Come lavora Johnson di Nicola Caracciolo

Come lavora Johnson "SOLO NELLE DECISIONI QUANTO UN SOLDATO IN GUERRA,, Come lavora Johnson Capo dello Stato e del governo, non è solo l'uomo più potente del mondo, con le chiavi delle armi atomiche; è al centro di una «macchina» immensa - Washington aveva un solo segretario ; oggi la Casa Bianca dirige due milioni e mezzo di funzionari, amministra cento miliardi di dollari all'anno - La giornata lavorativa del Presidente riflette questo peso sehiacciante di impegni - La carica è soprattutto pesante nei periodi di crisi, come l'attuale - Johnson deve prendere, a breve scadenza, gravi decisioni sul Vietnam -1 consiglieri sono discordi: nessuno può aiutarlo nella scelta (Dal nostro corrispondente) Washington, ottobre. Che cosa significa oggi essere Presidente degli Stati Uniti? Non si può comprendere il ruolo di Johnson nella vita americana — le polemiche o i consensi che suscitano le sue decisioni — i complicati rapporti con il Congresso, senza rendersi conto che l'enorme potere oggi concentrato alla Casa Bianca è un fatto recente nella storia americarm. Fino a poche decine di anni or sono, chi contava veramente nella politica americana erano i governatori degli Stati. Al Presidente in realtà spettavano pochissimi compiti. Il primo presidente degli Stati Uniti, George Washington, aveva un solo segretario; Theodore Roosevelt, all'inizio del secolo, ne aveva venticinque. Oggi gli uffici delta Casa Bianca hanno centinaia di impiegati incaricati di tenere dietro alle questioni più diverse. Da una parte il fatto che gli Stati Uniti sono usciti dall'isolamento per entrare al centro della politica mondiale, dall'altra la necessità che il governo federale intervenisse sempre più profondamente nella vita economica del paese hanno fatto sì che verso la Casa Bianca sia scivolato un peso di responsabilità sempre maggiori. Secondo storici come Schlesinger e Burns, è questo il dato dì fatto saliente della recente evoluzione dello Stato americano. Secondo Walter Lippmann, in essa sono implìciti al tempo stesso elementi di progresso e di crisi comuni a tutto l'Occidente democratico che amministra la cosa pubblica in questa civiltà industriale con istituzioni elaborate per le civiltà a base prevalentemente rurale del secolo scorso. Comunque sìa, non c'è dubbio che della rapidità di questa evoluzione se ne sentono i segni sia nel funzionamento vero e proprio del governo sia nell'atmosfera di Washington. La capitale degli Stati Uniti conserva curiosamente un'atmosfera quasi provinciale. Ha pochissimo in comune con le grandi megalopoli americane come New York e San Francisco. E', secondo il giornalista Eric Sevareid, la più grande « company town d'America», la più grande città intorno alle attività di una sola azienda. Un'azienda in verità speciale: il governo americano dal quale dipendono due milioni e mezzo di funzionari, oltre tre milioni e mezzo di militari, che amministra un bilancio doppio dell'intero reddito nazionale italiano. E' curioso constatare quanto dell'atmosfera ottocentesca di piccola città sia rimasto nella Washington di oggi. A prescindere dalla politica e dal governo, qui non accade nulla di veramente notevole. Nessuno scrittore importante vive a Washington. I teatri producono unicamente spettacoli che hanno fatto le loro prove a New York — mai per carità qualcosa di nuovo. Le gallerie espongono solo raramente artisti di avanguardia. Washington è una città di Establishment che ama i valori costituiti e rifiuta ogni stranezza. Stessa atmosfera alla Casa Bianca, il centro indiscutibile al quale fa capo l'intera città. All'esterno l'edificio, che comprenderà in tutto un centinaio di stanze, non ha nulla d'impressionante. E' una villa disegnata alla fine del Settecento da un architetto irlandese, che s'era ispirato ai modelli del Palladio. Un grande giardino intorno con prati verdi e alberi di tutti i generi: querce, conifere, magnolie, un'infinità di scoiattoli praticamente addomesticati. Se per entrare non si dovesse possare attraverso i posti di guardia del servizio segreto (la speciale polizia che in America protegge il Presidente) sembrerebbe solo la residenza di una famìglia della ricca borghesia come in America ce ne sono migliaia. Nulla di pretenzioso, di maestoso o di solenne. Ma l'uomo che vi abita è il detentore di una somma di poteri enorme senza paragoni nella storia. Da un suo ordine dipendono i missili atomici nei loro «silos» di cemento nelle Montagne Rocciose, una rete di alleanze che copre tre quarti del globo; dalle decisioni che prende dipende la prosperità detl'economia americana. L'organizzazione della vita del Presidente risente di questo carico schiacciante di impegni. La mattina Johnson si sveglia tra le sei e le sei e mezzo nella sua stanza, una grande camera d'angolo che dà verso sud, al primo piano della Casa Bianca. Se durante la notte è accaduto qualche fatto importante viene chiamato dai funzionari della Situation Room, un fantasmagorico centro di comunicazioni situato nei sotterranei della Casa Bianca e in contatto con tutti i punti del mondo. Fra le sei e mezzo e le otto e mezzo il Presidente legge i giornali e i dispacci giunti alla Casa Bianca durante la notte. Scende quindi nel suo ufficio — la « camera ovale » situata al pianterreno con le porte-finestre che danno sui prati della Casa Bianca. Comincia così una giornata di lavoro che dura dalle dodici alle quattordici ore. Un ritmo di fatica così intenso non è in realtà riducibile. La Costituzione americana fa del Presidente l'unico responsabile dell'amministrazione dello Stato, l'unico responsabile della sua politica estera. I ministri nel governo sono solo degli alti funzionari incaricati di attuare le sue direttive. E' il leader del suo partito: a lui tocca il compito di organizzarlo in vista delle elezioni, di conciliare i litigi tra le diverse fazioni nei singoli Stati. E' facile dire quali sono i problemi che assillano Johnson in questo periodo. Sono i problemi che tornano tutti i giorni sulle prime pagine dei quotidiani americani: Vietnam, Medio Oriente, possibilità di accordi per il disarmo atomico con l'Unione Sovietica, situazione economica, questioni razziali e così via. E poi la necessità di cominciare a preparare la prossima campagna elettorale. Eisenhower per descrivere la condizione di Presidente ha scritto: « Per certi versi è una situazione paragonabile a quella di un soldato sul campo di battaglia. Solo il terrore della guerra può talvolta essere paragonato alla solitudine della presidenza ». Kennedy ha espresso lo stesso concetto in maniera diversa: « Molto spesso i consiglieri del Presidente sono divisi. Se un Presidente sceglie un corso sbagliato — come alcune volte mi è accaduto di fare — spetta a lui giustamente di prendere la responsabilità e il biasimo per l'errore compiuto ». E del resto — detto per inciso — questo stato di cose spiega la curiosa atmosfera fatta di attesa e di tensione che caratterizza Washington in questo inizio di autunno. Per capirne le ragioni, occorre esaminare sia pure brevemente l'attuale situazione politica. I sondaggi d'opinione vedono la popolarità di Johnson scesa al suo punto più basso da quando ha assunto la presi¬ denza; solo il 39 per cento degli americani approva la sua opera di Presidente. Per capire la gravità di una simile percentuale occorre rendersi conto che né Eisenhower né Kennedy hanno mai raccolto tanti dissensi. La polìtica di Johnson, cioè, è entrata in crisi, e questa crisi è motivata essenzialmente dalla guerra nel Vietnam che ipoteca la politica estera americana, obbliga l'amministrazione a chiedere nuove tasse, impedisce le spese sociali previste per la grande società. E la guerra, oltre tutto, non sembra nemmeno andar troppo bene. Una situazione di questo genere è semplicemente inverosimile che possa prolungarsi oltre certi limiti. Johnson nel prossimo futuro deve tentare uno sforzo decisivo per risolvere le cose. In che direzione? Con una nuova escalation, come chiede lo Stato maggiore, oppure giocando a fondo la carta dei negoziati, come gli suggeriscono vecchi e provati amici politici? Si ripete la situazione descritta da Kennedy: i consiglieri del Presidente sono divisi, ma al momento di decidere egli non può delegare i suoi poteri a nessuno. E' questo oggi, nella vita americana, un elemento di dramma fondamentale. Nicola Caracciolo Il presidente Lyndon Johnson al suo tavolo di lavoro