza. Questo significato esistenziale del mito diffìcilmente potrebbe essere negato. Attraverso il mito, un gruppo umano prospetta a se stesso i problemi fondamentali della sua esistenza, i mezzi che ha a disposizione per sopravvivere e- quelli che vorrebbe avere e non ha. Prospetta, anche, il modo in cui possono e devono atteggiarsi i rapporti fra gli uomini nella società in cui vivono nonché i loro pericoli, 1 conflitti cui danno luogo e le soluzioni possibili. In altri termini, come ogni filosofia — fantastica e primitiva o razionale e raffinata che sia — il mito prospetta all'uomo le scelte fondamentali che gli si offrono nella porzione "limitata di mondo ih cui deve vivere; e gli r'accumaiir da alcune di queste scelte a preferenza di altre con la forma di un racconto esemplare e della suggestione emotiva che ne deriva. Se per Giambattista Vico il mito o, come egli diceva, le « favole » erano la storta autentica, per quanto fantastica, dei popoli primitivi, secondo gli antropologi moderni esso è piuttosto la filosofia di questi popoli. E per coloro che ritengono che la filosofia sia un lusso di gente sazia e raffinata, che h? l'agio di darsi alla contemplazione, questa è una lezione tanto più efficace in quanto viene, non da filosofi, ma da scienziati che non fanno professione di filosofia. '" * * Nel. linguaggio colto corxente, la parola mito non è ristretta a significare un racconto fantastico imperniato su personaggi irreali, ma è estesa a designare qualsiasi nozione, esaltata al di là dei propri limiti scientifici o razionali, carica di persuasione emotiva e adatta perciò a controllare, in un modo qualsiasi, la condotta degli individui. Sorel parlava del « mito dello sciopero generale » diretto a tener desta l'energia combattiva della classe operaia. Oggi si parla del « mito della libertà » e « della democrazia » o del « mito della rivoluzione »; del «mito del benessere » o « della tecnica »: del « mito della pace », o « della guerra »; e così via. In realtà ogni concetto buono o cattivo, valido o no, può essere adoperato come simbolo o bandiera per difendere certe cose o distruggerne altre, cioè per influire in modo diretto ed immediato sul comportamento umano. Si può ritenere valido o no quest'uso del tern.ine, ma è certo che la tendenza ad am plificare, a retoricizzare, ad arricchire di cariche emotive sproporzionate idee o nozioni fondamentali con la pretesa di farle servire più efficacemente e rapidamente alla direzione della condotta pratica di individui o di gruppi, è presente nella società contemporanea e ne costituisce un aspetto essenziale. Ma non meno presente a questa società e non meno essenziale è la tendenza opposta a demitiz¬ zare, a considerare nozioni e concetti nei loro limiti, a esa- minarli per definire appunto tali limiti e stabilirne la va- lidità e la funzione effettive, La scienza e la filosofia sono oggi impegnate, al pari della religione e dell'arte, in questo compito di demitizzazione che è anche un compito di demistificazione perché tende a dare a ogni uomo la nozione precisa delle alternative tra cui deve -scegliere. Si consideri, ad esempio, il concetto di libertà. Non si serve bene, oggi, la causa della libertà esaltandola come la realtà della storia o l'ideale incarnato o il pane di cui vivere tutti i giorni. La si serve meglio, nei confronti di individui capaci di critica e di responsabilità, definendola nella sua funzione effettiva: co- 111111111111111111111 me condizione indispensabile di tutte le attività umane e, a lungo andare, della stessa sopravvivenza dell'uomo: ma come condizione imperfetta e difficile a realizzare, sempre esposta a pericoli, sempre da difendere e a volte scomoda e atta a chiedere sacrifici. La tendenza a mitologizzare e quella a razionalizzare si scontrano in tutti i campi, ma permangono ormai pochi dubbi su quella alla quale l'uomo moderno deve affidare le sue sorti. Forse miti ce ne saranno sempre o in ogni caso tenderanno sempre a risorgere o riformarsi: la via del mito è la più facile. Ma la via più difficile, qui come altrove, è la migliore; e la ragione non deve deporre le sue armi di fronte a nessun mito. Nicola Abbagnano

Luoghi citati: Alaska, Columbia