L'aspra satira politica di «La Cina è vicina»

L'aspra satira politica di «La Cina è vicina» SULLO SCHERMO L'aspra satira politica di «La Cina è vicina» Il giovane regista Bellocchio attacca, con foga forse eccessiva, illusioni e paure della società Altro film: II lungo duello con Yul Brinner (Astor) - Ecco sui nostri schermi un altro film ancora caldo dell'esito veneziano, quel La Cina è vicina ( « Premio speciale della Giuria») che si è disincagliato dalla censura anche prima del previsto. Dacché mondo è mondo, sesso e politica sono le due cose cui gli uomini piti s'interessano, ma soltanto nel nostro tempo, ossia dopo Freud e Marx, sono diventati oggetto di combinazione, e la pubblicità può toglierne, così appaiati, un infallibile motivo di richiamo. Appunto su quei due piani, strettamente collegati, è costruito il film di Marco Bellocchio (il suo secondo film, dopo il piti audace ma meno temerario I pugni in tasca,).- dalla storia di una famiglia emiliana, dilacerata e centrifuga, dove gli accoppiamenti erotici sono tutt'altro che fissi, si sparge una satira politica che investe tutte le illusioni della « sinistra » italiana, per quanto è vasta e sfumata; ivi comprese quelle del più giovane fratello, maoista ortodosso, che per spaventare il fratello socialista militante scrive sui muri: «La Cina è vicina ». Si direbbe che dopo questa seconda raffica del terribile giovinotto piacentino nulla rimanga in piedi né della morale pubblica né della privata; ma proprio perché il film sembra far tabula rasa della famiglia e della società contemporanee, se ne isola meglio il nucleo patetico, la giovanile sete d'assoluto. Per ciò che riguarda l'interno della famiglia Gordini Malvezzi e la sapiente caratterizzazione dei suoi componenti (il frollo capo di casa Vittorio, la sorella arcigna, il fratellino fanatico), il nero di seppia può ricordare quello dei Pugni in tasca; ma qui la partita è aperta, e chi la gioca con lucidità machiavellica è un estraneo, il proletario Carlo, galoppino elettorale di Vittorio; il quale con due gravidanze e due matrimoni mette nel suo sacco (simbolico sacco in cui finisce anche lui) il trasformista con tutta la famiglia. La bravura di Bellocchio nell'annodare e snodare l'intrigo sulto sfondo della satira politica che non dimentica mai, è persino in eccesso; la sceneggiatura, che sembra farsi spontaneamente sotto i nostri occhi, è calcolatissima; la recitazione, dall'ottimo Glauco Mauri (dello Stabile di Torino) al bravo Paolo Graziosi, alla proterva Elda Tattoli, alla sensibile Daniela Surina, si assesta fino all'avvincente fusione; la satira è irritante per tutti, segno che ha molti germi di vero. Ma così estrema, abbondante e fin troppo compiaciuta, era poi necessaria all'economia del film? Ci sembra che Bellocchio si sia un po' squilibrato da questa parte, intingendo alquanto in quel « goliardismo » che ha pur voluto schernire nei suoi « cinesi » di provincia. Il suo furore polemico, che gli riuscì tanto bene nel chiuso dei Pugni in. tasca, qui batte un po' la campagna e rasenta trovate e trovatine da sketches. Ad ogni modo un film che conferma le sue qualità: aspro, intelligente, discutibile fino a farci le ore piccole. (Lux) - Nel panavision inglese a colori II lungo duello, prodotto e diretto da Ken Annakin, scatta un vecchio espediente del cinema avventuroso: la stima e persino l'affetto che finisce col legare due avversari che si sono lealmente contrastati. Al tempo degl'inglesi in India, Sultan, capo della tribù nomade dei Banta, senza colpa, per disgrazia, si inimica le autorità britanniche che gli addebitano l'uccisione d'una guardia durante un'evasione. Da.quel momento egli scende la calamitosa china del «ribelle». Il solo che lo capisce, come anche capisce la mentalità dei nomadi, è il commissario Young, che incaricato di catturarlo, gli offre una resa onorevole: ma una volta ancora la disdetta si mette di mezzo, e la situazione di Sultan peggiora. Il vero nemico di Young non è l'indiano, ma un colonnello, pignolo e ottuso, cui il governatore, stanco di diplomazia, affida l'operazione contro il ribelle. E tuttavia sarà proprio Young, quando le cose volgono al peggio, a salvare la faccia dell'esercito, intrappolato nelle montagne. Riconoscente di tanta comprensione l'indiano affida all'ispettore il proprio figlio perché lo cresca libero; dopodiché si toglie daZZ'impasse con una palla di fucile. Pellicola d'avventura della specie più tradizionale, e inevitabilmente polverosa. Con la sola variante che l'ossequio va ai turbanti anziché ai caschi, è ancora il vecchio spirito di Kipling che suggerisce il timbro dello spettacolo, indubitatamente accurato e grandioso. Anche l'interpretazione è di mestiere; bilanciata tra Yul Brynner (Sultan), con ancora responsabilità di « bello », e l'anziano Trevor Howard. 1. p.

Luoghi citati: Cina, India, Torino