Benvenuti è una miniera di dollari per i capi della boxe a New York di Luciano Curino

Benvenuti è una miniera di dollari per i capi della boxe a New York NINO RESTA POPOLARE MALGRADO L'INSUCCESSO CONTRO GRIFFITH Benvenuti è una miniera di dollari per i capi della boxe a New York I gangster! alla Frantele Carbo non controllano più il pugilato negli Stati Uniti - Attorno ai combattimenti sul ring continuano tuttavia a muoversi grossi interessi - Oltre a Nino ed al suo rivale Griffith, si sono inseriti nella sfida per il titolo mondiale dei « medi » Sandro Mazzinghi e Don Fullmer - Una finale tra italiani è il sogno degli organizzatori del Madison - Prevedono un incasso di oltre 300 milioni (Dal nostro inviato speciale) New York, 7 ottobre. Il gioco sta rivelandosi più grosso di quello ch'era sembrato all'inizio., E' il gioco degli uomini del Madison Square Garden, che fanno marciare la boxe a New York e anche in tutta l'America. All'inizio era sembrato limitarsi alla terza edizione di Benvenuti-Griffith, ed era già un buon affare. Sabato scorso, mentre l'italiano tornava sconfitto nello spogliatoio, Markson e Brenner, gli organizzatori del Madison, si erano affrettati a dire: «State a sentire, Griffith ha rivinto il titolo, ma Nino non è stato eliminato dalla grande boxe. Noi non lo molliamo». Era evidente che per loro Benvenuti restava una macchina ancora buona per fare soldi. Non lo è Griffith: egli è un pugile senza folla. Ma l'italiano è popolare a New York.i giornali lo chiamano il « bel Nino » e riportano un giudizio di Rocky Graziano: «E' un asso, dall'Europa non è mai arrivata un pugile così. Dategli il tempo e a New York farà quello che vorrà». Dunque, soltanto Benvenuti, in un terzo combattimento con Griffith, sembra capace di riempire il nuovo Madison Square Garden, che s'inaugurerà in febbraio e che avrà 30 mila posti. Un incasso di 250-300 milioni, più parecchie decine di milioni della televisione. Tornato in Italia, Benvenuti è stato polemico: «Devo lamentarmi — ha detto —; la stampa italiana mi ha trattato male, quella americana invece è stata generosa ed ha esaltato il mìo coraggio ». Ma la stampa italiana aveva giudicato il suo combattimento e là sua sconfitta solo sul piano sportivo. Aveva scritto che non si era chiesto a Benvenuti un vano atto di eroismo, ma che difendesse il suo titolo mondiale. Essere salito sul ring in fragili condizioni fisiche era stata ingenuità o presunzione. Bisognava invece chiedere il rinvio. Aveva anche scritto, la stampa italiana, che la sconfitta era stata amara e che non era giustificata dal fatto che « c'erano troppi quattrini in ballo » o che, forse, Benvenuti aveva necessità di incassare presto la « borsa » per realizzare alcuni programmi finanziari. La stampa americana, invece, aveva tratto dalla sconfitta un motivo per accrescere la popolarità del et bel Nino »: esaltandolo perché aveva saputo soffrire fino alla fine. E subito aveva incominciato a parlare del terzo match: un grande richiamo di folla, un affare colossale. Perciò la sconfitta di Benvenuti è sembrata fare il gioco del Madison. Ma ecco che il gioco si perfeziona e si allarga. Il terzo combattimento tra l'ex campione italiano e il campione negro, in programma per febbraio, sarà preceduto dal «match semifinale» fra, Mazzinghi ed il mormone Don Fullmer, che si disputerà l'8 dicembre. I vincitori dei combattimenti di dicembre e di febbraio si batteranno poi tra loro per il titolo. Don Fullmer è il « numero due » dei pesi medi americani. Nel '63 a Milano ha perso contro Mazzinghi per arresto di combattimento all'ottava ripresa, e nel '66 a Roma è stato sconfitto da Benvenuti ai punti. Due risultati indiscutibili, ma Fullmer non li ammette. L'ho visto una settimana fa al Madison mentre si aspetta. vano Benvenuti e Griffith per il peso. Ricordando quei due incontri, ha detto: «Macché sconfitto. Il fatto è che in Italia uno straniero non può vincere contro Mazzinghi e Benvenuti. Il pubblico, l'arbitro: è chiaro quello che voglio dire?». Era chiaro, comunque non era vero. Subito dopo il risultato di sabato scorso, Fullmer ha chiesto di battersi con il nuovo campione. Griffith era d'accordo. Non lo era il Madison e l'ha spuntata lui. Ora sembra quasi di indovinare le sue speranze: la vittoria di Mazzinghi in dicembre e quella di Benvenuti in febbraio. Scrive il Daily News: « Immaginate se dovessero trionfare ambedue gli italiani! Registreremo una tra le piii sensazionali invasioni di tutti i tempi. Sarebbe interessante vedere i due connazionali battersi sotto la cappa del nuovo Madison per il titolo mondiale». Si spera in un avvenimento «fabulous» per la storia del pugilato. Dollari a palate. Sì parla di sport e si parla parecchio di soldi: suona sgradevole, ma è la realtà. La boxe è. da tempo un'industria. Le .stanno attorno grossi mterèssi," la pùbblici-" tà, le scommesse. Ciò porta a sospettare maneggi e loschi traffici. Lo abbiamo visto al cinema. Film con la folla eccitata e crudele che grida « kill him », uccidilo; con l'intervento dei gangsters per truccare o vendere il combattimento, e per punire selvaggiamente il leale protagonista che si ribella. Il cinema ha saccheggiato il mondo della boxe mostrando pugili corrotti, managers disonesti e spietati, volgari parassiti e cinici speculatori. C'è stato effettivamente del marcio. Per anni la boxe americana è stata controllata da Frankie Carbo, un gangster. Era un uomo piccolo, freddo e paziente, che fumava grossi sigari e beveva solo latte tiepido. Gli bastava ima telefonata per creare o distruggere un campione. Il suo gioco era semplice: manovrando tra le quinte del pugilato con intimidazioni, minacce ed estorsioni, creava degli idoli che costringeva poi a perdere quando gli scommettitori meno se l'aspettavano. Egli, ohe puntava sul «sicuro» vin citore centinaia di milioni, poteva cosi incassare una somma triplicata o quadruplicata. Frankie Carbo fu per parecchi anni il vero «re del ring». E fu una storia sporca. « Quello finirà in galera » ripeteva il grande Dempsey, ma sembrava che il gangster fosse invulnerabile, e sdraiato al sole sulle spiagge della Florida beveva bicchieri di latte e con il telefono continuava a manovrare gli incontri secondo le sue scommesse. Pugili che fino a quel momento avevano creduto che Carbo fosse loro protettore e amico, ricevevano una telefonata che gli ordinava brutalmente di farsi pestare e perdere il combattimento. Nel 1955 Julius Helfand fu nominato presidente della Commissione della Boxe per lo Stato di New York e fece questa dichiarazione: «Non sono un tecnico, non ho mai messo un guantone, ma conosco assai bene i gangsters e t racketeers, i cui sistemi sono gli stessi in tutti i campi, e sono qui per eliminarli da uno sport nel quale da troppo tempo esercitano un'attività nefasta e illegale». La battaglia non fu facile, venne in aiuto la Polizia Federale. E Carbo fu arrestato con altri gangsters nel 1961; il tribunale, di Los Angeles lo condannò a 25 anni. Ora la boxe è pulita. E' uno sport entusiasmante e con grande pubblico, è anche un affare onesto di centinaia di milioni. In altri sport gira altrettanto denaro, forse di più, eppure la cosa non fa effetto. O comunque è meno sgradevole. Per il pugilato conta il fatto che contratti e scommesse si fanno per due uomini che, soli, si picchiano. Ma i pugili sono professionisti e quello è lì mestiere che hanno scelto. Gli può andare bene, gli può andare male. Va bene per Benvenuti, che è riuscito ad arrivare nelle prime file. Venerdì scorso ha perso, ma in quell'ora ha guadagnato più di quanto guadagna un impiegato o un maestro in trent'anni di carriera. E martedì tornerà a New York per definire alcuni contratti pubblicitari: altre decine di milioni. Poi ci sarà l'incontro di febbraio. Rocky Graziano crede nella sua vittoria e dice: «Dategli tempo e a New York farà quello che vorrà». Luciano Curino » Nino Benvenuti, da sinistra, Griffith, Don Fullmer e Sandro Mazzinghi: quattro pugili per un titolo mondiale