Un'amara farsa di Eduardo De Filippo chiude il Festival teatrale a Venezia

Un'amara farsa di Eduardo De Filippo chiude il Festival teatrale a Venezia «Il contratto» in "prima,, assoluta alla Fenice Un'amara farsa di Eduardo De Filippo chiude il Festival teatrale a Venezia Protagonista della commedia è un fantasioso personaggio napoletano, che inventa una singolare truffa - Promette ai ricchi contadini di risuscitarli dopo la morte se tratteranno con giustizia i parenti nel testamento- Applausi per l'attore autore, Pupella Maggio e gli altri interpreti (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 12 ottobre. Apertosi sotto il tiepido sole di settembre, il festival internazionale del Teatro si è concluso tra le prime brume autunnali. Ma Eduardo De Filippo è riuscito a dissiparle con il calore del suo mondo meridionale. Sul palcoscenico della Fenice, acceso dalle violente tinte delle scene e dei costumi di Renato Guttuso e dagli echi popolareschi delle musiche di Nino Rota, sembrava stasera che si fossero rovesciati tutti i colori e i suoni della penisola sorrentina. Ma sotto tanta festosità, quanta amarezza: « Il contratto », la nuovissima commedia che l'autore e attore napoletano (ma è scritta in lingua, soltanto le inflessioni sono dialettali) ha presentato a Venezia in prima assoluta, ripropone nei travestimenti della favola e della farsa 1 grandi temi eduardiani del denaro e della morte, dell'a vidità e della paura. Che cosa è il « contratto »? Un patto che Geronta Sebezio, è il curioso nome del protagonista, stipula con i ricchi contadini delle campagne intorno a Po sitano: lui s'impegna di resuscitarli entro cinque ore dalla morte, loro promettono di condurre vita esemplare, di stabilire un clima di amore e di bontà con i famigliari, di trattare con giustizia la moglie e i figli nel testamento, ma di lasciare a un parente in altri tempi odiato e disprezzato la parte disponibile della eredità. In cambio, Geronta non chiede nulla, se non una fotografia con dedica, per ricordo. Un santo, dunque, un benefattore? Andiamo piano. Geronta non è un taumaturgo con poteri soprannaturali, il «contratto » si risolve in una truffa, di cui egli stesso è il principale beneficiario. Un furfante, allora? Neppure. La complicata macchina che egli mette in moto con i suoi singolari accordi finisce, paradossalmente, col ridistribuire equamente una ricchezza. Anche se una parte cospicua rimane a Geronta, nessuno ne viene del tutto spogliato. Tranne lo Stato. Ma lo Stato, si sa, per molta gente è ancora un'astrazione, si guarda con indulgenza a chi riesce a truffarlo. L'imbroglio viene a galla soltanto nel terzo atto. Eduardo, a dui non manca davvero il senso del teatro, tiene lo spettatore sulla corda, anche se qua e là fa balenare qualche accenno che potrebbe mettere sull'avviso. Il primo atto è meramente introduttivo, necessariamente tortuoso e un po' grigio. Ma 11 secondo atto, uno. dei più belli che Eduardo abbia mai scritto, consente all'autore di trarre ogni profitto dalla sua bizzarra invenzione, di spremere tutti 1 veleni del sarcasmo e della satira. Geronta è stato chiamato in casa di Gaetano Trocina, un facoltoso possidente spirato all'improvviso. Deve farlo rivivere, come da « contratto». I familiari tuttavia, esitano. Se non sperassero di cancellare l'« infamità » commessa dal defunto che ha lasciato a un sordido cugino un terzo del patrimonio, rinuncerebbero ai servigi del mago. Ma prima di acconsentire alla « resurrezione », che naturalmente non avverrà con il pretesto, d'altrónde non infondato, della «mancanza d'amore », si dovranno rimettere in fretta e furia al loro posto gli abiti e i Valori nascosti quando il cadavere era ancora caldo. E' una specie di grottesco balletto, di irresistibile effetto comico come prima le discussioni che, in attesa dell'arrivo di Geronta, si svolgono a una tavola imbandita intorno alla quale la moglie e i figli del morto s'ingozzano di pasta e fagioli e tracannano grandi bicchieri di vino mentre imprecano contro un incomprensibile testamento e litigano col cugino che ne dovrebbe trarre vantaggio. Non spiegheremo, anche perché è veramente troppo macchinoso, copie nel terzo atto Geronta riesca a intascare oltre la metà dei trecento milioni che toccherebbero al cugino in cambio di una rinuncia all'eredità, la¬ sciando tuttavia costui nella convinzione di averci guadagnato. La spiegazione si avrà durante un pantagruelico banchetto nuziale che già fa intravedere chi sarà la prossima vittima e che offre a De Filippo il destro di continuare e di volgere a conclusioni pessimistiche la sua polemica contro una società che si può tenere a freno, e che sa forse anche migliorare, ingannandola e terrorizzandola, come essa chiede. Sullo spettacolo, allestito con la regia dello stesso autore, avremo occasione di ritornare fra pochi giorni quando sarà portato a Torino. Per il momento, esso difetta ancora di ritmo, forse è anch^ troppo lungo.'Le repliche dovrebbero sveltirlo. Degli interpreti, senza ritessere le lodi di Eduardo atto¬ re impareggiabile, è doveroso almeno ricordare il prezioso contributo di Pupella Maggio, che della veglia funebre del secondo atto fa un capolavoro di penetrazione psicologica e di sfumature ironiche, 1 comicissimi furori di Nino Vingelli e Beniamino Maggio e le loro pittoresche esplosioni di gioia, la diligenza e la dedizione di Aldo Bufi, Bruno Cirino,' Isa Danieli, Enzo Donzelli e dei numerosi loro colleghi. La commedia è piaciuta e ha avuto buon esito. Un folto pubblico ha applaudito con calore festeggiando con particolare affetto Eduardo che, ancora convalescente per un'operazione, è tornato ài teatro dopo una lunga assenza. Speriamo che non se ne allontani per molto tempo ancora. Alberto Blandi

Luoghi citati: Torino, Venezia