Il «party» in onore di Mao è un rito mistico, religioso

Il «party» in onore di Mao è un rito mistico, religioso Un"esperienza sconcertante ad Hong Kong Il «party» in onore di Mao è un rito mistico, religioso La Bank of China, potente organismo finanziario che controlla metà del commercio cinese, per la festa del 1" ottobre ha offerto un «cocktail» - L'ambiente è tutto occidentale; ma i cinesi si comportano come in un tempio - Sfilano davanti all'immenso ritratto di Mao, brindano in raccoglimento sotto la sua immagine, cantano in coro l'«Oriente è rosso» - Poi ripetono i pensieri del presidente come fossero litanie (Dal nostro inviato speciale) Hong Kong, 2 ottobre. Ho visto i maoisti a casa loro. Al tredicesimo piano d'un grattacielo nel cuore di Hong Kong i capi comunisti della colonia festeggiavano ieri il diciottesimo anniversario della Cina popolare con un party. Almeno cosi si leggeva sui biglietti di invito — party; in realtà quello al quale ho assistito, durante due ore, era un rito celebrato sull'altare della rivoluzione culturale. Hong Kong avvampava di luminarie e bandiere rosse; in tutti i quartieri popolari, nelle scuole comuniste, nei teatri, nei ristoranti, sui sampans, a bordo delle cento giunche venute da Canton, si faceva festa. Chiunque avrebbe potuto assistervi, ma per la porta sorvegliata da due dragoni di marmo della Bank of China, entravano solo le persone ammesse al ricevimento più «esclusivo» del primo ottobre: i « cinesi patriottici », come Pechino li chiama, gli uomini d'affari occidentali ed i diplomatici: con l'eccezione degli inglesi e, naturalmente, degli americani. La Bank of China è la sede delle più importanti transazioni finanziarie con il mondo capitalista. Questo edificio di pietra grigia, che dalle mani di Ciang Kaiscek passò in quelle di Mao diciotto anni fa, conosce ima entrata di seicento milioni di dollari Usa, come dire circa la metà degli introiti del c mmercio estero cinese. Qui la valuta pregiata si trasforma in grano, macchine utensili, impianti industriali, raffinerie di petrolio. Qui la lingua più parlata è l'inglese e, nei limiti consentiti dalla politica, corre una certa familiarità fra i funzionari comunisti e gli imprenditori stranieri. I primi indulgono alle abitudini, al linguaggio dei secondi che non hanno in genere la sensazione di trovarsi in una banca assolutamente diversa da tutte le altre, una banca ch'è un organismo politico, la più avanzata propaggine del continente cinese, la più solida roccaforte del maoismo fuor dei confini della Cina. Varcando la soglia in cemento, affollata di sorveglianti e cerimonieri con la coccarda rossa al bavero, i tratti distesi da un largo sorriso, facendomi largo verso l'ascensore tra una ressa di cinesi vecchi e giovani, uomini e donne, allegri e vocianti, non immaginavo che da un momento all'altro tutto sarebbe cambiato. L'ascensore elettronico si chiude con un soffio e d'improvviso i venti cinesi che l'hanno conquistato si tacciono. Vi ho messo piede per ultimo, sicché mi trovo a guardarli in viso. Mi fissano senza vedermi, poi, a mano a mano che si sale, prendono a voltarsi, quasi obbedissero ad un ordine silenzioso. Mi mostrano le spalle, con l'aria di usarmi una cortesia. Tredicesimo piano: vengo risucchiato da una muta processione che rvanza, in senso contrario ad un'altra, dentro un angusto corridoio, infine riversandosi in un vasto salone rettangolare incendiato di rosso: bandiere, ideogrammi, lampadari. Silenzio, caldo, sudore, Lungo un lato del salone hanno alzato un palcoscenico. Sullo sfondo scarlatto un accecante ritratto giallo di Mao lievita alla luce dei riflettori. Anche io, come tutti, mi trovo in mano un minuscolo bicchiere di cristallo pieno d'un liquido chiaro: mou-tai, grappa di riso. Il bicchiere in alto, procediamo lentamente fino al palcoscenico. Il pavimento è di marmo, ma non s'ode scalpiccio. Giunti a ridosso della ribalta, i cinesi sostano un attimo levando gli occhi verso il profilo di Mao Tse-tung. Portano il bicchiere alle labbra, lo risollevano, riprendono a sfilare. Improvvisa esplode una musica, dilagando perentoria da invisibili altoparlano: « L'Oriente è ros so ». Ora i cinesi cantano a gola spiegata, lo sguardo rivolto verso un punto lontano. Aldilà del palcoscenico, oltre il muro grigio della Bank of China, cento miglia in linea d'aria, s'apre la piana coltivata a risaie del Kwantung. Di colpo, così come è esplosa, la musica cessa. Un cinese alto, dal viso gentile, compare sul palcoscenico. Veste l'abito tradizionale, di taglio militaresco, lo stesso indossato da Mao Tse-tung: giacca accollata e larghi pantaloni grigiazzurri. Ha in mano un foglio di carta. Legge con voce cantante. E' il signor Li Chuo - chih, direttore della Bank of China. Par che canti perché pronuncia il discorso in mandarino, la lingua ufficiale della Cina popolare. Ogni dodici secondi si arresta. Sorridente,- gli occhi lieti dietro le lènti, l'espressione rapita, scandisce una rapida corsa di suoni protendendo la mano destra stretta a pugno. Dalla sala gli rispondono in coro, ritmando le parole coi pugni levati. Sembrano versetti, sono massime di Mao. Emozionatissima, una fanciulla in camicetta bianca, il distintivo di Mao sul petto, la gonna azzurra, scarpette nere col cinturino, si avvicina all'oratore porgendogli un bicchiere. Il signor Li Chuo-chih lo prende con amabile solennità e brinda alla salute di Mao Tse-tung. Volgendosi di tre quarti verso il profilo del capo: Mao wan sui, «Mill'anni di vita a Mao», grida. Una, due, tre volte, sollecitando il coro a fargli eco. Adesso sul palcoscenico irrompono dodici fanciulli, maschi e femmine; ilari e leggeri intrecciano una danza, gli occhi rivolti verso il giallo medaglione di Mao Tse-tung. Danzando cantano trascinando con sé tutti i presenti: sudati e sconvolti, i cinesi più adulti cantano anch'essi. Sono uomini e donne che hanno sofferto gli orrori della guerra civile prima di conoscere il regime in cui I fanciulli sono nati: «recano nel corpo e nell'anima la cicatrice rossa dei tempi nuovi ». Chi oserebbe mettere in dubbio la loro «fede», vedendoli cantare con tanto inquietante trasporto? Tra il comunismo ed il mondo Ubero, se sono qui, oggi, dovrebbero aver già deciso. Duemila comunisti si trovano nelle prigioni di Stanley, dall'altra parte della baia, al punto opposto del grattacielo della Bank of China. Può darsi che, domani, più d'uno tra questi cinquecento cinesi decida di farla finita con la mistica di Mao; ma oggi sono qui, dimentichi, all'apparenza, dell'Occidente col quale convivono, non disdegnandone il denaro, i costumi, gli agi. Ad un cenno d'un uomo alto e grosso, pur egli in divisa, i fanciulli scendono rapidi dal palco, si incolonnano dietro di lui fendendo la folla degli invitati. Via via che cantando scorrono nel srJone, a loro si uniscono sempre altre persone, presto è un girotondo di cinesi, uomini e donne, vecchi e giovani, finché a rimanere immobili restiamo in pochi. Finalmente il girotondo finisce. L'uomo alto e grosso sale sul palcoscenico, cava di tasca il libretto delle massime di Mao e comincia a recitare con voce cupa, dura. Una frase e si ferma. Gli rispondono in coro. Riprende a recitare, si tace di nuovo ed ancora gli altri ripetono con violenza le parole che ha letto: «Tutti debbono morire, ma non tutte le morti hanno egual valore. Un antico scrittore cinese, Szuma Chien, disse: "Tutti gli uomini muoiono, ma la morte di alcuni ha più peso del Monte fai, e la morte di altri è più leggera d'una piuma". La morte dì chi si sacrifica per il popolo ha più peso del Monte Tai, ma la morte di chi serve i fascisti, di chi serve gli sfruttatori e gli. oppressori, è più leggera d'una piuma». ; Igor. Man

Luoghi citati: Canton, Cina, Hong Kong, Pechino